sabato 31 dicembre 2011

La Vergine della Carità del Cobre raggiunge L’Avana

Jaime Ortega prega per le riforme economiche di Raúl Castro


L’immagine della Vergine della Carità del Cobre, patrona di Cuba, ha concluso il suo pellegrinaggio con una messa solenne celebrata all’Avana dal cardinale Jaime Ortega. Il pellegrinaggio è stato organizzato per festeggiare la ricorrenza dei 400 anni dall’apparizione della Vergine a Santiago de Cuba. La Vergine da un anno e mezzo percorre ogni località dell’Isola, ha fatto circa 28.000 prima di raggiungere la Baia dell’Avana per celebrare la riconciliazione tra la Chiesa cattolica e il regime comunista.

Jaime Ortega ha pregato la Vergine perché interceda e faccia in modo che “le riforme intraprese da Raúl Castro procedano senza ostacoli e che avvenga la trasformazione economica che il nostro popolo attende da tempo”. La messa ha visto la partecipazione di circa 4.000 fedeli, tra loro tutti i prigionieri politici amnistiati dal governo che hanno trascorso le festività natalizie in famiglia. Tra i presenti c’erano il vicepresidente cubano Estaban Lazo, il cancelliere Bruno Rodríguez e l’arcivescovo cattolico di Miami, Thomas Wenski, nella cui diocesi risiedono molti esiliati radicali e anticastristi. Wenski ha detto: “Il pellegrinaggio della Vergine e la prossima visita del Papa contribuiranno a unire il popolo cubano, che resta uno, ovunque si trovi”.

Il 2012 sarà un anno giubilare per Cuba, la speranza dei cattolici è che produca la riconciliazione tra tutti i cubani, che siano residenti sull’Isola come nei più disparati paesi del mondo. Il dialogo tra la Chiesa cattolica e il governo guidato da Raúl Castro va avanti ed è insolito in oltre cinquant’anni di regime comunista che ha visto persecuzioni religiose e molti episodi di intolleranza.

Oggi la Chiesa cattolica è il solo interlocutore del governo ed è grazie alla sua intercessione se sono stati liberati alcuni prigionieri politici. Si tratta di un ruolo delicato, perché potrebbe essere frainteso; la Chiesa deve fare attenzione a non concedere troppo e a non farsi percepire come un elemento di sostegno del regime.

Il discorso del cardinale Jaime Ortega è stato molto apprezzato, ma va detto che dalla sua bocca non è uscita una sola parola in favore dei diritti umani, della libertà e della democrazia.

Attendiamo fiduciosi la visita di Benedetto XVI.


Gordiano Lupi

venerdì 30 dicembre 2011

I sette prigionieri politici amnistiati


A Cuba sono stati liberati oltre 2.000 prigionieri negli ultimi giorni, dopo l'indulto annunciato da Raúl Castro il 23 dicembre, tra questi ci sono anche 7 prigionieri politici.

 
Alexis Ramírez Reyes, Modesto Alexei Martínez Torres, Carlos Martínez Ballester, Walfrido Rodríguez Piloto, Yordani Martínez Carvajal, Yrán González Torna e Augusto Guerra Márquez, sono i sette prigionieri politici cubani amnistiati che risultano nella lista pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. González ha scontato una pena di 21 anni, Ramírez di 12, Martínez Torres di 8, secondo quanto affermato dalla Commissione Cubana per i Diritti Umani e per la Riconciliazione Nazionale.

Il Presidente della Commissione, Elizardo Sánchez Santacruz, si è detto soddisfatto per l'indulto, anche se a suo pare la misura è "troppo limitata", perchè riguarda solo il 4% della popolazione carceraria cubana, calcolata tra i 70.000 e gli 80.000 reclusi. Sánchez Santacruz ha detto che in alcune carceri dell'Isola ci sono state manifestazioni di protesta messe in atto da prigionieri esclusi dal beneficio.

Gli Stati Uniti si sono detti "molto contrariati" perchè è stato escluso dall'indulto l'imprenditore nordamericano Alan Gross, accusato di spionaggio e di aver attentato alla sicurezza dello Stato.



Nella vignetta di Garrincha, Raul e Fidel si contendono il diritto a mettere il guinzaglio 2012 ai cubani...

giovedì 29 dicembre 2011

Indulti, di Garrincha

Garrincha da Entiendendo el caos e su El Nuevo Herald.
Cubano (legge la lista dei graziati ad Alan Gross): - No, io e te non siamo nell'elenco.

Vendetta di Omar Santana

Vendetta di Omar Santana, da El Nuevo Herald del 29/12/11

Il diavolo al telefono con Armadinejad: "Preparati che tra poco va a Cuba!"
Il giornale sulla sedia annuncia la visita del Papa a Cuba nel 2012.
E' recente la notizia che anche il leader iraniano farà visita a Raul Castro all'Avana.

Fantascienza

di Felix Luis Viera
Ilustración/Mariano Costa Peuser Anti Art-Man 2009

Per Agustín de Rojas; oggi, In memoriam

L’extraterrestre arriva, ogni giorno
arriva, con speroni d’argento,
nella sua nave spaziale.
Ci guarda assorto
ci parla degli Spazi Siderali
e anche di una nuova costellazione
dove ci sono
nuovi extraterrestri.
Ci fa le analisi del sangue
e dice che va bene solo se è giallo,
ci controlla la saliva
e dà parere positivo solo se è azzurra.

L’extraterrestre arriva, ogni giorno
con guanti d’agave,
ci controlla i denti
e dice che vanno bene se sono già pronti
per mordere il sogno.
Arriva di nuovo con un’altra
fiammante nave spaziale
ce la mostra, chiede cosa ne pensiamo
e noi dobbiamo rispondere che è splendida,
ci controlla le scarpe
e le approva solo se sono due numeri
sotto la taglia,
ci controlla la sedia
e dice che va bene solo se una gamba zoppica.

