martedì 31 maggio 2011

Un libro per ricordare Pedro Luis Boitel

L’argentino Fernando Gril rende omaggio al giovane cubano morto nel 1972 per uno sciopero della fame

Madrid - Lo scrittore argentino Fernando Gril ha presentato lunedì a Madrid “Una tomba senza nome”, un libro nato dall’esigenza di far conoscere “la realtà di Cuba”, nel quale riscatta la figura del dirigente del movimento studentesco Pedro Luis Boitel, morto in prigione nel 1972, dopo 53 giorni di sciopero della fame.

Gli scrittori cubani Carlos Alberto Montaner e Zoe Valdés e l’attivista per i diritti umani Janisset Rivero, insieme a un gruppo di ex prigionieri politici esiliati in Spagna, hanno accompagnato Gril durante la presentazione della sua opera nel Circolo delle Belle Arti della capitale spagnola.

“Una tomba senza nome” è stato pubblicato dalla Associazione Ispanoamericana per la Libertà (AIL) e deriva dall’idea di un autore che otto anni fa si è interessato alla “storia reale” di Cuba e ha cominciato a lavorare per i diritti umani nell’isola.

“La storia di Pedro Luis Boitel è incredibile. Sapere che la sua tomba, nel cimitero Colón dell’Avana, non ha ancora un nome mi ha sconvolto. Mi è sembrato un atto di giustizia onorare la sua memoria”, ha spiegato Gril.

Il libro racconta la vita del dirigente del movimento studentesco, ma soprattutto “racconta la lotta di molti cubani che all’interno e all’esterno dell’isola si sono ispirati alla sua azione”.

“Non è stato facile scriverlo, perché ogni persona che ho avvicinato forniva una versione personale dei fatti, ma ho cercato di restare fedele alla storia”, ha detto lo scrittore argentino.

Carlos Alberto Montaner ha ricordato di aver conosciuto Boitel nella prigione de La Cabaña, di aver apprezzato il suo senso dell’umorismo e di essere rimasto impressionato dalla “volontà incrollabile che l’ha portato a morire prima di negare le sue idee”.

“La storia politica di Cuba è, in un certo modo, la storia dei suoi prigionieri. L’evoluzione politica del paese è cominciata nelle prigioni, dove si sono formati i primi sostenitori dei diritti umani, come Pedro Luis Boitel”, ha aggiunto lo scrittore.

Zoe Valdés ha messo in evidenza il dramma vissuto da familiari, amici, fidanzata del prigioniero cubano e ha sottolineato l’importanza di far conoscere al mondo storie come questa.

“Contro la rivoluzione è necessario rivelare realtà, dolori, drammi. Dobbiamo smettere di parlare di patria e morte e scegliere la strada di libertà e vita”, ha concluso.

Le figure di Boitel e di Orlando Zapata, morto nel 2010 dopo 83 giorni di sciopero della fame, “si sono trasformate in un grido di resistenza all’interno di Cuba”, ha affermato Janisset Rivero.

Gril ha dedicato il libro proprio a Orlando Zapata, che prima di morire si consolava ricordando Boitel. Lo scrittore sostiene che Fidel Castro temeva Boitel per il suo carisma, il suo spirito ribelle e le sue doti di leader con idee democratiche. “Boitel resterà per sempre nel pantheon delle persone giuste”, ha concluso Gril.


Gordiano Lupi

lunedì 30 maggio 2011

La Cenerentola e il pittore

di Yoani Sánchez
dalla rivista Voces numero 8



Pinar del Río è la Cenerentola, la coda di questo caimano addormentato, il punto più occidentale di un paese che da tempo ha smesso di definirsi occidentale. Una località che migliaia di avaneri ricordano bene perché è stata la loro sede di lunghi periodi di scuola - lavoro in campagna, caratterizzata dalle prime ore del mattino fredde e dalla resina del tabacco che si appiccicava ai vestiti e strappava i peli dalle braccia. Pinar del Río è anche una zona difficilmente raggiungibile. Se non ci credete provate a comprare un biglietto di treno o di autobus, a Santa Clara o Camagüey, alla volta di questa anonima città situata a 150 chilometri di distanza dalla capitale. Non ci sono mezzi di trasporto che dal centro o dall’oriente di Cuba raggiungono la terra del Cuyaguateje. Il cinema Praga è chiuso, la gelateria Coppelia vende gelati con un solo gusto. Pinar del Río è - in un certo senso - più Isola della stessa Isola dei Pini, più paludosa della palude di Zapata, più asciutta dell’arida Guantánamo. La sua pochezza deriva dall’oblio, la siccità provoca l’emigrazione costante dei suoi abitanti verso terre che garantiscono speranze maggiori, il torpore proviene dal collasso economico, anche se i cartelloni politici abbondano di trionfalismo.

Riconosciamolo, i racconti infantili - e le fiabe politiche - ci hanno ingannato. A Cenerentola non fu data neppure la scarpa, promessa da un principe che non era interessato a farla vivere nel palazzo.

I pittori prendono per mano e sostengono una triste damigella come Pinar del Río, perché si tratta di una zona eccellente per dipingere, realizzare figure che escono dalla ristretta cornice di un quadro, dai contorni tracciati in olio e acrilico. Pinar del Río non possiede illuminazione pubblica per strada, ma ha avuto in dote il perenne splendore della creazione artistica. Quando a gennaio del 1998 l’aereo di Giovanni Paolo II sorvolò la regione, nei terrazzi e nei cortili migliaia di abitanti di Pinar del Río si puntarono frammenti di specchi in direzione del velivolo papale che non sarebbe mai atterrato in quel luogo. Questa regione di confine della nostra isola, si lascia sedurre dalle evoluzioni che produce la luce, è affascinata dai riflessi e dalle fosforescenze.

Forse per questo motivo, è stata concepita e realizzata “El gran apagón” (“Il grande black-out energetico”), opera di Pedro Pablo Oliva, che molti critici definiscono il Guernica cubano. L’oscurità e i volti disperati - non per i proiettili ma per le mancanze del Periodo Speciale -, sono stati prelevati da Oliva proprio dalla sua martoriata realtà di provincia. Il pittore aveva già realizzato un’opera degna di essere esposta nei musei di tutto il mondo, ma la riproduzione del degrado materiale e morale di quel periodo è stata così realistica da farlo entrare nell’immaginario visivo dei suoi compatrioti. “Deve essere di Pinar del Río”, dicevamo, e non ci riferivamo alle barzellette crudeli che circolano sul conto di chi è nato in questa zona del paese. Lo dicevamo perché sappiamo che per loro l’oscurità vale il doppio, la miseria è maggiore, la disillusione è più profonda.

Proprio come chi ha una lanterna in mano, Pedro Pablo Oliva dette luce al crepuscolo. Aprì la sua casa - laboratorio in una rotonda circondata da abitazioni coloniali, che subito si trasformò nella zona più vitale di tutta la città. Dopo aver attraversato l’ampio porticato si arriva in una sala piena di sedie a dondolo e di sculture. Un rubinetto di terracotta mostra una goccia d’acqua perenne che non cade mai sopra il legno del tavolo dove è posizionato. Il cortile al termine della grande casa è proprio come Oliva: accogliente, ridente e saggio. All’interno del suo studio possiamo incontrare con il pennello in mano lo stesso uomo che mescola con coraggio i colori nei dipinti e gli amici nella vita.

Quando vinse il Premio Nazionale delle Arti Plastiche, nel 2006, pensavamo che si sarebbe goduto il meritato riposo. La abulia placida che s’impadronisce di coloro che credono di aver raggiunto il risultato più grande. Ma non fu così, perché decise di continuare a occuparsi dei problemi, che per un pittore significa continuare a dipingere. Inoltre entrò a far parte dell’Assemblea Provinciale del Potere Popolare, organismo che non ha niente a che vedere con l’arte, ma che riteneva utile per realizzare certe illusioni che nutriva. Credeva di poter influire nell’andamento nazionale come un cittadino, nel ruolo di delegato, militando nel solo partito consentito dalla legge. Tutti ci chiediamo fino a che punto questa affiliazione ideologica gli abbia permesso di avere successo nella sua attività pittorica. Preferisco credere che i suoi coraggiosi dipinti abbiano sempre compensato ogni altro tipo di prudenza, qualunque controverso applauso.

Viviamo, purtroppo, tempi di definizioni estreme e di inquadramenti stereotipati. Una persona che possa parlare con il Ministro della Cultura e al tempo stesso frequentare un ricevimento in un’ambasciata europea non rientra in nessuno dei modelli che ogni giorno guadagnano più forza giuridica e mediatica. Per questo motivo intorno a Pedro Pablo Oliva cominciò a crescere il rancore, molte persone mormoravano alle sue spalle per cercare di fargli lo sgambetto e metterlo in difficoltà. Lui è un contadino schietto e sincero, capace di dire “pane al pane e vino al vino”, per questo cominciò a dire ciò che pensava su alcuni argomenti spinosi. Temi di fronte ai quali altri mantengono un prudente silenzio. Oliva avrebbe potuto starsene zitto senza problemi. Ricordiamo che la possibilità di commerciare i prodotti della propria arte all’estero e di guadagnare quella moneta forte - con la quale non vengono pagati i nostri salari - ha chiuso la bocca di parecchi artisti. Abbiamo visto persone rinunciare allo scontro e alla critica, così come molti hanno messo da parte audaci dipinti di zattere in fuga in cambio di una dimora nella zona più esclusiva della capitale.

