giovedì 21 gennaio 2016

Il fischio finale

 
Davide Rubini
Il fischio finale
Gilgamesh edizioni - Pag. 370 - Euro 15

Davide Rubini (Torino, 1979) scrive un romanzo calcistico che si pone sulla scia di Giovanni Arpino (Azzurro tenebra), ma soprattutto di Pupi Avati, che con il suo Ultimo minuto aveva realizzato uno dei primi spaccati veritieri a metà strada tra umanità sportiva e scandali.
Un romanzo scritto con passione in meno di sei mesi, tra Bruxelles, Arezzo e Procchio, per raccontare una stagione sportiva da fiction che va dalla primavera del 1994 all'estate del 1995. Abbiamo una squadra calcistica di fantasia - il Rivaermosa - per la prima volta in C2, tra i semiprofessionisti -, grazie anche alla sua bandiera storica, il capitano Brando Adelmi, finito a giocare nella squadra del suo paese dopo anni di campionati importanti. La vita sentimentale di Brando non va bene, la moglie non accetta i sacrifici come in passato, perché la contropartita non è la stessa dei campionati maggiori, mentre l'impegno continua a essere alto. Brando finisce in politica, ai tempi di Tangentopoli, consigliere comunale di un paese del Nord, coinvolto da un uomo che vive di scandali ma vede nel calciatore una scialuppa di salvataggio e un bacino di voti.
Il romanzo è scritto con stile piano e coinvolgente, ben strutturato e in perfetto equilibrio tra la parte calcistica e quella più propriamente politico - sociale. Personaggi ben definiti, ai quali è facile affezionarsi, soprattutto il vecchio calciatore di provincia, stritolato da una serie di ingranaggi più grandi di lui. Crepuscolare e decadente, quando si parla della fine di una carriera sportiva che si avvicina al tramonto. Ironico e sferzante quando si affrontano argomenti politici e si punta il dito sulla corruzione, tra appalti e tangenti.
Gilgamesh fa buoni libri, anche da un punto di vista grafico, e pubblica giovani autori interessanti. Un romanzo da leggere e un editore da incoraggiare.

La poesia non è morta

 
Matteo Bianchi
La metà del letto
Barbera, 2015

L’unica citazione nella nuova raccolta di poesie di Matteo Bianchi, La metà del letto (Barbera, 2015), insonorizzando gli svariati echi indiretti, precipita sul foglio da Romeo and Juliet, il capolavoro postmoderno dei Dire Straits. Nell’unicum romantico composto dalla rock band britannica, il giovane Marc Knopfler nei panni di un Romeo fatalista ma per niente tragico, scriveva alla sua lei perduta:  «There’s a place for us, you know the movie song. / When you gonna realize it was just that the time was wrong, Juliet? – C’è un posto per noi, conosci la colonna sonora. / Quando realizzerai che era solo il momento a essere sbagliato, Giulietta?» Il fallimento dell’incontro tra i due innamorati, tra due ragazzi qualunque che a detta di Knopfler avrebbero meritato di essere graziati dal corso del tempo, dipese dal momento sbagliato e non dalle loro (naturali) intenzioni, dallo stesso trasporto che pesa ancora sul lirismo di Bianchi, coniugato al presente.
I testi dedicati alla riflessione sulla poesia sono quelli più convincenti, tanto che in loro favore si è pronunciato anche Valerio Magrelli: «Ho apprezzato in particolare Vi porterei tutte con me, con la bella definizione di “opposta resistenza / al mio cambiamento”. Non da meno sono i versi di Sul filo della colpa, o Corpus Domini», entrambe attuali e focalizzate su fatti di cronaca che si sono insabbiati, tanto sotto la nostra società quanto sotto la pelle di chi ne raccoglie il lascito scrivendone, così i versi in quarta di copertina, per un instancabile Giulio Cesare. La lirica Sul filo della colpa fa i conti con i detriti lasciati dal passato, dalle relazioni interpersonali consumate e finite, facendo il verso al “fil di lama” di Montale e sostituendo a una “felicità raggiunta” una serenità raggiungibile solo insieme agli altri: «Mi turba da sempre chiudere / le divisioni / con un quoziente in decimali, / le cifre in avanzo / dopo la virgola»Corpus Domini, invece, racconta tramite stati d’animo altrui uno scandalo che colpì un convento ferrarese negli anni ’70, quando a seguito del rifacimento delle tubature nel cortile interno, furono rinvenuti resti di aborti clandestini. E il silenzio si misura nella distanza tra i colori caldi della terra battuta in superficie e quelli gelidi del sottosuolo, un silenzio buio e alienante: «Intimi come non mai / i miei demoni ed io», distico in cui il dubbio divino è concesso solo alla voce. Infine Giulio Cesare è il ritratto in prima persona di un uomo che è costretto a tollerare il cinismo e un certo “faccendarismo” del do ut des politico, mentre preferirebbe un rapporto umano spontaneo, almeno con il figliastro Bruto, che lo osserva camminare pallido avanti e indietro, senza darsi pace. Non a caso, già nella sua raccolta d’esordio, Fischi di merlo (Edizioni del Leone, 2011), Bianchi cantava: «Non c’è sollievo / a questa nostra fine, / Silvia, // entrambi saremo / almeno tutt’uno / con i nostri / disincantati / secondi fini», riconoscente al Leopardi in aria nichilista, come sostenne Mario Specchio nella fiduciosa postfazione. 
Il tentativo di queste pagine, sebbene implicitamente ego-riferito, è quello di immedesimarsi in toto, per poi farsi da parte e trasportare di fronte al lettore i vissuti più disparati. Per non «arrendersi al lieto fine», aggiungerebbe, ma per accettare gli accidenti, gli umori del caso: «quando il nostro inizio è coinciso / con la mia fine». 
Concludiamo fornendo un assaggio delle liriche, per capire meglio il senso di una recensione e per consentire al comune lettore di farsi un’idea del lavoro. Molte poesie non hanno titolo, tutte sono caratterizzate da brevità e intensità, grande ricerca del linguaggio e cura per la parola, come dovrebbe essere sempre quando ci troviamo di fronte alla vera poesia.