Ogni giorno arriva
con calze di cotone
e parla di altri extraterrestri
che sono nemici degli extraterrestri
della sua razza e che bisogna
eliminarli,
ci controlla il cibo
e lo approva solo se è sufficiente
per mangiarlo con la sinistra,
ci controlla il cuscino
e dice che va bene solo se c’è
qualche punto acuminato
per tenerci svegli.

Arriva ogni giorno
con una cintura di tela,
a volte porta altre navi a rimorchio,
ce le mostra e chiede cosa ne pensiamo
e noi dobbiamo rispondergli
che è stato un gesto molto umano
mettere in pericolo la sua splendida nave
per rimorchiare le altre che
se non fosse stato per quel suo gesto
così umano
si sarebbero perse nello Spazio,
ci controlla la facciata
e approva solo se la porta è in
alto
e la finestra a livello del pavimento,
ci controlla il quadro di sala
e approva solo se la cornice
che lo sostiene
somiglia a Mozart.

L’extraterrestre arriva, ogni giorno
arriva, con la criniera dorata,
nella sua nave spaziale.
Ci guarda assorto,
ci parla un’altra volta degli Spazi Siderali
e ancora di una nuova costellazione
dove ci sono
nuovi extraterrestri.
Ci controlla i libri, ci controlla
ogni pagina
riga per riga,
ci controlla ogni riga
parola per parola,
ci controlla ogni parola
sillaba per sillaba,
ci controlla ogni sillaba
lettera per lettera,
ci controlla ogni lettera
pezzo per pezzo,
e grida che non comprende,
per Dio, per tutte le Vergini,
che non comprende.
E allora, noi,
molto piano,
noi ridiamo.

Félix Luis Viera
Santa Clara, Cuba, 30 de novembre, 2001

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Félix Luis Viera (Santa Clara, Cuba, 1945). Poeta e romanziere.

In Italia ha pubblicato: Il lavoro vi farà uomini (L’Ancora del Mediterraneo, 2005 – traduzione de Un ciervo herido) e La patria è un’arancia (Il Foglio Letterario, 2011 – traduzione de La patria es una naranja – a cura di Gordiano Lupi).
Raccolte di poesia: Una melodía sin ton ni son bajo la lluvia (Premio David di Poesia Uneac, 1976, Ediciones Unión, Cuba), Prefiero los que cantan (1988, Ediciones Unión, Cuba), Cada día muero 24 horas (1990, Editorial Letras Cubanas), Y me han dolido los cuchillos (1991, Editorial Capiro, Cuba), Poemas de amor y de olvido (1994, Editorial Capiro, Cuba) e La patria es una naranja (Ediciones Iduna, Miami, EE UU, 2010, Edizioni Il Foglio Letterario – www.ilfoglioletterario.it, Italia, 2011).
Raccolte di racconti: Las llamas en el cielo (1983, Ediciones Unión, Cuba), En el nombre del hijo (Premio della Critica 1983. Editorial Letras Cubanas. Riedizione 1986) e Precio del amor (1990, Editorial Letras Cubanas).
Romanzi: Con tu vestido blanco (Premio Nazionale UNEAC 1987 e Premio della Critica 1988. Ediciones Unión, Cuba), Serás comunista, pero te quiero (1995, Ediciones Unión, Cuba), Un ciervo herido (Editorial Plaza Mayor, Puerto Rico, 2002 - L´ Ancora del Mediterraneo, Italia, 2005), Inglaterra Hernández (Ediciones Universidad Veracruzana, 1997. Riedizioni 2003 e 2005) e El corazón del Rey (2010, Editorial Lagares, México).

Il suo libro di racconti Las llamas en el cielo è considerato un classico della letteratura cubana. I suoi lavori sono stati tradotti in diverse lingue e sono entrate a far parte di antologie dite in Cuba e all’estero. Nel suo paese natale ha ricevuto diversi premi per il suo lavorio culturale. Ha diretto al rivista Signos, di portata internazionale e dedicata alle tradizioni culturali. In Messico, dove risiede dal 1995, ha collaborato a vari periodici con articoli di critica letteraria, di contenuto culturale in generale, di opinione sociale e politica.


Dal Blog di Gaspar El Lugareño

mercoledì 28 dicembre 2011

Gareggiare per evadere

di Yoani Sanchez


Si incontrano ogni sabato notte per organizzare una festa che non prevede la presenza di alcolici, ragazze e musica. Fanno le ore piccole davanti alla tastiera e osservano gli schermi dei computer collegati alla rete per giocare. È la nuova moda che impazza tra gli adolescenti cubani, specialmente tra i figli di quella classe media emergente che ancora non si riconosce come tale. Il pigiama party, con pop-corn e tende montate in mezzo alla sala, ha lasciato il posto a questi incontri dove si mescolano tecnologia e risate, aspetto ludico e desiderio di evasione. Gli stessi giovani che passano il tempo con la mano sul mouse e affittano locali per giocare definiscono queste maratone tecnologiche con il termine di “competizioni”. Tra i giochi più richiesti alcuni sono di strategia, mentre altri sono ambientati in mondi paralleli e aiutano a evadere dalla realtà nazionale.

Chi non possiede un PC o un computer portatile per recarsi al “festino” può frequentare i laboratori informatici di qualche scuola, dove nei fine settimana i professori organizzano - non autorizzati - competizioni di massa. Starcraft, DotA, Counter Strike, Call of duty, sono i giochi preferiti dagli adolescenti, mentre un mercato parallelo di copie pirata fornisce le ultime versioni e gli accessori necessari. La sfida più grande è quella di restare al passo con i tempi vivendo in uno dei paesi meno collegati a Internet del pianeta. Per questo motivo tra le richieste fatte allo zio che sta per partire o all’amico che torna dall’estero ci sono i DVD che contengono questi giochi. I siti digitali di compravendita - come Revolico - offrono un’ampia gamma di possibilità per evadere dal difficile quotidiano

Alcune conversazioni per strada fanno capire quanto sia diffuso questo modo di passare il tempo. “Devi saltare quel livello, perché l’altro è migliore”, “Non lo uccidere subito, altrimenti perdi energia”, “Costruisci la città in quel terreno, perché non è troppo infestato da demoni”. Questi giochi godono di ambientazioni medievali e mettono in scena anche le più azzardate fantasie fantascientifiche, fanno ormai parte dell’immaginario giovanile e rivestono un ruolo importante nella loro vita. Da un po’ di tempo a questa parte hanno preso il posto dei discorsi e delle parole d’ordine che hanno segnato la nostra generazione. Gli adolescenti non applaudono, cliccano; non credono, giocano. Davvero non sappiamo se ridere o piangere, se dare il benvenuto all’evasione come arma contro il fondamentalismo o lamentarci perché il disimpegno politico ci priva di quella ribellione giovanile che sarebbe molto utile.