Nessun beneficio materiale ottenuto grazie al talento sarebbe osceno se non fosse accompagnato dalla complicità e dalla simulazione. Posizioni simili, purtroppo, sono la malattia comune dell’arte cubana prodotta all’interno dell’Isola. Troppe concessioni, troppa paura, troppa UNEAC (Unione degli scrittori e degli artisti cubani, ndt), troppo Abel Prieto (Ministro della cultura, ndt), troppo “all’interno della Rivoluzione tutto, contro la Rivoluzione niente”. Si nota in ogni tratto, si percepisce nelle pieghe folcloristiche e di costume che inondano le tele, nei motivi facili che vengono adottati per vendere e non avere problemi.

Pedro Pablo Oliva avrebbe potuto scegliere di invecchiare in pace, mantenere il “titolo nobiliare” che gli aveva assegnato il Potere Popolare, rifugiarsi nella sua grande casa dalle alte colonne e sfruttare la possibilità di compiere viaggi all’estero. Il giorno in cui ha deciso di esprimere la sua opinione lo abbiamo guadagnato alla nostra causa, ma lui ha cominciato un lungo percorso, oscuro proprio come “El gran apagón”. Il fatto - tra le altre cose - di concedere un’intervista e di inviare una lettera dove dichiarava di essere favorevole all’esistenza di altri partiti, gli ha causato una punizione sproporzionata e alcuni attacchi verbali che denigrano soprattutto chi li pronuncia. Ritengo che - trovandosi o meno nella stessa sponda ideologica da lui assunta - non sia questo il momento di rimproverargli di aver scelto la sincerità. Dare un benvenuto tollerante nel gruppo dei non conformi è il modo di dire a chi non ha osato pronunciarsi criticamente che da parte nostra non ci sarà mai rimprovero e vendetta, ma soltanto sostegno. Buona parte di noi che oggi siamo demonizzati dalla propaganda ufficiale, un giorno abbiamo dovuto scegliere tra la maschera e il castigo. Non è stata una scelta facile, abbiamo avuto incertezze e sensi di colpa, ci sono state persone pronte ad avvertirci che “saremmo stati manipolati”, come se per decenni il governo cubano non avesse manipolato il nostro silenzio, sommandoci - visto che non esprimevamo opinioni - alle cifre gonfiate di coloro che applaudono. Adesso il pittore di un “Saturno che divora i suoi figli” quasi premonitore, si è fatto notare pubblicamente come uno che non tiene dentro ciò che pensa.

La lettera che ha scritto nel suo sito internet, dopo essere stato destituito dalla sue funzioni come deputato, lo testimonia. In quel documento non leggo un conveniente mea culpa per aver pensato con la sua testa, espresso opinioni, contattato persone come Dagoberto Valdés o come me che sto scrivendo. Il suo testo sembra piuttosto il testamento di un disilluso. La stessa riflessione che avrebbe potuto scrivere mio padre quando vide sprofondare nel caos le sue amate ferrovie. Lo stesso ragionamento che una ventina di filologi, laureati con me nell’anno 2000, avrebbero fatto per giustificare il loro abbandono di un paese senza futuro. Non c’è pentimento, ma dolore in ogni frase di quella dichiarazione pubblica di Pedro Pablo Oliva, che ha già aperto uno spazio su Twitter contrassegnato #PPO. È il fastidio di chi ha creduto che “cambiare tutto quello che deve essere cambiato” non fosse solo una frase pronunciata dal palco o musica per gli orecchi degli ingenui.

Oggi la rotonda di calle Martí è oscura proprio come il resto di Pinar del Río. Sembra il tallone ferito di una Cenerentola che cerca di calzare una scarpa inadatta per un piede umano. Un sistema che relega ai margini una persona con la capacità creativa e la sincerità di Pedro Pablo Oliva, non può farci credere che vuole il bene della nazione, il meglio per i suoi figli. Se chiudono i centri culturali dei militanti e accusano di “tradire” la patria persino a chi la pensa come loro, che cosa accadrà ai contestatari, agli oppositori frontali e agli scettici di sempre?

Speriamo che questo caso smuova la coscienza di altri artisti e faccia uscire fuori la voce che da tempo trattengono. Se l’interruttore di una lampada viene pigiato troppo spesso arriva il momento che la luce muore. Un ultimo barlume di luce se n’è andato con questo castigo, è sfumata un’estrema possibilità di dare un po’ di colore a un così pallido progetto sociale, una sfumatura di tolleranza e di pluralismo. A Pinar, per il momento, non se ne vede neppure l’ombra.


Traduzione di Gordiano Lupi

sabato 28 maggio 2011

Yoani Sánchez a Pontedera


Sono prigioniera del mio paese
Per chi dissente dall’opinione dominante è previsto un castigo
La sanità cubana è in condizioni deteriori
Alla fine credo che otterremo una Cuba pluralista e rispettosa delle diversità



Pontedera, 28 maggio 2011 - Buon pubblico alla Biblioteca Comunale di Pontedera per l’incontro telefonico con Yoani Sánchez che ha raccontato la sua Cuba libre, nel quadro delle iniziative della Notte bianca del libro. Se una notte d’estate un lettore, era il titolo della serata, parafrasando un noto romanzo di Italo Calvino, tra l’altro scrittore italiano nativo dell’Avana e legato a Cuba per tutta la vita.

Yoani Sánchez ha salutato il pubblico, ringraziando per l’invito e per il ponte telefonico tra Italia e Cuba che le ha permesso di partecipare all’iniziativa. “Sono prigioniera del mio paese. Non posso uscire e non posso muovermi per andare a conferenze e presentazioni di libri”, ha precisato. Subito dopo ha risposto ad alcune domande sulla situazione attuale dell’isola.

Due arcivescovi hanno detto recentemente che con Raúl Castro a Cuba sta arrivando la democrazia. Che cosa ne pensi?

Non è vero. Raúl Castro ha promosso soltanto una serie di modeste riforme economiche, ma non si è impegnato in nessun modo per fare dei passi avanti in tema di libertà e di diritti civili.

Puoi parlarci dei cambiamenti economici di Raúl Castro dopo il Sesto Congresso del Partito Comunista Cubano?

Sono state approvate alcune riforme in tema di lavoro privato, che verrà incentivato visto il licenziamento di circa cinquecentomila persone dagli impieghi pubblici. Il governo ha decretato la possibilità di vendere case e automobili, ma ancora non sono stati emanati i provvedimenti legislativi per dare attuazione alla deliberazione. A parte il lavoro privato - per il quale attendiamo una maggior flessibilità - le altre misure decise dal Congresso restano ancora sulla carta.

I diritti umani a Cuba. A che punto siamo?

Sono il problema di sempre. A Cuba non esiste il rispetto delle differenze e le persone non conformi subiscono forti penalizzazioni. Non sono possibili libere associazioni come partiti politici, sindacati e persino semplici gruppi di cittadini con interessi non condivisi dal governo. Per chi dissente dall’opinione dominante è previsto un castigo. Tutto questo deve finire.

Hai scritto su Twitter: “Studiare a Cuba è gratis ma senza libertà”. Cosa volevi dire?

A Cuba l’istruzione è gratuita ma ideologica. Si tratta di vero e proprio indottrinamento, di un insegnamento a carattere trionfalista che vuole mettere in evidenza i successi della Rivoluzione. Ho scritto quella frase quando è stato espulso uno studente dall’Università per motivi ideologici.

Ragioni Civiche è il tuo programma Internet per rettificare le menzogne televisive di Ragioni di Cuba. Come puoi farlo?

Si tratta di un piccolo programma alternativo che abbiamo ideato insieme agli altri blogger indipendenti per rispondere al programma ufficiale della televisione cubana studiato per attaccare e demonizzare i dissidenti. A differenza di loro non aggrediamo e non calunniamo, ma ci limitiamo a esporre i problemi e a proporre soluzioni. Il programma è fatto con poche risorse: una telecamera digitale, un amico che filma, molta spontaneità e improvvisazione. Lo studio dove lo realizziamo è la sala della mia casa. Ho notato che Ragioni Civiche ha avuto un buon impatto, sia a Cuba che fuori dall’Isola.

La stampa e la televisione cubana sono libere?

No, non sono libere. Tutto è diretto e sorvegliato dal Partito Comunista Cubano che esige un tono ideologico a base di trionfalismo. Molti professionisti della carta stampata e della televisione sono persone di un certo valore, ma non sono libere di esprimersi.

Il tuo futuro in una Cuba libera.

Sono ottimista. Alla fine credo che otterremo una Cuba pluralista e rispettosa delle diversità. Per quel che mi riguarda voglio vivere a Cuba, non esiste un altro paese che mi interessi e penso che il mio ruolo sarà sempre lo stesso: fare la giornalista.

Perché il popolo cubano non si ribella come accade in molti paesi arabi e nordafricani?

A Cuba il governo ha inculcato nel popolo una paura paralizzante. La gente indossa una maschera, finge per non avere problemi, scende in piazza per le convocazioni di Stato, si adegua al volere del regime. Cinquant’anni di questa vita sono molti e hanno annichilito la volontà di un popolo. In ogni caso noto segnali di cambiamento. Si tratta di un processo lento, ma la voce popolare sta venendo fuori.