 
I


La sigaretta si consuma

tra le dita: ridotto

a un niente

sono io dalla passione.

 

Per prima ti ringrazio

del seguito, della ferita:

noi siamo nel dolore

liberi davvero.

 

Un mozzicone si abbandona

di spalle, si fida della neve

 

nella salvezza che congela.

 
II

 

Ieri ho letto poesia

sino a tarda notte,

mentre tu facevi la vita

e fremente ad essa ti univi.

Lo scarto tra noi e l’esistenza,

mio tradimento che contempla

e non s’incarna:

senso di colpa di chi riesce,

di chi vince la mano col piacere.

Corrotti di natura,

il timore è dannarsi insieme

in paradiso.

 
III

 

In capo al nostro corrimano

ti ho chiesto scusa:

l’amore risolto invecchia,

quello insoluto eterna.

 

IV

 

Cosa ho fatto di sbagliato

per meritare questo?

Io non sono dispensato,

sono rimasto per le tue parole,

per spargerle nel grande fiume,

il Po che ci ha divisi.

Ceneri alla foce comune.

Le troppe rose sono il paradosso,

un frutto dal sapore sconosciuto,

il tuo nome adesso

di seconda fioritura, in maggio,

primavera della tua sepoltura.

La vita ti ha chiamato

per ciò che sei stato.

Per chi mi aveva dato

un amore terreno

avevo un pianto disarmato

in cambio, che l’avrebbe seguito.

 
V

 
Sono nati i narcisi ovunque:

sugli argini del fiume consumati,

nelle cune verdi dei rifiuti,

intorno ai binari dismessi.

Non hanno aspettative

e se li cogli, non si tengono:

un vaso non vale il rimpiazzo.

Sono liberi,

ma non lo sanno.

Poesia è un soffio sui narcisi:

il mio legno diviene anima

e il mio sasso ragione.

Noi siamo

solo se accettiamo di non essere.

 

Gordiano Lupi

giovedì 14 gennaio 2016

Per conoscere Nicolas Guillén

Nicolas Guillén, L'Avana, 1902 - 1989.
Poeta Nazionale di Cuba
 
 

Opere principali
Testimonio: Pagine girate (1982).
Poesia: Motivi di son (1930); Sóngoro Cosongo (1931); West Indies Ltd. (1934); Spagna (1937); Canti per i soldati i son per i turisti (1937); Il son intero (1947); La colomba di volo popolare e Elegías (1958); Tengo (1964); Poemi d'amore (1964); Il gran zoo (1967); La ruota dentata (1972); Il diario che a diario (1972).
Critica sintetica: Molto presto Guillén seppe interpretare nella sua poesia i desideri di affermazione umana e culturale del nero. Ad ogni modo, non fu mai un poeta della negritudine. Preferiva risaltare il colore cubano nei suoi versi. Disse esplicitamente: "Il nero apporta essenze molto forti al nostro cocktail e, le due razze che in questa isola sono a fior d'acqua e per quello che si vede distanti, ma si tendono un uncino sottomarino, come quei lunghi ponti che uniscono in segreto due continenti (...) lo spirito di Cuba e meticcio. E dallo spirito verso la pelle ci verrà il colore definitivo. Alcun giorno si dirà: colore cubano".
 