Traduzione di Gordiano Lupi

martedì 27 dicembre 2011

Cuba come la Corea?


Da rivista telematica Guamà

Ancora Garrincha sulla riforma migratoria

La bomba di fine anno. Raul l'ha sparata grossa...

Il diritto di entrare e uscire dal paese...


Ancora Garrincha (da rivista telematica Guamà)
Cubano - "Come cubano ho diritto a entrare e uscire dal mio paese. O no?"
Fidel - "Mi piace quando dice il mio paese"
Raul - "Vero..."
Mostriciattolo (CDR) - "Questa fattoria è di Fidel!"

C'era una volta la riforma migratoria...


Garrincha sul suo blog ENTENDIENDO EL CAOS.
C'era una volta... la riforma migratoria.

lunedì 26 dicembre 2011

Natale a Cuba


Janet ripensava a quel film americano che aveva visto la sera prima in televisione. Strade colorate di bianco e bambini carichi di regali. Negozi affollati e auto di grossa cilindrata. Genitori indaffarati tra pacchi di regali e provviste per casa. Alberi strani addobbati di luci e colori, che si accendevano e si spegnevano, decorando piazze e strade. In alto, da un palazzo all’altro, ghirlande fiorite e luci intermittenti completavano un panorama surreale.

Era un film. Solamente un film.

Strani personaggi vestiti di rosso, muniti di una buffo cappello e una vistosa barba bianca, si aggiravano per strada consegnando pacchetti a bambini della sua età. Si muovevano sopra carri trainati da animali mai visti, dotati di lunghe e nodose corna, portavano scatoloni colorati avvolti di nastro e fiocchi che debordavano dalle vetture.

A Janet il film era piaciuto molto, non tanto per la storia, quanto per l’atmosfera che descriveva e per le emozioni che trasmetteva. Narrava di famiglie senza problemi che potevano permettersi grande quantità di carne su tavole imbandite. Descriveva bambini allegri, pieni di giocattoli elettronici e libri colorati da sfogliare e disegnare. Parlava di coppie felici che si muovevano per le strade di una città coperta di neve (così avevano chiamato quella strana roba biancastra che le ricordava il cotone). E poi regali, musica, famiglie riunite a una tavola colorata di rosso, chiese affollate e dolci canzoni.


Tutto questo l’aveva distolta per un attimo dalla sua solita vita. Intendiamoci, non che la sua realtà quotidiana le dispiacesse. Non avrebbe cambiato per niente al mondo la libertà di correre a perdifiato tra palme e banani insieme ai bambini del villaggio. Non avrebbe mai voluto rinunciare a lunghi pomeriggi sulla spiaggia e neppure ai giochi sul piazzale, quando si schizzavano con l’acqua della cannella comune. Le sue bambole di pezza, che il padre costruiva con pazienza, non erano poco. Ci giocava da anni e ancora resistevano, compagne dei pochi momenti di solitudine, amiche della notte quando temeva il buio della campagna e il lugubre canto dei grilli.

Janet viveva a Cavaña, periferia dimenticata dell’Avana, insieme alle sorelle più grandi e ai genitori. Un piccolo campo dava loro da vivere. Frutta, verdura, qualche animale da cortile. In certi periodi dell’anno avevano persino un maiale da ingrassare. Come le piaceva quando veniva il tempo di ammazzarlo e in allegria dividevano le parti prelibate dagli scarti! Guardava suo padre intento nel lavoro e cercava di aiutarlo. Non temeva il sangue e neppure le grida dell’animale. Era un rito che riuniva tutta la famiglia e anticipava il grande evento. Janet sapeva che era Natale quando suo padre affilava i coltelli. L’animale doveva soffrire il meno possibile perché la lama sarebbe penetrata a fondo, fino a colpire il cuore. La cena di fine anno non si poteva celebrare senza una fetta di maiale. Nonostante le restrizioni. Nonostante il periodo speciale proclamato da Fidel. Certo, lo sapeva bene che il Natale non era una festa così importante e che le date fondamentali erano altre. Il primo giorno dell’anno, soprattutto, che ricordava il Trionfo della Rivoluzione, così le avevano detto al Circolo Infantile e così diceva sua madre quando raccontava storie prima di andare a dormire. Quello era il suo mondo di bambina. Colori decisi, verde dei campi e rosso dei fiori, ma anche azzurro intenso di un cielo scolpito da arcobaleni luminosi dopo piogge furenti. Cicloni che si abbattevano improvvisi portando via tetti e speranze. Corse nella polvere e giochi inventati con la fantasia dei ragazzini. Nascondino, una palla di stracci, bambole di stoffa e cenci.


Un film aveva sconvolto troppe certezze.

Janet aveva assaporato l’irrealtà di un mondo fatto di luci e si era immersa in un sogno. Babbo Natale, si chiamava quel personaggio vestito di rosso. Un vecchio dalla barba bianca, che portava doni ai bambini, cavalcando una slitta trainata da veloci animali a quattro zampe. Si chiamavano renne e assomigliavano un poco ai cavalli che aveva visto nelle campagne di Viñales e Pinar del Río. Passava per il camino di notte, entrava non visto nelle case e depositava pacchi regalo sotto un luccicante albero di Natale.