Perché i cubani che vivono all’estero non sono uniti nel sostenere il cambiamento? Perché molti di loro evitano di occuparsi dei problemi politici della loro terra?

Pure qui le cose stanno cambiando, perché dopo la morte di Orlando Zapata Tamayo ci sono state molte manifestazioni di protesta in tutto il mondo. È vero, però, che i cubani subiscono il peso dei ricatti del loro governo, sanno bene che - se parlano e si espongono - possono subire la ritorsione di Stato, che consiste nel divieto di fare rientro sull’Isola e di rivedere i familiari.

La sanità cubana è davvero così perfetta?

La sanità cubana è in condizioni deteriori, almeno quella per i cittadini. La settimana scorsa cercavo un termometro in una farmacia che vende medicinali in moneta nazionale (peso cubano) e mi hanno guardato come se cercassi una fetta di luna. Poco distante, in una farmacia per turisti, dove si compra in moneta forte (peso convertibile), ma non alla portata di tutte le tasche, si poteva scegliere persino tra diversi tipi di modernissimi termometri digitali. La sanità per i turisti è un conto, quella per i cubani tutt’altra cosa. Nonostante la situazione di degrado assoluto, il governo mostra il settore sanitario come una conquista e lo utilizza a fini propagandistici. Faccio notare, inoltre, che un lavoratore cubano guadagna - nel migliore dei casi - l’equivalente di venti dollari al mese. Stipendi così bassi finanziano la spesa per la sanità pubblica e per tutta la propaganda di regime.

La partecipazione alla sfilata del Primo Maggio è stata imponente. Era spontanea?

Le sfilate come quelle del Primo Maggio sono consuetudinarie. La gente va in massa senza bisogno di coazione fisica perché esiste una ben peggiore costrizione psicologica. Uno studente che non partecipa alla celebrazione subirà ripercussioni sugli esami scolastici e sul futuro corso universitario. Un lavoratore assente avrà pregiudizi sul posto di lavoro, rischierà il licenziamento e il cambiamento di mansioni. Si tratta di una serie di piccole repressioni che convincono i cittadini a sfilare sotto il palco delle autorità e a rendere omaggio a un regime che celebra se stesso.

Come vive un cubano che lavora per lo Stato?

Molto male. Lo stipendio non basta ad arrivare alla fine del mese. I lavoratori vengono pagati in pesos cubani, che valgono venti volte meno di un peso convertibile (moneta forte parificata a euro e dollaro), ma il costo della vita è basato su chi possiede valuta pregiata. Il cubano per sopravvivere deve fare tutto il contrario di ciò che nella sua ideologia lo Stato raccomanda: prostituirsi, sottrarre risorse al governo, fare negozi illeciti, mettere in piedi forme di mercato nero. La maggior parte della popolazione sopravvive grazie alle rimesse dei parenti che vivono all’estero. Per assurdo proprio coloro che l’ideologia ufficiale definisce vermi e scorie, mandano avanti l’asfittica economia nazionale.

Un applauso convinto dei partecipanti alla serata sottolinea il consenso con cui vengono accolte le parole di Yoani. La blogger conclude ringraziando il pubblico e invita tutti ad “avvicinarsi alla vera realtà cubana, allontanandosi dalla propaganda ufficiale”.
È sempre un piacere ascoltare questa giovane e coraggiosa cubana che ha il dono della chiarezza e della sintesi. Avremo occasione di sentirla di nuovo il 18 giugno, ad Aosta, per un evento blogger al quale è stata invitata, ma vista la situazione crediamo che sarà possibile parlare con lei grazie al solito collegamento telefonico. Il suo tono sicuro e fermo fa sperare che non sia lontano il giorno in cui potremo festeggiare la nascita di una vera Cuba libre.

Gordiano Lupi

Nero tropicale, di nuovo in libreria


Cuba riduce le imposte e amplia i paladares per stimolare nuovi negozi privati


L’Avana, 28 maggio 2011 - Il governo cubano ha abbassato le imposte per stimolare la contrattazione di mano d’opera e ha autorizzato una maggior capacità per i famosi paladares (ristoranti), nel quadro delle misure che cercano di facilitare le imprese private. La notizia proviene dal quotidiano ufficiale Granma.

La normativa è stata approvata dal Consiglio dei Ministri in una recente riunione guidata da Raúl Castro, con lo scopo di “rendere più agevole l’accesso al lavoro por cuenta propia (privato) come valida alternativa all’impiego pubblico”, ha scritto l’organo del Partito Comunista Cubano.

Granma ha precisato che la normativa andrà in vigore da questo mese di giugno e avrà la durata di un anno. Il quotidiano governativo (il solo ammesso a Cuba) ha espresso soddisfazione perché da ottobre - mese in cui hanno avuto inizio le liberalizzazioni - sono già 314.538 i cubani entrati nel lavoro privato.

Il lavoro privato è una delle misure principali del piano di riforme economiche realizzato dal governo di Raúl Castro, ratificato nel corso del recente Sesto Congresso del PCC, per rendere più efficiente il modello economico cubano.

Il governo ha deciso anche di ampliare da 20 a 50 coperti la capacità dei famosi paladares, piccoli ristoranti che prima della riforma di Raúl Castro potevano funzionare solo con 12 coperti ed esclusivamente con impiegati che facevano parte della famiglia. All’Avana e in altre città sono nati nuovi paladares, che adesso possono vendere carne di manzo e frutti di mare, un tempo proibiti.

Il Consiglio dei Ministri ha autorizzato la contrattazione della forza lavoro nei 178 uffici autorizzati e ha stabilito l’esonero dalle imposte per le imprese con meno di 5 impiegati. Le misure comprendono riduzioni di imposte generalizzate, una delle richieste più pressanti da parte dei nuovi impresari. Le imposte a carico dei cubani che affittano le loro case sono state ridotte del 25% per il 2011. Sono stati sospesi i tributi – da tre a sei mesi – per gli autotrasportatori e per chi affitta abitazioni ma sta eseguendo riparazioni.

Il Consiglio dei Ministri si è incaricato di “identificare le attività poco produttive, fondamentalmente nel settore gastronomico, che renderebbero di più se fossero gestite da lavoratori por cuenta propria”, cosa che il Governo ha già cominciato a fare nel 2010 privatizzando i negozi di barbieri.

“Mano a mano che aumenta il numero dei lavoratori privati si rende necessario adottare misure che facilitino l’esercizio di tali attività”, ha scritto Granma. “Il settore privato deve essere ampliato: la strada giusta è rettificare le cose che non vanno un poco alla volta, secondo lo sviluppo del procedimento di privatizzazione”.

Attendiamo con fiducia gli sviluppi.

Gordiano Lupi

Nella foto: una cameriera serve i clienti de La Moneda Cubana, un ristorante privato de L’Avana Vecchia

venerdì 27 maggio 2011

I lavori per il popolo e gli affari per il governo


Omar Santana, con le consuete armi della satira stigmatizza molto bene la situazione cubana in tema di lavoro privato. La vignetta è tratta da El Nuevo Herald di oggi (28/5/11).
Raul Castro (rivolto al popolo): "Ricordate i negozietti del 1968? Potete aprirli un'altra volta. Noi, invece, ci occuperemo delle altre attività". 

Arrestati dissidenti a Santa Clara


Arrestati Guillermo Fariñas, Librado Linares e altri 15 dissidenti

I dissidenti sono stati arrestati mentre marciavano pacificamente verso la sede della Sicurezza di Stato di Santa Clara.

La notizia è di queste ore. La fonte è Radio Martì.

Forze repressive cubane hanno arrestato a Santa Clara il Premio Sakarov 2010, Guillermo Fariñas, e l'ex prigioniero politico del Gruppo dei 75, Librado Linares.
Una denuncia dell'attivista Frank Reyes López precisa che dopo l'arresto a Santa Clara della dissidente Idania Yanes Contreras, un gruppo di persone ha dato vita - nella giornata di giovedì - a una marcia di protesta. Sono stati tutti arrestati. I fermati sono 17, ma i personaggi più noti del gruppo sono Fariñas e Linares.

La notizia è stata confermata dalla dissidente ed ex prigioniera politica Martha Beatriz Roque Cabello.


Gordiano Lupi

Cuba e la legge agraria

Terre incolte, tra crisi e precipizio




Cuba affronta una crisi di vasta portata. Se i cambiamenti non saranno drastici, difficilmente potrà risolvere i problemi economici e sociali.

I cittadini cubani possono avere le terre in usufrutto per 10 anni, gli stranieri - per costruire campi da golf - quasi 100.

Il decreto sulle terre in usufrutto non permette che il contadino costruisca la sua casa

Cuba deve importare grano, caffè, verdure, farinacei, persino zucchero, perchè la produzione agricola è ferma e deve essere incentivata. "Siamo tra la crisi e il precipizio", per riprendere una frase di Raúl Castro pronunciata durante il VI Congresso del Partito Comunista. I cambiamenti dovranno essere profondi e strutturali, se si vogliono risolvere i problemi economico - sociali.