NEGRO BEMBÓN


¿Po qué te pone tan brabo,
cuando
te dicen negro bembón,
si tiene la boca
santa,
negro bembón
?

Bembón
así como ere
tiene de
;
Caridá
te mantiene, te lo .

Te queja
todavía,
negro bembón
;
sin pega
y con harina,
negro bembón
,
majagua
de drí blanco,
negro bembón
;
sapato
de tono,
negro bembón
.Bembón así como ere
tiene de
;
Caridá
te mantiene, te lo
.
 
(1930, apre Motivos de son)
 

Per un tentativo di traduzione (non facile, vista la poesia)

 
Nero labbrone

Perché t'arrabbi tanto
quando ti chiamano nero labbrone,
se hai la bocca santa,
nero labbrone?

Labbrone così come sei
hai tutto;
Carità ti mantiene,
ti dà tutto.

Ti lamenti comunque,
nero labbrone;
senza guai e con farina,
nero labbrone;
bianco vestito immacolato,
nero labbrone;
scarpe di due tonalità
nero labbrone...

Labbrone così come sei,
hai tutto.
Carità ti mantiene,
ti dà tutto.

mercoledì 13 gennaio 2016

Yoani, eroina de 'sta gran cippa!

La notizia è che Yoani Sanchez è compresa tra i 100 eroi del giornalismo mondiale, in un elenco diffuso da Reporter Senza Frontiere. La mia reazione ironica, in rima - sberleffo, è questa che segue...



So' eroina


Bello, eroina so' io delle frontiere,

qui non si tratta di libero pensiero,

l'hanno scritto in bianco e pure in nero

gli amici di Reporter Senza Frontiere.



Mi capita spesso d'uscire e di rientrare

e un capello non mi posssono toccare

ma so' eroina, bello: come dubitare?

L'ha detto Reporter Senza Frontiere!



Bello, eroina so' io, di questa cippa.

Fidel, Raul mi fanno una gran pippa,

comunisti o fascisti me ne frego,

tanto l'ho detto che mica mi piego!



E che mi piego a fare?

In terra ci saranno mille lire.

Ormai non mi posso più sprecare

accetto solo euro per farmi pagare.



Ascolta, adesso so' eroina

e tu mi devi solo riverire,

la mia fama non è più piccina,

so' Yoani pronta per partire.



Dove vado? Dove mi chiamano...

basta che poi mi pagano!

So' eroina, bada bene, dei due mondi,

solo se versano tanti soldi, tondi tondi.

(Gordiano Lupi)

domenica 10 gennaio 2016

Acuto, un libro di Carla Magnani


La storia si svolge ai tempi nostri, ma con rimandi al passato e in particolare al periodo dal 1968 al 1972, denso di avvenimenti significativi per il mondo intero. L’Italia vede la partecipazione attiva di una città come Pisa, dove il Movimento Studentesco, le lotte sindacali e gruppi extraparlamentari sono ben radicati e decisi a rivendicare un ruolo di primo piano nel cambiamento del panorama politico-sociale della nazione. Elisa, di famiglia borghese-benestante di un piccolo paese, ha da sempre impostato la sua vita evitando ogni coinvolgimento che rappresenti un pericolo al suo bisogno di tranquillità. Nessuna forte emozione, nessuna ricerca di cambiamenti e di scelte significative, solo il mantenimento di uno status quo a garanzia di una piatta, ma serena esistenza. L’inizio dell’estate trova la protagonista nella casa al mare insieme ad alcuni componenti della famiglia. Sua sorella Ester, di due anni più giovane e dal temperamento ribelle, è negli States per lavoro. Sarà proprio quest’ultima, con una breve telefonata, a sconvolgerle la vita, mettendola di fronte a una richiesta che prevede un sì in tempi brevi: Marco, il suo amore degli anni universitari, da tempo residente in Florida, ha pochi mesi di vita e ha espresso, come ultimo desiderio, quello di poterla incontrare. Elisa decide di vedere Marco nonostante la forte ansia che la paura di volare le incute. Riaffiorano i ricordi di quegli anni e della loro storia che sembrava dimenticata. Con i ricordi, ritornano anche le emozioni più belle e i chiarimenti. Tre giorni bastano a Elisa per scoprirsi una donna nuova, arricchita interiormente. Anche se Marco non potrà sottrarsi al suo destino, lei avrà ormai la percezione chiara che non lo perderà mai e lo porterà sempre in sé,  in una realizzazione personale che offrirà a se stessa e ai suoi cari l’immagine di una donna finalmente completa e consapevole.
Acuto è ambientato nel presente, ma ha lo sguardo sul passato, su quella storia italiana che raramente viene raccontata a scuola, quella che ha inizio nel Sessantotto col movimento studentesco e passa attraverso le rivendicazioni della Sinistra operaia, il femminismo, la strage di Piazza Fontana e la strategia della tensione, la morte di Pinelli e gli Anni di Piombo, la conquista dello spazio e lo sbarco sulla Luna, l'omologazione degli anni Settanta e le Brigate Rosse, l'omicidio del commissario Calabresi e la vicenda – che toccherà da vicino le vite delle protagoniste – di Franco Serantini. Acuto è però anche la storia di un viaggio in America, alla ricerca di un'occasione perduta, di una seconda chance. Di quella felicità appena sfiorata e poi barattata per la propria quiete quotidiana. Tutto ha inizio con una telefonata ed un evento tragico: l'imminente morte di un vecchio amico. E così Ester viaggerà, fuori e dentro di sé, per cercare una risposta a vecchie domande. (Adriano Bernasconi).