Janet si avvicinò alla madre in cucina, come sempre intenta a separare i fagioli buoni da quelli cattivi per il piatto di riso del mezzogiorno. Era il pranzo della vigilia, di quel ventiquattro dicembre così uguale a tutti gli altri giorni della loro vita. Riso e fagioli non per tradizione o convinzione religiosa, ma per necessità. La carne ci sarebbe stata per la festa di fine anno. Era abbastanza.

“Mamma” domandò preoccupata “ma noi abbiamo un camino?”

“E per che farne, figlia mia?”

“Per far entrare Babbo Natale con i regali.”

La mamma guardò la bambina scuotendo la testa.

“Questi film americani….”


Da un po’ di tempo la televisione di Fidel aveva cominciato a trasmettere cose un tempo proibite. Voleva dare un segnale di cambiamento. Far capire che qualcosa si stava muovendo. In realtà riusciva soltanto a confondere le idee alla povera gente.

La mamma prese Janet in braccio.

“A Cuba non passa Babbo Natale, piccola mia…”

“Perché mamma?” chiese delusa la bambina.

“Babbo Natale viene dal freddo e si muove con slitte trainate da renne. I suoi animali sono abituati al rigido inverno dell’Europa e degli Stati Uniti. Deve attraversare tempeste di neve e tormente di vento glaciale. Da noi non potrebbe resistere neppure un minuto”.

“A me piacerebbe vederlo. Avrei tante cose da chiedere in dono”.

“Non si può, bambina mia. Non si può. Siamo fuori dalle rotte di Babbo Natale. Noi abbiamo già tanto. Tu pensa a quei poveri bambini europei chiusi nelle case d’inverno, mentre tu giochi libera nei campi. Tu vai al mare a tuffarti in ogni stagione e loro stanno in casa a ripararsi da tempeste di neve. Nella vita non si può avere tutto”.


La mamma era stata convincente.

Janet pensò che quei bambini erano veramente sfortunati. Facevano una vita da reclusi e non conoscevano la gioia di una corsa all’aperto se non in poche stagioni dell’anno. Molti di loro non avevano mai visto una vera spiaggia. Era giusto che avessero un Babbo Natale per esaudire desideri almeno un giorno all’anno.

“Io quello che voglio posso farlo sempre” pensò Janet.

Tra non molto sarebbe stato l’ultimo giorno dell’anno e avrebbero fatto festa. Il Natale non era importante. Sarebbe passato come sempre inosservato se non fosse stato per un film americano. Avrebbe atteso la festa del maiale squartato sul campo e la parata militare sul Malecón imbandierato a festa. Il primo giorno dell’anno le avrebbero dato una bandierina tricolore da sventolarla sul lungomare insieme alle compagne del Circolo Infantile. Janet non capiva bene il senso, ma sapeva che faceva parte della festa, di una tradizione di cose da fare. Probabilmente avrebbe ancora pensato a un vecchio dalla barba bianca che portava regali ai bambini, invece di ascoltare le noiose parole di un altro vecchio dalla barba nera, che indossava una divisa militare di colore verde.

Tratto da Ricordando L’Avana – Taccuino avanero e storie cubane
Libro di viaggio inedito

Gordiano Lupi

domenica 25 dicembre 2011

Gli amnistiati del Generale

di Yoani Sánchez

Un rifiuto al diritto di viaggiare per Yoani

Venerdì scorso migliaia di occhi erano in spasmodica attesa davanti agli schermi della televisione nazionale. Le reti sociali e i messaggi diffusi dai telefoni mobili mettevano in agitazione. Per tutta la settimana si era diffusa una voce, alimentando le speranze dei cubani che vivono sull’isola e di coloro che risiedono all’estero, fino a togliere il sonno. Si parlava della possibilità che l’Assemblea Nazionale annunciasse una Riforma Migratoria, notizia avallata da ambienti ufficiali che erano stati i primi a diffonderla. A Cuba i cittadini sono costretti a superare parecchi ostacoli per entrare e uscire dal proprio territorio, per questo certe voci di cambiamento sono troppo importanti per non essere ascoltate. Le valigie erano già pronte, i biglietti aerei prenotati e gli abbracci a lungo rimandati sembravano vicini a materializzarsi per festeggiare l’arrivo di un parente lontano da decenni. Ma l’illusione è durata appena qualche giorno, si è sgonfiata con la stessa rapidità con cui si appone sopra un passaporto un timbro per negare il diritto di uscire dal paese.


Invece di proclamare la fine del degradante permesso di uscita - meglio noto come carta bianca - Raúl Castro ha annunciato un indulto per oltre 2.900 prigionieri. Persone punite per diversi delitti, tra i quali ce ne sono alcuni contro la Sicurezza dello Stato. Secondo la comunicazione ufficiale si tratta di imputati “con oltre 60 anni di età, malati, donne e giovani senza precedenti penali”. Probabilmente è un gesto di clemenza che anticipa la visita di Papa Benedetto XVI nel prossimo mese di marzo. Il Generale, ha preferito aprire le serrature delle piccole carceri, visto che ancora non sembra disposto a eliminare gli ostacoli burocratici del grande carcere. L’Isola sembra una sorta di riformatorio mentre gli impiegati dell’ufficio emigrazione sono severi cerberi con un mazzo di chiavi appeso alla cintura. Anche se il Presidente ha ribadito la sua “ferma volontà di introdurre gradualmente i cambiamenti richiesti” nella politica migratoria, le sue parole hanno provocato grande frustrazione nei cubani che ascoltavano da casa. Ancora una volta sono cadute le speranze e l’abbraccio riservato allo zio o al fratello che non può rientrare in patria è stato riposto - con fastidio - nel baule delle cose da rimandare.


Le famiglie e gli amici delle persone recentemente amnistiate, invece, hanno avuto motivo di preparare una Vigilia di Natale più felice. Anche se nel codice penale esistono ancora le fattispecie criminose che hanno decretato le loro condanne, gli scarcerati di questo Natale si sentono graziati da un gesto magnanimo che viene dal potere. Sono stati beneficiati dall’indulgenza presidenziale, anche se milioni di cubani attendono un simile gesto in materia di diritti elementari. Un indulto che faccia sollevare la pesante sbarra che impedisce di viaggiare liberamente, di entrare e di uscire dal loro paese senza chiedere permessi.