La riforma più importante in tema di agricoltura sarebbe la tanto attesa concessione in usufrutto ai contadini della metà delle terre incolte di proprietà statale. La misura ha incontrato un ostacolo enorme che ha scoraggiato molti contadini, perchè il contratto di usufrutto è fissato per soli 10 anni, quando la Cina - per fare un esempio - fece il gran salto nella produzione agricola concedendo lo sfruttamento delle terre per un tempo che andava dai 50 ai 90 anni. Dieci anni sono pochi per programmare un'attività economica, ma la cosa che più ha infastidito i contadini cubani è che il termine di usufrutto concesso agli stranieri per costruire campi da golf su terre incolte è di 99 anni.

Il contratto di usufrutto può essere non rinnovato, l'usufruttuario è obbligato a vendere il raccolto a prezzi fissi, inferiori ai prezzi di mercato e non può costruire la propria casa sul terreno in concessione. La grande promessa della Legge di Riforma Agraria del 1959, sul fatto che i contadini dovevano essere proprietari delle terre che lavoravano, è rimasta ingabbiata per oltre mezzo secolo per colpa di uno Stato che vuole controllare tutto.

La sola soluzione per lo sviluppo dell'agricoltura cubana resta la scelta di dare la terra ai contadini. Non esistono strade alternative.


Gordiano Lupi

La Stampa: campi di golf a Cuba. Yoani: i terroristi non sono più benvenuti.

giovedì 26 maggio 2011

Missili in Venezuela... corsi e ricorsi storici!


Autore: Garrincha, un geniale cubano che vive a Miami (http://garrix.blogspot.com/).

Chavez: - La stampa sta già parlando dei missili che mi hai installato in Venezuela.

Armadinejad: - Maledetti paparazzi!

Piccoli uomini a bordo letto (il popolo): - Ha il viagra radioattivo?

Della serie: la storia non insegna niente...
Ricordate la crisi dei missili a Cuba?

Fidel Castro vivrà 140 anni, nonostante la malattia


Sono parole del suo ex medico, presidente del Club dei 120 anni a Cuba, Eugenio Selman,che ha partecipato alla marcia inaugurale del IX Congresso Internazionale di Longevità Soddisfacente

Fidel Castro, compierà 85 anni il 13 agosto, ma vivrà 140 anni, nonostante il grave problema di salute che l’ha colpito nel 2006, secondo Eugenio Selman-Housein, che per anni ha diretto lo staff medico dell’ex Capo di Stato. “Vivrà 140 anni. Ne sono più che certo”, ha detto convinto il vecchio medico alla stampa, dopo aver inaugurato all’Avana il IX Congresso Internazionale di Longevità Soddisfacente.

Fidel Castro ha conservato il potere per 48 anni e gli è succeduto il fratello Raúl, nel luglio 2006, a causa di una grave malattia. Non fa parte del Club dei 120 anni, presieduto da Selman-Housein, perché secondo il medico “a lui non bastano”. “È un uomo incredibile sotto tutti gli aspetti: umano, intelligente, coraggioso”, ha sottolineato lo specialista, che dirige un club con 7.000 iscritti.

Il medico, 81 anni, ha ricordato che il leader comunista ha smesso di fumare da oltre vent’anni, grazie a tale decisione il tessuto polmonare e la gola hanno recuperato un buono stato di salute. Dopo la malattia, Fidel Castro, che per decenni ha tenuto un ritmo di vita frenetico, è stato sottoposto a diverse operazioni chirurgiche che inizialmente non sono servite a niente e si è trovato vicino alla morte. Da circa un anno, visibilmente migliorato, Castro è riapparso in pubblico e ha tenuto alcuni incontri accademici. Si dedica a scrivere le sue memorie e articoli di stampa su problemi internazionali.

I giornalisti hanno chiesto a Selman-Housein se Castro si rivolge a lui per avere consigli medici, ma il vecchio specialista ha risposto con la cautela di sempre: “Sono medico e, come medico, se qualcuno mi chiede un parere rispondo”.

Il IX Congresso Internazionale di Longevità Soddisfacente riunisce per tre giorni circa 500 delegati di diversi paesi e giovedì celebrerà un incontro di centenari.

Gordiano Lupi

mercoledì 25 maggio 2011

Pedro Pablo Oliva e la repressione a Cuba

Subito sconfessate dai fatti le opinioni dei vescovi

A Cuba è forte solo la repressione


(Pedro Pablo Oliva)

Pedro Pablo Oliva, il pittore di Pinar del Río che si è visto chiudere il laboratorio per presunte simpatie con settori della dissidenza, ha scritto : “Mi accusano di aver reso pubblico il mio pensiero nel terreno della dissidenza! Posso solo dire che per esprimere opinioni non temo nessun tipo di spazio. Mi imputano di tenere relazioni di amicizia con certi elementi controrivoluzionari. Rispondo che gli amici me li scelgo da solo! Sono un uomo che non sa tacere di fronte alle cose che considera sbagliate. Non esistono società in cui tutti pensano allo stesso modo, perché non esistono terreni tanto polemici come la politica e l’ideologia. Cuba non finisce con i suoi confini e verrà il giorno in cui potrà accogliere tutti i cittadini sparsi per il mondo. Ho diritto ad avere dei dubbi e devo poter aprire il mio laboratorio di pittura anche se non condivido l’ideologia al potere. Questa terra ci appartiene come diritto di nascita. Non è frutto di un diritto assegnato dal partito!”.

Yoani Sánchez si è schierata subito dalla parte del pittore di Pinar del Río, dedicando alla sua situazione un post di Generación Y e alcuni Twitter. A suo parere è quasi impossibile essere un intellettuale indipendente in un Paese retto da Istituzioni Inique. Tra l’altro si è verificato un nuovo episodio di intolleranza perché è stato espulso il blogger Henry Contantin dalla sua scuola, l’Istituto Superiore d’Arte. Contantin è membro della rivista Convivencia. Tutto ciò dimostra che le dichiarazioni dei due vescovi cattolici a La Republica - in tema di democrazia a Cuba - sono state eccessivamente ottimiste. Yoani rincara la dose: “Studiare a Cuba è gratis, ma comporta un bavaglio ideologico. Preferirei pagare ma essere libera. Il denaro rende più indipendenti che il dispotismo!”. E ancora: “Voglio avvertire il governo cubano: se mi lasciano libera di viaggiare perdono, se non mi lasciano viaggiare perdono lo stesso. Da qui racconto l’Isola grazie a Twitter!”.

Il suo grido disperato è sempre lo stesso: “Che finiscano le purghe, le accuse per motivi ideologici, la demonizzazione dei non conformi. Non devono più esserci esclusioni!”. Yoani vorrebbe una vera Cuba libre!


Gordiano Lupi

Strane manovre per salvare il socialismo


Grazie a un piano di oltre 300 riforme promosse da Raúl Castro sta nascendo una nuova classe imprenditoriale e un nuovo modo di pensare.

Gli oppositori del Governo sostengono che il Pese ha bisogno di cambiamenti economici più profondi e anche di riforme politiche al sistema del partito unico.

La salvezza del sistema socialista sta seguendo strade un tempo giudicate impraticabili per molti cubani, visto che la gente ha cominciato a sentire per la prima volta in mezzo secolo parole come "concorrenza", "commercializzazione" e "opportunità".

Un reportage di Jeff Franks, giornalista dell'agenzia Reuters, mette in evidenza che dalle oltre 300 riforme promosse da Raúl Castro sta nascendo una nuova classe imprenditoriale e un nuovo modo di pensare in un paese che per anni ha resistito ai cambiamenti economici.

Secondo le cifre ufficiali 310.000 cubani lavorano legalmente por cuenta propia, tra loro 221.000 hanno ottenuto la licenza come lavoratori privati da ottobre, quando Castro annunciò l'espansione del settore.

Il piano di riforme cerca di modernizzare la debilitata economia cubana di stile sovietico, per cercare di salvare il socialismo inaugurato dopo la rivoluzione del 1959.

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha definito limitati i cambiamenti, ma nell'isola dei fratelli Castro molte persone hanno accolto con favore il piano di riforme, nella speranza che sia solo la prima tappa per modificazioni ancora più radicali del sistema.

Nel reportage di Franks leggiamo interviste e opinioni più disparate, molte di loro, però, sono improntate a un ragionevole ottimismo. "Le riforme sono un'opportunità per i cubani, rappresentano un primo passo. Credo che Cuba stia cambiando in meglio", ha detto Giselle Nicolás, proprietario del nuovo ristorante La Galería, nel quartiere del Vedado, all'Avana.

Non ci sono dubbi che il panorama economico sta cambiando. Il giornalista di Reuters scrive che le persone stanno mettendo in piedi attività nei portoni e sui marciapiedi, dove vendono di tutto: dagli alimenti agli oggetti per la casa e offrono servizi di riparazione per scarpe, telefoni cellulari e orologi. Altri imprenditori offrono servizi da parrucchieri nei garages oppure si spostano da un quartiere all'altro per vendere fiori, dolci o prodotti agricoli.

Franks ricorda che una recente riunione del Consiglio dei Ministri ha espresso preoccupazione per il gran numero di imprenditori che stanno bloccando i marciapiedi con i loro punti vendita, modificando la struttura architettonica delle città. Si è deciso di affittare ai privati alcuni spazi non utilizzati dalle imprese statali.