Carla Magnani è nata in Toscana, a Piombino, ma da molti anni risiede in Lombardia. Laureata in Lettere Moderne, ha insegnato in diversi istituti superiori e scuole medie della provincia di Milano e di Brescia. In passato ha vinto alcuni premi di poesia. Acuto è il suo romanzo d'esordio, disponibile in tutte le librerie, negli store online, o direttamente sul sito della casa editrice e dell’autrice al prezzo di 10 euro. Disponibile in ebook al prezzo di 4,99 euro. Buon rapporto qualità prezzo!

Carla Magnani
ACUTO
Euro 10 – E-book 4,99 –  Pag.160
Gilgamesh Edizioni
 www.gilgameshedizioni.com

giovedì 7 gennaio 2016

La Voce dell'Isola parla di Miracolo a Piombino

di Salvo Zappulla

Una storia poetica che si sviluppa su due piani paralleli, due mondi che procedono nella stessa direzione, quelli di un bambino e di un gabbiano, entrambi anelano a uscire fuori dal gregge, dal conformismo, da un destino già programmato. Davvero una gran bella storia questa di Gordiano Lupi (impreziosita dalle fotografie di Riccardo Marchionni)  e con una grande metafora: insegna che nella vita bisogna osare, abituarsi a pensare con la propria testa e non aver paura di sfidare l’ignoto; solo così si può essere liberi e provare a volare. Piombino fa da sfondo a questa delicatissima  vicenda ma potrebbe essere accaduta in qualsiasi luogo del mondo, quello che conta è il messaggio che l’autore ha voluto lanciare. Entrambi i protagonisti della storia hanno scelto la solitudine per vivere, che non è emarginazione ma desiderio di scoprire il mondo con occhi diversi,  guardarsi dentro per soppesare le proprie potenzialità.  Marco possiede l’uso della ragione, ha la possibilità di leggere, di istruirsi e di fare le proprie scelte. Il gabbiano ha le sue ali che possono portarlo lontano. Un libro che consiglio di adottare nelle scuole per formare le menti dei futuri cittadini, in questa società appiattita e manipolata dai grandi mezzi di informazione che trasmettono notizie piegate all’esigenza del potere.

martedì 5 gennaio 2016

Felix Luis Viera, la poesia!

Dagmar
di Felix Luís Viera

Era el ombligo un agujero cerrado
como un disparo de alfiler
en el centro de un campo ardiendo, raso.
Era un campo de trigo ardiendo
donde se juntan esos dos muslos fuertes
de andar y segar el trigo.
Era “el amor un viaje demasiado rápido
que resulta una sola vez y las demás
son ilusiones, o peor: equivocaciones que parecen
ilusiones”.
Era ese “viaje demasiado rápido que resulta una sola vez”
un viajero que inexorablemente tenía que partir.
Era el Adiós el polvo de una lágrima, la sonrisa
partiendo en cuatro al valle, allí,
al pasar
esa colina, por ese
camino entre abedules.
Era ya en soledad la lágrima en el polvo.
Era la primera, la última, todas las veces, todas. Todas.
Todas.

Mayo de 1983




Dagmar
Traduzione di Gordiano Lupi

L’ombelico era una fessura chiusa,
come uno scatto di spillo
nel centro d’un campo ardente, raso.
Era un campo di grano ardente
dove si congiungono due cosce forti
capaci di mietere il grano.
Era “l’amore un viaggio troppo rapido
che torna una sola volta e le altre
sono illusioni, o peggio: errori che sembrano
illusioni”.
Quel “viaggio troppo rapido che torna una sola volta” era
un viaggiatore che inesorabilmente doveva partire.
L’Addio era la polvere d’una lacrima, il sorriso
che spezza in quattro la valle, là,
oltrepassando
la collina, per un
cammino tra betulle.
Era già solitaria la lacrima nella polvere.
Era la prima, l’ultima, tutte le volte, tutte. Tutte.
Tutte.

Maggio 1983