Traduzione di Gordiano Lupi

sabato 24 dicembre 2011

Niente maiale per il Natale cubano...


La vignetta di Omar Santana su El Nuevo Herald. Due maiali conversano. "Oggi ho chiamato Cuba. Dicono che anche per questo Natale non dobbiamo preoccuparci perchè una libbra di maiale costa 35 pesos".

Finisce in una bolla di sapone la libertà di viaggiare


Indulto per 86 cittadini stranieri
Yoani Sánchez: “Raúl Castro ha paura. Sa che la riforma migratoria lo seppellirà”

Le speranze dei cubani sono state ancora una volta disattese, anche se la maggior parte dei commentatori internazionali ha scritto con superficialità che presto i cubani saranno autorizzati a viaggiare.

Raúl Castro si è limitato a dire le solite cose che ripete da cinque mesi a questa parte: “Siamo intenzionati a introdurre in maniera graduale i cambiamenti richiesti. Molti considerano urgente una nuova politica migratoria, ma dimenticano la situazione eccezionale che vive Cuba, sotto assedio da cinquant’anni per colpa della politica imperialista statunitense, che vuole sovvertire l’ordine pubblico nazionale”.

I cambiamenti nella politica migratoria prima o poi verranno, ma c’è da credere che non saranno di natura epocale e non sconvolgeranno il sistema di autorizzazioni e controlli in atto da cinquant’anni.

Raúl Castro, inoltre, ha annunciato la “scarcerazione anticipata di 86 cittadini stranieri residenti in 25 paesi diversi” e “un ampio indulto per motivi umanitari che riguarderà diversi prigionieri cubani”. Forse le misure di clemenza sono da collegarsi con la prossima visita del Papa a Cuba. Non sembra che nell’elenco di futuri scarcerati sia compreso l’imprenditore nordamericano Alan Gross, accusato di comportamenti controrivoluzionari, terrorismo e spionaggio internazionale.

Il Governo concederà un indulto a oltre 2.900 persone che si trovano in prigione, giudicate idonee a un reinserimento nella vita sociale. Il gesto di clemenza viene definito “umanitario e sovrano”. Castro ha aggiunto: “Saranno messi in libertà alcuni condannati per delitti contro la Sicurezza dello Stato. Tutti hanno scontato buona parte della pena dimostrando un buon comportamento”. Non saranno compresi nell’indulto i condannati per delitti di “spionaggio, terrorismo, omicidio, traffico di droga, pederastia con violenza, rapina a mano armata, violenza carnale e corruzione di minori”.

Tra le affermazioni più ciniche e risibili contenute nel discorso di Raúl Castro leggiamo la condanna della repressione contro gli indignati negli altri paesi e la richiesta ai governanti occidentali di “concordare la politica economica con i loro popoli”.


Yoani Sánchez ha scritto su Twitter: “Raúl Castro apre le carceri piccole e concede la libertà a diversi condannati, ma non apre il carcere più grande e non concede la libertà di uscire dal Paese. Io vorrei bere un caffè a Madrid, entrare in un cinema a Los Angeles, abbracciare un amico a Sidney, ma me lo impediscono. Ripongo la mia valigia nel solito angolo della stanza: anche per questa volta non mi lasceranno uscire. Raúl Castro parla di normalizzare i rapporti con gli Stati Uniti, ma quando pensa di normalizzare i rapporti con le voci critiche che esistono nel suo paese? Il nostro Presidente ha paura, una paura tremenda. Sa bene che la riforma migratoria lo seppellirà”.

Gordiano Lupi

venerdì 23 dicembre 2011

I cubani sperano che Raúl Castro conceda libertà di viaggiare


Sono molto alte le aspettative tra i cittadini cubani sulle possibili aperture in tema di libertà di movimento annunciate dal governo di Raúl Castro. La cautela accompagna l’euforia, perché dopo mezzo secolo di restrizioni sembra impossibile che venga concessa piena libertà di uscire dal paese.

“Sarebbe un bel regalo di Natale poter viaggiare senza limiti”, dice Luis Peña, un ingegnere di 37 anni che da trent’anni vive lontano dalla madre, rifugiata a Miami. “Sono rimasto senza amici perché sono fuggiti tutti, ma io non ho mai pensato di emigrare, anche se mi piacerebbe lavorare un po’ di tempo all’estero per migliorare la mia situazione economica, soprattutto adesso che è nato il mio primo figlio”, conclude.

Secondo la normativa vigente, i cubani possono recarsi all’estero solo dopo aver ricevuto una carta d’invito da un cittadino straniero, ma prima devono chiedere un permesso d’uscita ufficiale e affrontare un procedimento burocratico lungo e dispendioso, che può costare fino a 500 dollari tra tasse e documenti, senza contare il biglietto aereo. Inoltre occorrono i visti d’ingresso rilasciati dal paese che li dovrà ospitare, ma senza il permesso del governo cubano sono documenti inutili.

Il 1 agosto 2011 Raúl Castro, ha annunciato che avrebbe modificato la politica migratoria per porre fine ad alcune restrizioni che perdurano “senza motivo” e che sono in vigore dal 1961. Per questo le aspettative cominciano a crescere.

Adonis González, un cuoco di 38 anni, è uno dei 200 cubani che questo venerdì 23 dicembre attende il suo turno davanti al consolato spagnolo dell’Avana per ottenere la cittadinanza spagnola in virtù della legge della Memoria Storica, che semplificherebbe parecchio le pratiche per viaggiare all’estero.

“Tutti aspettano la nuova legge migratoria, ma è un argomento complesso che ha diviso le famiglie cubane e messo contro Cuba e Stati Uniti per cinquant’anni. Non si può sapere come verrà approvata e neppure se diventerà legge dello Stato. In ogni caso se verrà approvata oggi, non credo che potremo partire domani”, dice González.