Il Boom dei paladares

Il reportage di Jeff Franks afferma che il 22% delle nuove licenze di lavoro por cuenta propria è stato concesso a venditori di alimenti, provocando il boom dei ristoranti privati noti come paladares e la relativa concorrenza. Alejandro Robaina, padrone del ristorante La Casa, uno dei più antichi dell'Avana, ha detto che l'apertura di negozi adesso deve offrire nuovi servizi e promuovere le offerte, con la difficoltà di un paese dove la pubblicità è quasi inesistente. Robaina da gennaio ha aperto un sito web (restaurantelacasacuba.com), un blog e uno spazio Facebook che raggiunge i pochi privilegiati che a Cuba hanno accesso a internet, per richiamare l'attenzione dei visitatori. Robaina offre ai clienti abituali pranzi a prezzi speciali e per i turisti si è messo a dare lezioni di cucina cubana. Nel blog c'è una foto che ritrae lui, la madre, Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, e l'attore britannico Clive Owen. Aggiunge Franks che altri paladares sono aperti 24 ore su 24, svolgono consegne a domicilio e regalano un pranzo gratis ai clienti che hanno già speso la cifra di 1.000 dollari. "Si deve stare sempre all'erta per non farsi battere dalla concorrenza", dice Robaina. "Ma sia benedetta la concorrenza!".

Le riforme promosse da Castro modificano il modo di pensare anche nelle imprese statali. Nella provincia di Ciego de Avila, nel centro di Cuba, alcune aziende agricole sono state strutturate in maniera tale che i lavoratori vengano pagati secondo la produtività. L'idea del salario fisso sta lentamente scomparendo. "La cosa importante è che chi lavora ottiene vantaggi", ha detto Jorge Félix Martín Iglesias, funzionario del Partito Comunista di Ciego de Avila. La maggior parte dei lavoratori ha riferito di guadagnare il doppio o il triplo del salario mensile medio, attestato sui 20 dollari. "Sto lavorando sei giorni a settimana, ma sono molto contenta", ha detto un'impiegata agricola mentre puliva vegetali appena colti.



Mantenere il comunismo

Il reporter di Reuters aggiunge che le misure possono sembrare vagamente capitaliste, ma a Cuba il sistema è ancora comunista. Nelson Blanco, capo di un'importante azienda agricola statale, ha detto che il suo salario mensile è di 40 dollari, meno di quanto guadagnano i suoi lavoratori. Il funzionario ritiene che sia più che giusto, perchè è l'operaio che compie il maggior lavoro fisico ed è normale che venga pagato meglio di chi progetta e dirige.

Il Governo sta pensando di concedere altre 250.000 licenze per il lavoro por cuenta propia, ma la cifra è suscettibile di lievitare. Franks afferma che si tratta di una scelta necessaria per attuare il piano di Castro, che vuole licenziare oltre un milione di impiegati statali, il 20% della forza lavoro . Bisogna vedere se le riforme saranno sufficienti per mantenere a galla il socialismo cubano, ma per il momento si registra un positivo effetto psicologico sulla popolazione.

"La gente era come morta (...), adesso per lo meno stanno pensando, cercano l'idea giusta per aprire un piccolo negozio...", ha detto uno psicologo che non ha voluto rivelare la sua identità.

Gli oppositori sostengono che il paese ha bisogno di cambiamenti economici più profondi, oltre a riforme politiche in senso democratico. Ma i governanti cubani hanno parlato poco di riforme politiche e, secondo Richard, un calzolaio che ha da poco aperto un'attività privata, non servono. "Al cubano interessa far festa, vestirsi bene, godere la vita, (...) al cubano non interessa la politica, non sa che farsene della libertà di stampa", ha detto al giornalista di Reuters mentre riparava un paio di scarpe. Sarà stato sincero?

Gordiano Lupi

martedì 24 maggio 2011

La Chiesa cattolica vede una Cuba democratica


I dissidenti non condividono
Manovre di avvicinamento tra poteri forti

Due vescovi cubani hanno riferito al quotidiano La Republica, edito in Uruguay: “A Cuba stiamo assistendo a un cambiamento di mentalità, a una rapida evoluzione verso una democrazia con caratteristiche proprie”. Il vescovo di Holguín, Emilio Aranguren, ha detto che nota elementi nuovi sotto il governo di Raúl Castro, una progressiva evoluzione verso uno Stato più democratico.

I prelati Aranguren e Juan de Dios Hernández, vescovo ausiliario dell’Avana, hanno preso parte alla trentatreesima Assemblea Ordinaria del Consiglio Episcopale Latinoamericano, che si è tenuta a Montevideo.

“Il paese sta facendo passi avanti. Possiamo costruire una democrazia con caratteristiche tutte nostre”, ha detto Aranguren.

De Dios Hernández ha affermato: “Cinque anni fa non si sentivano mai pronunciare opinioni diverse, mentre oggi si ascoltano pareri difformi e il governo tiene conto delle idee alternative”.

La Chiesa cattolica sta compiendo una manovra di avvicinamento al governo comunista. Secondo i due vescovi “sono in corso molti cambiamenti, lenti e graduali, ma pur sempre cambiamenti”.

Molti settori della dissidenza criticano le ottimistiche valutazioni.

Il giornalista indipendente Normando Hernández González, condannato a 25 anni di prigione durante la Primavera Nera del 2003, scarcerato grazie alla mediazione della Chiesa ed esiliato in Spagna, ha dichiarato a martinoticias.com: “Sono sconcertato quando sento simili dichiarazioni. A quali cambiamenti si riferiscono i due vescovi?”, ha chiesto ironicamente.

Hernández González ha aggiunto: “Mi rendo conto che il cardinale Jaime Ortega non è il solo uomo di Chiesa vicino al potere cubano, ma anche altri settori ecclesiastici subiscono il fascino del raulismo. Certi vescovi parlano come ministri degli esteri del governo e non come imparziali uomini di fede”.

L’attivista Luis Felipe Rojas ha affermato: “Questi due vescovi non vivono nel mio stesso paese. Il solo cambiamento di mentalità che ha prodotto il governo di Raúl Castro è andato nel senso di una maggior repressione”.

I due vescovi cubani, infine, hanno definito “immorale ed eticamente inaccettabile” l’embargo degli Stati Uniti nei confronti del regime cubano. Aranguren e De Dios Hernández sono in corsa come possibili successori del cardinale Jaime Ortega per il posto di Arcivescovo dell’Avana. Il Papa dovrà presto decidere se avvicendare il cardinal Ortega per raggiunti limiti d’età.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi





Nella vignetta Omar Santana (El Nuevo Herald) stigmatizza con feroce satira i passi avanti del governo raulista.  Vescovo: “Mantieni lo sguardo in un punto fisso e vedrai che avanza!”. I due prelati sono sul dorso di un Raúl Castro versione tartaruga.

sabato 21 maggio 2011

Raúl Castro secondo Domenico Vecchioni


Domenico Vecchioni
Raúl Castro

Pag. 150 – Euro 12
Greco&Greco editori
www.grecoegrecoeditori.it


Domenico Vecchioni è stato Ambasciatore d’Italia a Cuba ed è forse la persona più indicata per affrontare un lavoro che nessuno aveva mai tentato: delineare vita e personalità dell’eminenza grigia di Fidel, il fratello Raúl, che dal 31 luglio 2006 ha preso in mano le redini dell’isola caraibica. Si parte dagli anni della formazione nelle campagne di Birán, dove crescono, insieme agli altri fratelli, come figli di Ángel Castro Argiz e della domestica Lina Ruz. A Cuba si è sempre vociferata la storia di un altro padre per il fratello minore (il cubano di origine cinese Felipe Miraval), mettendo anche in evidenza le difficoltà a farsi accettare nelle scuole dei gesuiti perché schedati come figli di madre ignota. Il divorzio riparatore da Maria Argota, il nuovo matrimonio con la serva e la regolarizzazione della prole saranno tardivi (1943), quando Raúl Modesto Castro ha 12 anni, si è fatto notare come uno studente svogliato, poco dotato sia nello sport che nello studio. Tutto il contrario di Fidel, verso il quale Raúl matura sin da piccolo un senso di venerazione quasi paterna, eleggendolo a mito e modello da seguire. Raúl ama assistere ai combattimenti di galli in una piccola arena del villaggio, è introverso, irascibile e soffre di un grande complesso di inferiorità nei confronti del fratello. Il collegio dei gesuiti è così duro che la scarsa propensione allo studio di Raúl risalta ancora di più, a vantaggio del più capace Fidel.

Domenico Vecchioni mette in evidenza il fatto che Raúl è sempre stato comunista, pure ai tempi in cui Fidel simpatizzava per il Partito Ortodoxo del carismatico Eduardo Chibás (suicida in diretta radiofonica con un colpo di pistola), anche se non ha mai avuto la loquacità, la forza di persuasione, la memoria, la cultura storica e il magico intuito politico del fratello maggiore. Raúl è comunista sin dal 1951, per merito del fratello che gli fa leggere L’origine della famiglia di Engels, ma sceglie fin dai tempi della lotta politica all’università dell’Avana di essere il braccio destro di Fidel. Il fratello si impegna come feroce oppositore di Batista, soprattutto dopo il rapido e incruento colpo di Stato del 1952, che cancella la moderna e democratica Costituzione del 1940. In ogni caso la Cuba di Batista presenta un’economia florida e un reddito medio di 341 dollari pro capite (al tempo in Italia erano 241), anche se - e questo scatenerà la ribellione dei ceti medi - le differenze sociali sono elevate, la corruzione e la violenza (pure di Stato) ai massimi livelli.

