mercoledì 12 ottobre 2016

Io non sono la Coop




Marcello Baraghini è l’ultimo grande editore italiano, nel senso che è uno che ci crede e che l’editore continua a farlo, pure in questo mondo marcio che tenta a ogni costo di convincerci che letteratura significa leggere Moccia, Volo, Camilleri, nani, ballerine, calciatori tatuati e deficienti patentati da un sistema che celebra il niente. Marcello Baraghini è uno che i suoi scrittori se li va a cercare, che inventa collane nuove, tipo dare voce agli analfabeti, alle tradizioni maremmane, che si fa venire delle idee come aprire una libreria a Pitigliano dove vende soltanto Stampa Alternativa. Fuori dal coro, con orgoglio. Non ha senso lottare contro l’industria del libro, contro editori sfornafenomeni a corto di idee. Non ha senso accettare il loro gioco. Ha un senso scrivere, invece, e continuare a pubblicare e a denunciare quel che non va come dovrebbe, come fa Alessandro Angeli, scrittore di talento, poco noto ai frequentatori dei supermercati del libro che una volta leggevano Baricco e ora si danno un tono sfogliando Ammaniti (una enne o due, il dubbio mi tormenta ancora). Io non sono la Coop – infelice epilogo di uno stagionale nel tritacarne della grande distribuzione è il diario di vita vissuta che un giovane scrittore alle prese con i meccanismi di un lavoro alienante redige punto per punto, senza fare sconti a nessuno. Il marxismo è morto, certo, ha fallito in tutto e per tutto, ma certe cose contro cui Marx lottava sono ancora vive e purtroppo hanno vinto loro: l’alienazione, per esempio, un lavoro spersonalizzante che ti ruba l’anima. Il protagonista vorrebbe fare lo scrittore, nonostante tutto resta uno scrittore, ma è costretto a passare abbrutenti giornate alle prese con codici a barre da far scorre sopra un lettore ottico, oppure a disporre casse di ortaggi nel reparto ortofrutta. Angeli traccia un quadro sconfortante di quel che siamo diventati, consumatori e niente più, uomini e donne a caccia del prodotto reclamizzato, in fila con sempre meno tempo e pervasi da dosi massicce di stress. La storia, scritta con buon ritmo, incalzante al punto giusto, alterna momenti di lavoro al supermercato, istanti passati in famiglia, giornate da libraio ambulante nei mercatini di paese, un imminente matrimonio e la voglia liberatoria di scrivere, in fondo la sola cosa che conta, secondo l’autore. Un libro intriso di sangue, del sangue versato dalle ferite della vita, contro la narrativa senza sangue che impera nel nostro mondo letterario contemporaneo, contro i gialli del cazzo - tanto poi ci fanno un film o una serie televisiva - e i romanzi a base di serial killer, contro le storie sentimentali che non ti lasciano niente, solo un senso di sconforto. Termino la lettura di questo libro e sento che dentro mi è rimasto qualcosa che si cancellerà difficilmente, come dopo aver letto un romanzo di Bianciardi, Cassola, Pavese. Ecco come si riconosce la letteratura, mi dico. Il problema è che editori criminali ci stanno togliendo il gusto di leggere, dando in pasto al pubblico dei non lettori dei prodotti che sono dei non libri. E noi che amiamo leggere dobbiamo rassegnarci a cercare nei cataloghi dei piccoli editori che ancora hanno il coraggio di narrare le ferite che dispensa la vita. Grande Marcello Barghini. Spero solo di aver imparato qualcosa da un simile Maestro. E bravo Angeli che deve continuare a scrivere. Deve farlo per noi.

Alessandro Angeli
Io non sono la Coop
Le Stradebianche di Stampalternativa
Almeno 5 euro – pag. 86

giovedì 6 ottobre 2016

Per l'ampio fiume...

di Nicolas Guillén



Per l'ampio fiume,
per la bassa marea,
Sapito e Sapon
sono andati a giocare.

In una barchetta
d'argento e cristallo,
ieri di sera
li han visti passare
con Pedro Gorgojo,
con Pancho Pulgar,
con Juan Ropavieja
e Aurora Boreal.
Che dolce era il vento,
che azzurro era il mare,
che bianche le nubi
nel lento vagare,
che allegre le isole
di rosso corallo!

Per l'ampio fiume,
per la bassa marea,
Sapito e Sapon
sono andati a giocare.


da Por el Mar de las Antillas anda un barco de papel (1977)
traduzione di Gordiano Lupi

mercoledì 5 ottobre 2016

Elena Ferrante non mi fa dormire

 
In questo mondo letterario poche cose sono capaci di togliermi il sonno quanto l'identità di Elena Ferrante, autrice di un sacco di libri che per fortuna mi sono guardato bene dal leggere dopo che la sua ineffabile casa editrice mi aveva persino regalato il primo, scopo recensione. L'amore molesto, mi pare si chiamasse, ma mi potrei pure sbagliare, ché io leggo ancora Cassola e Pavese, sono un tantino fuori moda. E invece in questo mondo letterario che mi tocca di frequentare pure se ne farei volentieri a meno, si fanno persino le inchieste per scoprire la vera identità di Elena Ferrante. I giornalisti ci riempiono le pagine - domineddio! - come se a qualcuno importasse davvero qualcosa, a parte l'editore (per tacer dell'autore/autrice) che rimpingua il conto in banca e ci prende tutti per il sedere. Anita Raja, moglie di Domenico Starnone (scrittore parecchio bravo, dobbiamo dirlo) sarebbe Elena Ferrante, pare abbia aperto un account su Twitter per comunicarlo al mondo, ma sembra che tra poco lo chiuderà. E magari è falso come una moneta da tre pesos, di quelle che a Cuba vendono ai turisti perché c'è il volto di Che Guevara, ma non importa, tutto fa spettacolo. Il fatto quotidiano si butta a capofitto sulla notizia, Michela Murgia s'indigna (pure i suoi libri chi li ha mai letti?), dalla colonne austere d'un giornale italiano con il nome inglese, e io me ne disinteresso, dal divano di casa mia, dove sprofondo nella lettura di Fausto e Anna e dopo passerò a Paura e tristezza, per tacer di Lavorare stanca e Paesi tuoi. Il Time ha detto che Elena Ferrante è tra le 100 persone più influenti al mondo, insieme a Yoani Sanchez. Ecco, già questo basterebbe a farmene disinteressare, ché di sciocchezze pure il Time ne dice. Il mio problema resta quello di dormire la notte, mentre nel frattempo i giornalisti dipanano il mistero. (Gordiano Lupi)