Alcuni cubanologi dicono che Raúl Castro vuole eliminare i permessi di uscita (per i cubani residenti sull’isola) e di entrata (per gli emigrati), ma anche la condizione di “emigrato definitivo”, al quale secondo la normativa vigente sono confiscati i beni ed è negato il rientro definitivo nel suo paese.

“Se, come dicono, tutto questo sarà eliminato, mia madre potrà venire a Cuba con maggior frequenza”, ha detto Peña, che dal 1980 - anno della Crisi del Mariel, massiccio esodo migratorio che vide fuggire circa 140.000 cubani - ha potuto vederla soltanto una volta.

La riforma migratoria è un motivo di discussione per strada, ma la stampa cubana non scrive niente e i soli ad affrontare l’argomento sono i blog non governativi e alcuni blog rivoluzionari.

Il ben informato blogger rivoluzionario Yohandry afferma che “il cambiamento è imminente”, anche se non è sicuro che il tema sia stato affrontato nelle recenti riunioni delle commissioni parlamentari. La nota blogger indipendente Yoani Sánchez, che ha tentato di recarsi all’estero ben 18 volte senza essere mai autorizzata, dice che la sua valigia è pronta e che non riesce a dormire per l’agitazione con cui attende il cambiamento.

L’eliminazione del permesso di uscita è una richiesta che proviene da tutta la popolazione cubana, è sostenuta dalla Chiesa cattolica e da intellettuali e artisti come i cantautori Silvio Rodríguez e Pablo Milanés.

“Voglio un socialismo sempre più democratico e partecipativo. Attendo una riforma migratoria che costituisca un primo tentativo per migliorare la situazione”, afferma Silvio Rodríguez nel corso di un’intervista al settimanale Trabajadores.

La riforma migratoria rientra nella politica di Raúl Castro volta a eliminare proibizioni “eccessive”, come quelle che hanno impedito ai cubani per oltre mezzo secolo di vendere case e automobili, di frequentare gli alberghi e di poter acquistare liberamente computer ed elettrodomestici.

Va da sé, come dice González, che “con un salario medio di 20 dollari al mese, la maggior parte dei cubani non potrà uscire neppure per fare una passeggiata al parco”. Eunice Placeres, che di mestiere fa il ballerino di strada, concorda con il tassista: “La misura sarà molto positiva, ma per viaggiare bisogna avere denaro”.

Gordiano Lupi

giovedì 22 dicembre 2011

Con la valigia pronta

di Yoani Sanchez

Una delle tante risposte negative che ho ricevuto in seguito a una mia richiesta di viaggiare, come sempre senza spiegare il motivo…

Come tutti gli aeroporti del mondo, anche il nostro è impersonale, stressante, composto quasi completamente di alluminio e vetro. Di tanto in tanto, la porta della dogana si apre e qualcuno sale con il bagaglio avvolto nel cellophan. I familiari in attesa lanciano grida e scorrono lacrime, mentre il nuovo arrivato si fa rosso in volto per l’emozione. Nello stesso momento, al primo piano assistiamo ai commiati, registriamo gli ultimi abbracci tra persone che forse non si vedranno più. Alcuni sportelli sono presidiati da ufficiali con lo sguardo severo che controllano i documenti. Passaporto, visto, biglietto… permesso di uscita. Sono curiosa di sapere cosa accade a chi si presenta al controllo privo di carta bianca, senza l’infamante autorizzazione necessaria per i cubani che vogliono uscire dal loro paese. Le testimonianze in merito sono poche, perché i divieti vengono stabiliti soprattutto negli uffici immigrazione, molto lontano dalle piste dove decollano gli aerei.

La voce che venerdì mattina Raúl Castro potrebbe annunciare un cambiamento sensibile alle restrizioni di entrata e di uscita non mi fa prendere sonno. In quattro anni, il mio passaporto si è riempito di visti che mi autorizzano a raggiungere altre nazioni, ma purtroppo manca il permesso di uscita dall’Isola. Diciotto risposte negative ad altrettante richieste di poter viaggiare sono troppe; sembra più una vendetta personale che l'attuazione di regole burocratiche. Il mio bagaglio è pronto da tempo. I vestiti che contiene sono ingialliti, i regali che avrei voluto portare agli amici sono scaduti o passati di moda, le relazioni che avrei dovuto leggere in alcuni eventi non sono più attuali. Ma la valigia mi guarda ancora da un angolo della stanza. “Quando partiamo?”, immagino che mi chiedano le sue ruote consumate. Provo a rispondere che forse questo venerdì, in un parlamento privo di potere reale, qualcuno deciderà di restituirmi un diritto che mi è sempre appartenuto.

Se la tanto attesa riforma migratoria sarà annunciata, metterò alla prova i suoi limiti proprio in aeroporto, davanti allo sportello che tanti temono. Io e la mia valigia siamo pronti. Disposti a verificare se la guardia premerà il tasto che porta alla sala d’attesa o se chiamerà gli agenti della sicurezza per farmi portare via.

Traduzione di Gordiano Lupi

Nota del traduttore: Cambieranno le regole migratorie a Cuba? Non servirà più il permesso di entrata e di uscita dal paese? Stiamo a vedere, ma sono molto scettico...

Regalo di Natale?


L'umorismo nero natalizio di Garrincha.

Babbo Natale di fronte alla morte mostra una richiesta insolita: "Sono stanco di dire alla gente che questo tipo di richieste non sono di mia competenza, ma che rientrano nella tua esclusiva giurisdizione".

Yoani Sánchez partecipa a un incontro virtuale organizzato dalla Columbia University


La nota blogger afferma che le reti sociali e i telefoni mobili aiutano a raccontare una Cuba che per troppo tempo è stata nascosta dai media ufficiali.

“A Cuba non esiste un ufficio dove un comune cittadino possa recarsi per contrattare il prezzo di una connessione Internet casalinga. Tutto questo è impossibile, è un privilegio concesso solo agli alti funzionari, alle persone che godono la fiducia del governo e agli stranieri residenti nel territorio nazionale”, ha dichiarato Yoani Sánchez, che sta partecipando a un incontro virtuale promosso dalla scuola di giornalismo della Columbia University.