Raúl vive tutta la vita all’ombra del fratello, nutre verso di lui un timore reverenziale condito di illimitata fiducia, viene modellato e manipolato. Studia marxismo a Vienna, Cecoslovacchia, Ungheria, sbarca all’Avana ed è arrestato per propaganda sovversiva, perché ha la valigia piena di libri anticapitalisti. Si iscrive al Partito Socialista Popolare e viene ammesso a far parte del Movimento Rivoluzionario fondato da Fidel. Il patto tra i fratelli è suggellato con il primo fatto d’armi: la fallimentare impresa del Moncada, datata 26 luglio 1953 - che darà il nome al Movimento - nella quale Raúl svolge un ruolo marginale. La conseguenza della sconfitta è la reclusione di entrambi nel carcere dell’Isola dei Pini, una detenzione così blanda da permettere ai rivoluzionari di studiare marxismo in cella e di godere di un’amnistia di pacificazione nazionale per la festa della mamma. L’esilio in Messico serve a preparare lo sbarco del Granma e gli anni della Sierra Maestra, ma anche a reclutare Che Guevara e a stringere rapporti con il sovietico Nikolai Leonov, uomo importante per il futuro della lotta armata.

Raúl diventa uno spietato rivoluzionario e comincia a farsi notare come freddo esecutore di condanne a morte per i traditori. Molti cominciano a chiamarlo Raúl il terribile, perché non si tira indietro di fronte alle missioni sporche e non ci pensa due volte a eliminare un nemico. Vecchioni mette bene in evidenza la doppiezza della natura di Raúl: affettuoso in famiglia ma spietato all’esterno, eterosessuale ma con sospetti di omosessualità, amico fidato ma pronto a sacrificare l’amicizia se Fidel lo chiede, nemico giurato della borghesia e dei suoi agi ma non rinuncia alle comodità della nuova borghesia rivoluzionaria, innamorato della moglie Vilma ma sempre a caccia di avventure. La sola costante nella doppiezza di Raúl è l’obbedienza e l’ammirazione nei confronti del fratello - icona, ma l’autore afferma che i due sono sempre stati complementari l’uno con l’altro, diversi ma non incompatibili, spesso resta il dubbio che le presunte diversità ideologiche siano state solo un gioco politico. La tesi di Vecchioni è suggestiva: Fidel e Raúl vogliono solo il potere, non importa come raggiungerlo, il primo si dichiara non comunista e raccoglie tutto il dissenso dei democratici contro Batista, lasciando il ruolo del marxista ortodosso al secondo che lavora nell’ombra. Una volta raggiunto il potere cominciano le epurazioni dei moderati: Camilo Cienfuegos, il volto romantico e più cubano della rivoluzione, muore in un provvidenziale incidente aereo, Huber Matos viene condannato a vent’anni di galera, altri come Carlos Franqui sono costretti all’esilio. La Rivoluzione divora i suoi figli come Saturno, ma le prime vittime non saranno le sole, perché finirà per sbranare anche uomini di cultura come Heberto Padilla, Reinaldo Arenas e Cabrera Infante. Chi non è d’accordo con le idee di Fidel è un traditore, un disfattista, un controrivoluzionario che merita la condanna a morte, la prigione, la morte sociale e - nel migliore dei casi - l’esilio.

La sovietizzazione di Cuba vede Raúl in primo piano, perché è lui l’uomo di Mosca, da sempre affascinato dalla dottrina marxista - leninista, così come sarà il personaggio chiave nella pericolosa faccenda dei missili concessi da Kruscev.

Raúl si guadagna l’appellativo di terribile, durante la guerra sporca contro i dissidenti rifugiati sull’Escambray, definiti banditi, controrivoluzionari e mercenari statunitensi grazie a un abile lavoro mediatico. Sarà un massacro di almeno tremila civili che avevano la sola colpa di non credere alle idee di Fidel. Raúl è l’ideatore delle Umap, lager tropicali dove vengono rinchiusi omosessuali, santeros, preti, rockettari, antisociali di varia natura, per essere rieducati con il lavoro alla morale socialista. Adesso la figlia Mariela è stata capace di affermare che suo padre e Fidel non sapevano niente di quel che succedeva là dentro perché erano troppo impegnati a costruire l’uomo nuovo socialista.

Raúl è la persona che più di tutti ha cercato di tenere unita la famiglia Castro e che ancora oggi si dà un gran da fare per piazzare nei posti di potere figli e parenti. Il figlio Alejandro viene descritto come il possibile erede politico, ma anche la figlia Mariela è sempre più alla ribalta delle cronache per le sue posizioni moderne e controcorrente a difesa del mondo gay. Tra l’altro è sposata in seconde nozze con l’italiano Paolo Titolo, ex fotografo siciliano innamorato del mito rivoluzionario, ed è stata a un passo dal prendere la cittadinanza italiana.

Raúl è l’ideatore delle FAR (Forze Armate Rivoluzionarie), è uno dei più accesi sostenitori della guerra di Angola e svolge sempre un ruolo da eminenza grigia di Fidel. I Servizi segreti e la Sicurezza di Stato sono alle sue dipendenze, quindi è un grande conoscitore di segreti, un compilatore di dossier riservati su ogni personaggio importante, il vero Grande Fratello di Cuba. Villa Marista è una sua creatura, un centro di detenzione molto duro, dove gli agenti lavorano con metodi spietati per far confessare i prigionieri politici, ma anche le Brigate di risposta rapida e lo spionaggio internazionale sono sempre stati alle sue dipendenze.

Il caso Ochoa, dopo la guerra di Angola, porta ancora una volta Raúl alla ribalta, ma in senso negativo, perché è l’accusatore principale di un uomo divenuto troppo popolare per poter coesistere con Fidel, anche perché è ritenuto vicino alle posizioni di Gorbachov e crede in una perestroika cubana. Fidel e Raúl inventano a suo carico corruzioni, insubordinazioni, complotti, traffico di diamanti e di droga. Ochoa confessa tutto, dopo un processo stalinista, ma non ottiene in cambio la vita, perché viene fucilato senza pietà.

Vecchioni afferma che Raúl è più disteso, meno aggressivo, sa delegare e spesso segue i consigli che richiede ai suoi subordinati. Per questo motivo i raulisti sono in aumento e preferiscono i suoi metodi ai sistemi usati da un impulsivo e decisionista Fidel. Raúl ha sempre fatto di tutto per farsi apprezzare dal fratello, che in realtà lo stima, ma non lo dà troppo a vedere, minimizza il suo operato, anche se sa che è la sola persona di cui si può fidare. Tutte le altre, prima o poi, vengono epurate: Roberto Robaina, Carlos Lage, Perez Roque lo dimostrano. Non sono i soli. Raúl è il principale responsabile di un altro atto di grande intolleranza politica, un vero e proprio omicidio di quattro piloti dell’organizzazione Hermanos al rescate, che il 14 febbraio 1996 vengono abbattuti mentre compiono un volo dimostrativo sui cieli dell’Avana.

Vecchioni scava nel complesso rapporto psicologico tra i due fratelli. Fa notare che con il passare degli anni la presenza di Raúl nella sfera pubblica cresce e diventa più visibile nelle cerimonie ufficiali. Si innamora del modello economico cinese e crede nella modernizzazione agricola, industriale, tecnico - scientifica e militare, che conceda spazi all’iniziativa privata, a cominciare dai contadini che devono poter vendere i prodotti delle loro terre.

Raúl e Fidel non sembrano molto d’accordo su questo punto, perché il secondo teme che cambiando la forma economica di Cuba si sgretolerebbe anche la forma politica.

Raúl prende il potere nel 2006 e comincia a parlare di attuare le sue riforme, annunciando il licenziamento di 500.000 dipendenti pubblici che dovranno riconvertirsi come lavoratori privati. Non solo, teorizza di retribuzioni commisurate al merito e alla quantità di lavoro. Capitalismo selvaggio travestito da comunismo, ma il modello cinese non può essere attuato in pieno, perché il Partito deve mantenere il monopolio e lo Stato deve avere la proprietà dei mezzi di produzione. Raúl, nonostante sia comunista e ateo, stringe accordi con la Chiesa e libera (per esiliarli in Spagna) diversi prigionieri politici, ammettendo per la prima volta - implicitamente - che non sono delinquenti comuni. Il suo approccio al potere è meno burocratico e più autocritico, sembra ascoltare i reclami della gente e pare disponibile a migliorare la situazione, almeno da un punto di vista economico.

