Simone Pazzaglia - Nidi di rondine
Historica - Pag. 70 - Euro 8,00
www.historicaedizioni.com
Conosco Simone Pazzaglia sin dai tempi del primo
romanzo - Un paese di poveri pazzi e cani
-, apologo felliniano sulla vita di
provincia, una sorta di Amarcord in
salsa toscana. Ho apprezzato anche il successivo racconto sulla crisi di
coppia, l’ironico ma meno intenso Amanita,
lavoro che conferma indubbie capacità di scrittura. Nidi di rondine è un racconto lungo, insolito intermezzo nella
produzione di un autore che è già all’opera per sfornare il terzo romanzo, una
storia complessa di famiglie della provincia toscana a cavallo tra due guerre.
La dedica a un Amico fragile di deandreiana memoria, evaporato in una nuvola rossa in una delle
molte feritoie della notte, fa capire che ci troviamo di fronte a una storia pericolosa - per citare Emil
Cioran - una di quelle degne di essere raccontate, perché l’autore scava nelle
ferite della vita e scandaglia i meandri del tempo perduto. Ancora una volta lo
scenario di Pazzaglia è la provincia, quell’angolo di Maremma dove vive, tanto
caro a Bianciardi, periferia di Kansas City, un luogo indefinibile che potrebbe
essere Gavorrano, Montepescali, Sticciano, Paganico, Seggiano… Non ha
importanza definire topograficamente il paese, conta l’atmosfera pesante da Berlinguer ti voglio bene, quei luoghi
che Benigni e Bertolucci hanno saputo dipingere con pennellate di degradante
squallore componendo un affresco verista. “Un paese con una chiesa, un campetto
di calcio, e gente che ogni tanto urla dalle finestre… un paese lento e
moribondo che anno dopo anno perde un pezzo di carne come un lebbroso”, ma
anche una madre che “cucina roba senza amore e con poco sale”, “un padre di
poche parole lanciate come frecce da evitare” e alcuni amici che si danno
appuntamento in un fantastico campo di calcio al limitare del bosco, “torsi
nudi e pantaloncini corti”. Una storia che nasce in pineta, in un giorno
d’estate, un’ingiustizia che si consuma dopo una partita di calcio, gerarchie
di ragazzini che impongono la loro volontà su altri più deboli e poi una
vecchia signora che paga per veder distruggere nidi di rondine a colpi di
fionda. Passano gli anni e non accade niente di straordinario, a parte la vita
che scorre, il tempo che si perde, i ricordi che restano ricordi. Capita che ci
si ritrova in un bar, davanti a una birra, per accorgersi che la vita si è
presa il gusto di vendicare torti e ingiustizie. Non aggiungo altro. Il
racconto merita di essere letto e apprezzato, centellinato pagina dopo pagina,
assaporato, magari riletto per andare alla ricerca dei sapori intensi della
vita di provincia. Nelle botti piccole ci sta il vino buono. Nei cataloghi dei
piccoli editori tanti piccoli gioielli. Oggi ne abbiamo scoperto uno.
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