Yoani Sánchez ha detto a Radio Martí: “I cubani sono interessati ad ascoltare voci diverse dalla voce ufficiale (...); le reti sociali e i telefoni mobili ci stanno aiutanmdo a raccontare una Cuba che per troppo tempo è stata nascosta dai media ufficiali”.

Gordiano Lupi

Yoani Sanchez su La Stampa di oggi

La Stampa del 22 dicembre 2012
(Nello stesso quotidiano si possono leggere le "follie" di Marco Rizzo che - intervistato - difende il comunismo cubano e la dittatura nordcoreana...)

martedì 20 dicembre 2011

I miei timori

di Yoani Sánchez
da www.lastampa.it/generaciony


Un uomo solo spazza le foglie secche di un ampio viale dove non si vede passare un’auto in nessuna direzione. Abbassa la testa ed evita di parlare con il fotografo. Forse si tratta di un individuo che è stato punito per non aver applaudito con sufficiente entusiasmo durante una riunione oppure non si è inchinato con deferenza teatrale davanti a qualche membro del Partito. La scena della spazzino che percorre una strada desolata si può vedere in un documentario sulla Corea del Nord diffuso dalle nostre reti alternative d’informazione. Una testimonianza dolorosa che mostra persone vestite in maniera identica, edifici di un anonimo colore grigio e innumerevoli statue del Leader Eterno. Un inferno in miniatura, che ci fa tirare un sospiro di sollievo - almeno in questo caso - per non essere nati sotto la dispotica dinastia dei Kim.

Quando nel marzo del 1986 Fidel Castro si recò a Pyongyang, fu ricevuto da quasi un milione di persone, tra cui migliaia di bambini che agitavano bandierine sincronizzate in modo sospetto. La televisione cubana insisteva a mostrare cori che cantavano come se fossero una sola voce, ballerine che non si distinguevano tra loro neppure per un capello fuori posto e ragazzini che suonavano il violino con sorprendente maestria e anomala simultaneità. Alcuni mesi dopo quel viaggio presidenziale, nei corsi artistici delle scuole primarie cubane si cercava di imitare una disciplina così robotica. Niente da fare. La bambina accanto a me lanciava la palla pochi secondi dopo che la mia era caduta sul pavimento e al termine di ogni presentazione alcune scarpette venivano abbandonate sul palcoscenico. Il Leader Massimo provò una cocente delusione per la caotica condotta del suo popolo, così diverso da quei nordcoreani che si inginocchiavano in maniera sincopata di fronte al segretario generale del Partito dei Lavoratori.

Lunedì scorso, le immagini di migliaia di persone che piangevano per strada la morte di Kim Jong-il mi ha fatto venire a mente quei bambini sincronizzati. Il nostro esperimento tropicale non è mai riuscito ad “addomesticarci” come loro, ma alcuni aspetti seguono il modello coreano. Pure a queste latitudini la genealogia è stata più determinante delle urne e l’eredità di sangue ha prodotto - in 53 anni - soltanto due presidenti, entrambi con lo stesso cognome. In Corea del Nord il delfino si chiama Kim Jong-un; forse tra breve a Cuba ci diranno che l’erede designato è Alejandro Castro Espín. Il solo pensiero mi fa trasalire, come già mi è accaduto una volta vedendo file di ragazzine che nella stessa frazione di secondo lanciavano in alto una palla.
Traduzione di Gordiano Lupi

Nota del traduttore: Yoani Sánchez su Twitter afferma che questa mattina alcuni attivisti della dissidenza hanno bruciato sulla pubblica piazza copie del Granma, uscito listato a lutto per commemorare la morte del dittatore nordcoreano. Non solo. Il governo cubano ha deciso tre giorni di lutto ufficiale, con la bandiera a mezz’asta, misura che gli oppositori ritengono ingiustificata. Yoani afferma che la stampa ufficiale cubana non fa parola del fatto che Kim Yong Un è il figlio di Kim Yong Il, tutto questo per occultare la successione sanguinea, per “non parlare di corda in casa dell’impiccato”. Yoani non concorda sulla necessità di bruciare il Granma, ma preferisce “smentirlo con un’informazione libera e documentata”.

Premio SCRITTORE TOSCANO DELL'ANNO!


da Piombino Oggi n. 4 - dicembre 2011

lunedì 19 dicembre 2011

Il Papa sarà accolto con affetto e rispetto dal governo cubano

Il Papa Benedetto XVI e il cardinale Jaime Ortega

Il presidente cubano, Raúl Castro, ha detto a una delegazione del Vaticano che Papa Benedetto XVI sarà ricevuto “con affetto e rispetto” durante la sua visita prevista per marzo.

“Raúl ha accolto con soddisfazione l’annuncio ufficiale della prossima visita a Cuba di Sua Santità Benedetto XVI e ha assicurato che sarà ricevuto con affetto e rispetto da tutto il nostro popolo”, recita il testo ufficiale del comunicato stampa letto al telegiornale nazionale.

Il leader cubano ha ricevuto domenica 18 dicembre nel Palazzo della Rivoluzione il responsabile organizzativo degli eventi pontifici internazionali, Alberto Gasbarri, accompagnato dal cardinale Jaime Ortega, il Nunzio Apostolico all’Avana, Bruno Musaro, e l’arcivescovo di Santiago de Cuba, monsignor Dionisio García, presidente della Conferenza Episcopale.

“La conversazione ha messo in evidenza l’eccellente stato delle relazioni tra Cuba e la santa Sede. Sono stati fissati alcuni punti relativi ai preparativi per la visita del Papa”, aggiunge il comunicato.