Torna la teoria propugnata da Vecchioni. Secondo l’autore Fidel e Raúl non sono mai stati in disaccordo, ma si sono divisi i ruoli, da sempre, e pure adesso recitano il gioco delle parti per disorientare gli osservatori. Di fatto le aperture economiche, senza il minimo cambiamento politico, sarebbero condivise anche da Fidel, che si è ritagliato un ruolo da padre della patria e da vecchio saggio che scrive Riflessioni sul Granma e aspira - udite, udite! - al Nobel per la Pace. I veri problemi di Cuba restano lettera morta, non se ne parla, oppure si accennano per pura demagogia e subito dopo vengono ricacciati nel dimenticatoio. Riassumiamoli: poter viaggiare all’estero, spostarsi liberamente nel paese, comprare case e automobili, abolire l’assurdo sistema della doppia moneta, diritti umani e libertà civili, democratizzazione della vita pubblica, pluripartitismo. Il programma politico - economico di Raúl è gattopardesco: che tutto cambi perché niente cambi, cedendo solo sulle forti iniezioni di capitalismo per salvare il potere. Cuba importa l’80% dei generi alimentari che consuma, ha un debito estero di 20 miliardi di dollari ed è troppo semplice incolpare di tutto l’embargo. Raúl pensa che il modello cinese potrebbe funzionare anche ai tropici e dopo aver militarizzato lo staff economico comincia a dare il via a timide riforme, per il momento insufficienti, come le prime licenze per lavoratori privati, che vanno di pari passo alle alte tasse (fino al 40% dei redditi).

Il futuro di Cuba è critico, forse peggiore del presente - ammonisce Vecchioni - perché è difficile vedere un uomo come Raúl nelle vesti del riformatore. La repressione politica continua a essere forte nei confronti dei dissidenti e la rivolta sociale potrebbe essere vicina, perché la situazione è diventata insostenibile. Una giovane blogger come Yoani Sánchez ha aperto una crepa nell’informazione cubana - asservita al potere - perché la variabile Internet non era compresa tra i possibili nemici. Raúl sta correndo ai ripari anche su questo fronte, ma l’età gioca contro di lui. Non resta che attendere.

Gordiano Lupi

venerdì 20 maggio 2011

"La Chiesa cubana evita di entrare in conflitto con il governo"



Colloquio con José Conrado Rodríguez, parroco di Santiago De Cuba


José Conrado Rodríguez, il più critico dei sacerdoti cubani, esprime tutto il suo scetticismo sui presunti benefici ottenuti dalla Chiesa dopo i colloqui con il governo che hanno portato alla liberazione di oltre 100 prigionieri politici.

“L’arcivescovo dell’Avana, cardinal Jaime Ortega Alamino, adesso ha maggiori rapporti con chi detiene il potere e questo può essere considerato un vantaggio per i cubani e per tutti i cattolici, ma in termini pratici non riveste grande importanza”, ha detto padre Conrado Rodríguez a El Nuevo Herald e a The Miami Herald. “La Chiesa occupa uno spazio maggiore nella società civile, ma solo per dire cose che non diano fastidio al potere”, ha aggiunto.

José Conrado Rodríguez è stato recentemente a Cracovia per incontrare il cardinale polacco Stanislaw Dziwisz, che lo ha esortato ad andare avanti, mostrando di capire quante pressioni subisca la Chiesa cubana da parte del governo comunista. “Mi ha detto che la Chiesa deve stare sempre dalla parte del popolo, non può abbandonarlo, perché Dio è con il popolo. La Chiesa cubana è molto vicina alle esigenze della gente”, ha commentato Rodríguez.

Rodríguez Conrado ha 59 anni, ha vissuto molto tempo all’estero, dove si reca periodicamente per motivi ecclesiastici e di studio, è noto come il sacerdote più critico nei confronti del governo cubano, anche se certi settori della dissidenza di Miami hanno disapprovato la sua opera di mediazione e i rapporti bilaterali Stato - Chiesa. In passato Padre Conrado ha scritto molte lettere di dura critica sia a Fidel Castro che al fratello Raúl, è noto per il suo rapporto di amicizia con il mondo dei blogger indipendenti e per la sua relazione con Yoani Sanchez. Il sacerdote è stato accusato dalla Sicurezza di Stato per aver dato rifugio - nella sua parrocchia di Santa Teresita a Santiago di Cuba - a gruppi di dissidenti e a persone ricercate dalla polizia per motivi politici.

“Ho l’impressione che la Chiesa si sia guadagnata soltanto una presenza nei mezzi di comunicazione di massa durante le fasi di liberazione dei prigionieri politici”, ha detto. I colloqui tra il cardinal Ortega e Castro, iniziati un anno fa, hanno portato alla liberazione di oltre 100 detenuti. “Ma tutti sono stati messi in libertà solo dopo aver accettato di andare in esilio in Spagna”, ha precisato il sacerdote. “Non solo. Ad alcuni familiari che hanno accompagnato i prigionieri a Madrid è stato negato il permesso di fare ritorno a Cuba. Una grave violazione dell'accordo siglato con il cardinal Ortega...”, ha concluso.

Rodríguez ha parlato anche delle riforme promesse da Castro. "Non le definirei un'apertura, ma una piccola porta semiaperta che deve essere spinta. Insufficiente, certo, ma bisogna passare da quella porta”. Il sacerdote ha aggiunto: “I cubani stanno perdendo sempre di più la paura, non temono le rappresaglie governative, si esprimono, reclamano i loro diritti, perché si sentono troppo frustrati". Rodríguez si è detto d'accordo con la decisione di consentire le visite dei cittadini degli Stati Uniti che vengono a Cuba con permessi umanitari e religiosi, perché portano sostegno materiale e morale. “Purtroppo due anni fa, agenti della Sicurezza di Stato obbligarono un gruppo di visitatori statunitensi ad abbandonare immediatamente Santiago, perché erano venuti a trovarmi in parrocchia, affermando che io ero considerato un nemico invece che un sacerdote. Si è trattato di un episodio umiliante e spiacevole”, ha concluso padre Conrado. Quel gruppo di persone non è più andato a trovarlo, adesso quando vengono a Cuba si recano nelle parrocchie di sacerdoti meno pericolosi...

Gordiano Lupi

giovedì 19 maggio 2011

Un giorno all'estero


Arrivò a Cuba innamorata della rivoluzione, alla fine degli anni Settanta. Si sposò con un generale e prese residenza nell’isola-paradiso, per realizzare i suoi sogni. Frequentò sempre persone di un certo livello, la così detta nomenclatura, e visse gli ultimi trent’anni come una principessa. La perestroika, la glasnost, la caduta del Muro di Berlino del Muro de Berlín e il conseguente crollo del blocco socialista le giunsero come echi dalla lontana Europa, che saggiamente si era lasciata alle spalle. Dalla sua casa di Siboney ascoltò la litania del Periodo Speciale, ma quando guidava la sua Lada nella Quinta Avenida, le cose non sembravano così male. Siccome le arrivava poca luce comprò un impianto elettrico, al tempo stesso suo marito procurava sempre prodotti di importazione per le necessità di casa. Niente di nuovo sotto il sole.

Aveva stretto alcune amicizie, quasi tutte tra persone iscritte al Partito Comunista. Ma agli inizi del 2000 poche di loro vivevano ancora a Cuba, mentre tutte avevano rinunciato agli incarichi politici e al Partito. La politica non era mai stato un argomento importante nelle loro conversazioni, mentre si parlava molto di pranzi, creme, giornate al mare e bella vita. Un poco alla volta il bisogno divenne l’argomento più importante dei loro dialoghi: A chi poteva interessare il mare azzurro e la rena bianca di Varadero se non c’era un uovo da mettere in tavola? La bestia politica era un motivo di discordia e non la lasciava mai sola.

Una volta decise di regalare alle sue amiche una giornata speciale: spiaggia, ristorante e albergo. Uscirono di buon mattino e tornarono a notte fonda. Quando scesero dall’automobile una di loro le disse soddisfatta: “Grazie per questo meraviglioso viaggio all’estero!”.

Fu l’ultima volta che si videro.


Traduzione di Gordiano Lupi

Potente campagna mediatica contro Cuba


Omar Santana su El Nuevo Herald di oggi.

La vignetta mostra un'edicola cubana che vende ed espone solo il Granma (quotidiano unico nazionale e organo ufficiale del Partito Comunista Cubano). Il titolo - in caratteri cubitali colore rosso - dice: "Potente campagna mediatica contro Cuba". Nel frattempo, sull'isola, la campagna mediatica pare di segno contrario... parla solo il Granma!

Gordiano Lupi

mercoledì 18 maggio 2011

Yoani Sanchez: "Poter scegliere il compagno, ma anche i governanti!"

La blogger cubana Yoani Sánchez ha detto di credere nel rispetto della diversità, ma non solo quella di gusti sessuali. I cubani vogliono essere liberi di scegliere il compagno di vita ma anche chi li deve governare.



