di Sergio Leone
Tutto
nasce da The Hoods di Harry Grey,
uscito in Italia come Mano armata,
scoperto per caso da Leone, su suggerimento di Pino Colizzi, che aveva usato
quel libro per alcune sequenze (poi eliminate) de I quattro dell’Ave Maria. Un romanzo che a Leone non piace troppo
pur notando elementi interessanti per realizzare l’autobiografia di un vero
gangster, soprattutto dopo aver incontrato l’autore. Tutto il materiale
sull’infanzia desta l’interesse del regista, pensa che possa servire per comporre
un nuovo film sul tempo perduto, dopo
Giù la testa e C’era una volta il west. Non è facile ottenere i diritti per
sfruttare Mano armata, ma Leone ci
riesce e comincia a scrivere la sceneggiatura con Kim Arcalli ed Enrico Medioli
dopo aver saputo che Grey aveva scritto il romanzo quando era recluso a Sing
Sing per raccontare la vita di un gangster, senza le finzioni degli odiati film
americani. Leone capisce che il materiale da usare è soprattutto quello
dell’infanzia, tutto il resto sono cliché, pensa che quel testo sia ottimo per
realizzare un omaggio al cinema e al genere poliziesco. Per questo sono
importanti Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi, capaci di sviluppare bene la
parte relativa alla giovinezza dei protagonisti, sulla falsariga di storie come
Amici per la pelle di Franco Rossi.
Norman Mailer adatta la sceneggiatura per il mercato nordamericano, ma l’errore
più grande è tagliare il film a 130’. Tutto è molto vero nel libro, le vicende
di Noodles (De Niro), Max, gli altri ragazzi che crescono nel quartiere
malfamato ebraico, gli scontri con i gangster polacchi e con la polizia, tra
padroni e lotte sindacali, gente che ammazza per contratto … Max è il solo
personaggio modificato, perché nella realtà non fa la truce fine descritta
(maciullato come spazzatura), ma è uno che per vivere uccide su commissione.
Leone parla con diversi criminali per rendere il film più vero, incontra molte
persone, soprattutto ebrei e mafiosi italiani, prostitute, criminali, separando
i veri ricordi dalla mitologia personale. Max avrebbe dovuto essere Gerard
Depardieu, attore fantastico che avrebbe fatto volentieri quel ruolo, dopo il
capolavoro di Novecento, ma non aveva
senso un attore francese, a parte i motivi di coproduzione. Robert De Niro è un
Noodles perfetto, scioglie un altro contratto per interpretare la parte del
protagonista e dopo questo film diventa un attore sempre più ricercato. James
Woods è l’amico Max, nevrotico ed eccessivo, reso al meglio da un volto strano
e interessante ma anche da una recitazione sopra le righe. Buone anche le
scelte di Joe Pesci e di Tuesday Weld, una Carol davvero inquietante. I ragazzi
non sono delle baby star ma dei personaggi
spontanei selezionati da Cis Corman, responsabile del casting. C’era una volta in America diventa il più americano dei film italiani, una
biografia su due livelli: la vita personale di Leone e la vita come spettatore
del cinema americano. Molti omaggi al cinema più amato, come la scena della
charlotte russa sulle scale dedicata a Chaplin. Per godere appieno del film non
bisogna vedere la versione ridotta a 130’ che segue un banale ordine
cronologico (infanzia, giovinezza e vecchiaia), perché manca di mistero e di
tempi meditati. C’era una volta in
America rappresenta la fine di un genere, di un certo tipo di cinema, anche
se il sorriso finale di De Niro è colmo di speranza. Un film insolito per Leone
- al punto che i contemporanei e molti critici non lo comprendono - sia per la
presenza della droga (la fumeria d’oppio) che per le molte scene di sesso, troppa
attenzione a elementi passionali e al tradimento, conditi di un amore perverso
e violento (la scene dello stupro in auto). Il film non sarebbe lo stesso senza
la fantastica colonna sonora di Ennio Morricone che compone musica originale,
aggiungendo la suggestiva Amapola, Yesterday di John Lennon e Paul
McCartney, Night and Day di Cole
Porter e Summertime di George
Gershwin. La scenografia è pittorica, ispirata ai lavori artistici di Edward
Hopper, Reginald Marsh e Norman Rockwell, ricca di suggestivi scorci del ghetto
con il ponte di Brooklyn sullo sfondo. Tutta la struttura del film è basata sul
tempo, tra carrellate, piani sequenza e soggettive, i personaggi vengono
seguiti nello scorrere del tempo, la macchina da presa non vuole mostrare la
città ma il tempo che passa. Resta un film realista e crudo, ricostruisce
luoghi che non ci sono più, distrutti dagli anni, grazie a modelli originali,
ambienti riprodotti con dovizia di particolari. Un viaggio negli inferi, un
ritorno al passato, alla ricerca delle proprie radici, del tempo perduto,
compiuto grazie al personaggio di un gangster interpretato da un De Niro in
gran forma. Quando il cinema popolare incontra il cinema d’autore. Proprio come
ha fatto Tarantino in C’era una volta a
Hollywood. Rai Tre ha trasmesso il 6 luglio 2020 una preziosa versione
integrale, restaurata in digitale, composta da 255’, con tutti i tagli
ritrovati nel 2012, mai doppiati, conservati in lingua inglese con relativi
sottotitoli. Piccolo capolavoro
Regia:
Sergio Leone. Fotografia: Tonino Delli Colli. Musiche: Ennnio Morricone.
Soggetto: Harry Grey (romanzo Mano armata).
Sceneggiatura: Kim Arcalli, Enrico Medioli, Piero De Bernardi, Leonardo
Benvenuti, Sergio Leone, Franco Ferrini.
Produttore: Arnon Milchan. Interpreti: Robert De Niro, James Woods,
Elizabeth McGovern, Scott Tyler, Rusty Jacobs, Jennifer Connely, Tuesday Weld,
Treat Williams, Joe Pesci, Danny Aiello, Burt Young, Darlanne Fluegel, William
Forsythe, James Russo, Mario Brega, Louise Fletcher.
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