Martedì notte, Yoani Sánchez ha ricevuto nel suo appartamento oltre cinquanta persone collegate alla comunità gay cubana, per vedere il film When night is falling (Quando scende la notte).
La blogger aveva partecipato in videoconferenza al dibattito #iberoaméricadice, organizzato dalla Casa de América di Madrid, presso il municipio Plaza, nella sede dell'Ambasciata spagnola, per celebrare la Giornata Mondiale di Internet. Yoani ha affermato che la tecnologia e le reti sociali, specialmente Twitter, sono la salvezza di molti cittadini cubani, perché la loro voce può superare i confini dell'isola. L'intervento della blogger è stato seguito tramite Twitter dai naviganti di tutto il mondo che hanno potuto scambiare opinioni e interagire con lei. “Mi aggrappo a questi 140 caratteri (il limite permesso su Twitter). Finché ho la possibilità di digitare messaggi non esiste alcuna prigione, nessun colpo è mortale”. Durante la videoconferenza, Yoani ha assicurato: “Per noi cubani comunicare con il mondo esterno è difficile, ma il microformato di Twitter ci permette di denunciare misfatti, repressioni e violenze. Inoltre è il nostro miglior scudo protettivo”. All'incontro hanno partecipato: l'esperta in reti sociali, Gaby Castellanos, il responsabile della comunicazione di Amnesty Internacional, Miguel Calderón, l'esperto di diritti umani e Internet, Javier Bustamante, mentre ha svolto funzioni di moderatore il giornalista Nico Abad. Yoani ha puntualizzato che i blogger cubani non vogliono intromissioni straniere nei problemi nazionali, ma chiedono la solidarietà internazionale affinché l'accesso a Internet divenga un diritto umano per tutti i cubani.
Yoani era stanca per l'impegno pomeridiano, ma ha cominciato a twitteare per descrivere ciò che accadeva nella sua casa. “Adesso la sala è piena” - ha scritto – “e continua a riempirsi di gente. Se almeno potessi estendere il muro della terrazza verso l'infinito!”. Yoani ha protetto e divulgato la riunione di una comunità gay che si è tenuta in casa sua e ha scritto: “La sala della mia casa è piena di gente di ogni tipo. Viva la diversità!” La blogger ha affermato: “Credo nel rispetto della diversità, ma non voglio che sia limitata alla preferenza sessuale. I cubani vogliono essere liberi di scegliere i compagni per la vita ma pure i governanti! Prima di essere individui con una ben determinata preferenza sessuale, sono cittadini”. L'incontro è stato molto animato e interessante, la pellicola è stata vista e commentata dai presenti. “Allegria, allegria, allegria, è la sola parola di cui ho bisogno per definire questa notte”, ha concluso Yoani.

Gordiano Lupi

martedì 17 maggio 2011

Le case cubane cadono a pezzi


Omar Santana su El Nuevo Herald stigmatizza con intelligente ironia l'esigenza di fabbricare nuove case a Cuba espressa dal quotidiano di Stato Granma.

I nuovi lineamenti del Congresso...


Garrincha su Radio Martì.

Cubano alla finestra: "Guarda, stanno portando per le strade i nuovi lineamenti del Congresso".

La piccola impresa cubana

Per vedere di cosa si parla, quando diciamo cuentapropistas e piccola impresa cubana:

http://www.martinoticias.com/noticias/galeria-fotografica/121650194.html

Fonte Radio Martì

sabato 14 maggio 2011

Il nostro muro di Berlino

di Yoani Sánchez



Il sole brucia forte per strada e nell’ufficio Immigrazione e Affari Esteri le persone sudano abbondantemente per colpa del caldo. Ma nessuno si lamenta. Una parola di critica, una pretesa di troppo davanti ai funzionari che lavorano in quel reparto può provocare un castigo. Per questo tutti fanno silenzio e guardano verso la parete senza neppure azzardarsi a conversare tra loro. In questa sera di maggio un centinaio di persone attendono un permesso per viaggiare fuori da questa Isola. Conosciuta anche come la tarjeta blanca (cartoncino bianco, ndt), questa autorizzazione fa parte dell’assurdo sistema migratorio che impedisce ai cubani di uscire e di entrare liberamente dal loro paese. Il nostro muro di Berlino senza cemento, le nostre frontiere minate prive di esplosivo. Un muro costituito da timbri e carte, controllato dallo sguardo torvo di alcuni militari che si frappongono tra i nostri corpi e il resto del mondo.

Come se non bastasse l’assurdo sistema, dobbiamo aggiungere un alto prezzo da pagare per ottenere il capriccioso permesso di uscita, che oscilla intorno ai 170 dollari. Una cifra che equivale a un intero anno di salario di un professionista medio. Tuttavia, per ottenere questo salvacondotto non basta avere il denaro sufficiente o esibire un valido passaporto, servono altri requisiti non scritti in nessuna prescrizione legale, dobbiamo possedere condizioni ideologiche e politiche che consentano di prendere un aereo. Di fronte a tante difficoltà, ricevere un “sì” dopo una così lunga e angosciosa sequenza di pratiche, è come sentire scorrere i catenacci di una cella chiusa per anni. Ma per molte persone - come me - la risposta è sempre negativa. A Cuba in migliaia siamo condannati all’immobilità insulare, anche se nessun tribunale ha mai pronunciato tale verdetto. Il “delitto” che abbiamo commesso è quello di avere espresso opinioni critiche nei confronti del governo, di far parte di un gruppo dissidente o di appartenere a un’associazione che difende i diritti umani. Nel mio caso esibisco il triste record di aver ricevuto - dal 2008 a oggi - un totale di quindici rifiuti in seguito alle mie richieste per ottenere la tarjeta blanca. Ho lasciato una sedia vuota in ogni conferenza, a tutte le cerimonie di premiazione e alle presentazioni di libri dove sono stata invitata in questi ultimi quattro anni. Non ho mai ricevuto nessuna spiegazione in merito, solo una frase laconica: “Per il momento lei non è autorizzata a uscire dal paese”.

Non sono soltanto i non conformi e i critici a soffrire restrizioni alla libertà di movimento. Tutti i laureati in medicina sono consapevoli che qui il loro titolo di studio non serve solo per salvare vite umane ma è anche un ostacolo per conoscere altre latitudini. Molti dottori, infermiere e personale sanitario hanno visto le famiglie divise e i figli partire per l’esilio, mentre loro attendono l’autorizzazione delle autorità per incontrare di nuovo i familiari. Alcuni aspettano tre, cinque anni, persino un decennio. Altri non la ottengono mai. La lista nera di chi non può attraversare il mare è lunga, non è stata mai pubblicata, ma chi ne fa parte sa bene quanto sia difficile uscire dall’elenco. Molte maschere conformiste che i cubani indossano di fronte all’occhio indagatore dello Stato, hanno l’obiettivo di realizzazione il prezioso sogno di oltrepassare le frontiere nazionali. Il permesso di uscita si trasforma così in un metodo di controllo ideologico che obbliga all’applauso e alla simulazione.

Alcuni giorni fa la stampa straniera ha annunciato con grande rilievo che adesso i cubani potranno uscire liberamente dal loro paese. Proprio nel momento in cui ha cominciato a diffondersi la notizia dell’apertura migratoria, io mi trovavo in uno di quei vecchi uffici dove si concede o si nega il permesso di viaggio. Quando ho chiesto alla funzionaria vestita in abiti militari se fossero davvero finite tutte le restrizioni, mi ha risposto ironicamente: “Vada all’aeroporto e verifichi se può andarsene senza la tarjeta blanca”. Quando ho letto con calma il punto 265 dei lineamenti approvati nel Sesto Congresso del Partito Comunista, che tratta questo argomento, mi sono molto scoraggiata. Il documento afferma che il governo “studierà una politica che faciliti per i cubani residenti nel paese la possibilità di viaggiare come turisti”, ma non fissa un termine per il provvedimento né si dilunga in dettagli sul regolamento legislativo. In realtà le autorità non sembrano disposte a rinunciare alla preziosa industria senza ciminiere che ogni anno porta nelle casse statali milioni di dollari, versati per esperire le pratiche di entrata e di uscita dal territorio nazionale.

Pochi minuti dopo essermi resa conto che le agenzie di stampa avevano esagerato la notizia della liberalizzazione dei viaggi, ha squillato il mio telefono mobile. Una voce rotta dal pianto mi ha raccontato i particolari degli ultimi istanti di vita di Juan Wilfredo Soto, dissidente morto dopo aver subito maltrattamenti dalla polizia. Ricordo di aver risposto con monosillabi al triste racconto di un atto di intolleranza. Mi sono seduta per non cadere, perché mi fischiavano le orecchie e sentivo il volto prendere fuoco. Ho guardato sul tavolo il mio passaporto pieno di visti per entrare in una dozzina di paesi e senza una sola autorizzazione per uscire dalla mia stessa nazione. Accanto alla sua copertina azzurra, qualcuno aveva messo le notizie stampate sulla morte di Wilfredo a Santa Clara. Ho osservato il suo volto nella fotografia confondersi con lo scudo nazionale nella prima pagina del mio documento d’identità e sono giunta alla conclusione che “niente è cambiato”. Continuiamo a essere tormentati dagli stessi limiti, dalle alte mura del settarismo ideologico e dalla stretta catena delle restrizioni migratorie.


Traduzione di Gordiano Lupi

La vignetta che commenta bene il pezzo. L'autore è Garrincha.
Testo: "Il governo cubano studia la possibilità di permettere che i cubani residenti nel paese possano viaggiare all'estero come turisti". Fidel e Raul mangiano in una tavola imbandita e lanciano un osso a un cubano. Altri due cubani parlano tra loro. Uno dice: "A Prigi, vado a Parigi!". L'altro risponde: "A dire le cose come stanno... vado a dire le cose come stanno!". Garrincha (El Nuevo Herald) gioca sull'assonanza tra Paris (parigi) e parir (in senso letterale: partorire, generare, ma in senso figurato: rivelare, dire le cose come stanno).