Benedetto XVI vuole visitare Cuba e Messico in occasione del Bicentenario dell’Indipendenza Americana, prima della Settimana Santa, che inizia il primo aprile. Sarà la seconda visita papale a Cuba, dopo lo storico viaggio di Giovanni Paolo II nel gennaio del 1998, che contribuì a distendere i rapporti tra le autorità dell’Isola e la gerarchia cattolica, fino a quel momento caratterizzati da tensione e difficile coabitazione. La visita di Benedetto XVI è la seconda in America Latina, dopo quella realizzata in Brasile nel 2010, e coincide con le festività proclamate dalla Chiesa Cattolica per festeggiare i 400 anni dalla apparizione dell’immagine della vergine della carità del Cobre, patrona di Cuba.

Le Damas de Blanco chiedono sin d’ora di essere ricevute dal Papa per poter spiegare la situazione difficile dei diritti umani a Cuba, il boicottaggio e la continua diffamazione di cui sono vittime i dissidenti. La Chiesa Cattolica è stata determinante, con la certosina opera di mediazione, per la liberazione di molti prigionieri politici, reclusi durante la Primavera Nera del 2003, ma è anche vero che quasi tutti i dissidenti scarcerati sono dovuti riparare in Spagna. La posizione della Chiesa Cattolica è molto delicata, perché rischia di diventare una stampella sulla quale il regime potrebbe finire per sostenersi e legittimarsi. La visita del Papa giunge in un momento importante e le aspettative dei cittadini cubani sono grandi.
Gordiano Lupi

Fidel vince un'altra battaglia!


Omar Santana - valente disegnatore satirico cubano - ritrae Fidel Castro apopoggiato su una stampella e con il congegno per giocare con la playstation in mano.
"Ho vinto un'altra battaglia!" grida.
Sì, quelle al computer sono le sole battaglie che ancora può combattere e vincere...

giovedì 15 dicembre 2011

Le cattive compagnie


Garrincha stigmatizza le cattive compagnie del Movimento Occupiamo Wall Street. Nella prima immagine li vediamo inneggiare alla libertà per i cinque cubani prigionieri dell'impero, cosa che è accaduta davvero e che c'entra poco con il tema contestato. Al tempo stesso Garrincha propone che in futuro i componenti del movimento brandiscano cartelli contro le suocere, contro la pesca e contro la biancheria intima.

lunedì 12 dicembre 2011

Terrorismo e Diritti Umani


Omar Santana su El Nuevo Herald.
Due poliziotti cubani parlano tra loro nell'auto di servizio.
- Come si chiama quel libro terrorista?
- Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
- Hai una memoria!

In sintonia con questa vignetta, sabato 10 dicembre, giornata mondiale dei diritti umani, a Cuba è stata caratterizzata da arresti e da meeting di ripudio organizzati dal regime contro manifestanti pacifici e soprattutto ai danni delle Damas de Blanco. Niente di nuovo sotto il sole.

Gordiano Lupi

La casa dei naufraghi, un incubo di Guillermo Rosales

Guillermo Rosales
La casa dei naufraghi
Pag. 140 - Euro 15 – Traduzione di Chiara Brovelli
Fandango Libri – www.fandango.it

“Sono stato internato in più di tre manicomi, da quando mi trovo a Miami, dove sono arrivato sei mesi fa dopo una fuga da Cuba. Sono scappato dall’isola e da tutto ciò che le appartiene. Non sono un esiliato politico. Sono un esiliato totale. A volte penso che, se fossi nato in Brasile, in Spagna, in Venezuela o in Scandinavia, avrei finito comunque per fuggire dalle vie, dai porti o dalle praterie di quei Paesi”

Guillermo Rosales è uno scrittore cubano della diaspora, uno dei tanti autori ignoti al grande pubblico per volontà di un regime liberticida, e anche per questo è meritoria l’operazione recupero targata Fandango. Rosales è nato nel 1946 all’Avana, non è mai sceso a patti con un sistema autoritario che l’ha incarcerato come dissidente. Negli anni Ottanta è scappato a Miami, dove ha trascorso anni disperati lontano dagli affetti e dalla sua terra, ricoverato in manicomio per una grave forma di schizofrenia, che nel 1993, a soli 47 anni, l’ha portato al suicidio. Rosales ha creduto nelle idee rivoluzionarie, è stato comunista come la maggior parte dei cubani, ha partecipato alla campagna di alfabetizzazione per insegnare a leggere e a scrivere ai contadini della sierra. Deluso dalla deriva autoritaria della rivoluzione è finito al confino politico, esule da patria e affetti, vivendo gli ultimi anni senza provare nostalgia di Cuba ma solo un odio smisurato. Prima di uccidersi, ha distrutto la maggior parte dei suoi scritti. Resta il romanzo autobiografico La casa dei naufraghi (Boarding Home - La casa de los náufragos, 1987), che narra la sua vita tra le mura di uno squallido manicomio, ripensando al passato, alla follia di una dittatura e a un Comandante che tormenta i sogni come un incubo assurdo. La casa dei naufraghi non è un romanzo epocale e neppure un capolavoro, come molti cercano di presentarlo, ma è un buon testo narrativo, un documento crudo e sincero di una vita allo sbando, della follia che aggredisce uno scrittore in fuga dalla sua terra, distruggendolo giorno dopo giorno. William Figueras è un personaggio costruito bukoskianamente sulla vita di Guillermo Rosales, la sua storia è un viaggio negli angoli più oscuri della mente e della condizione umana, attraverso ossessioni e umiliazioni, fino al baratro della disperazione. Il romanzo è senza speranza, scritto con una freddezza tale da non lasciare spazio a momenti nostalgici e sentimentali. Lo stile è nervoso, chirurgico, frammentario, immune da smanie descrittive e ricco di dialoghi.

Molto pregevole il saggio breve Guillermo Rosales o la collera intellettuale di Ivette Leyva Martínez, pubblicato in appendice al libro, perché chiarisce molti lati oscuri sulla personalità dello scrittore, riportando testimonianze dell’amico Carlos Victoria.

Il romanzo breve di Guillermo Rosales è l’opera di uno scrittore in crisi d’identità, di un uomo che ha perduto i suoi sogni e non ha intenzione di recuperarli con un’operazione nostalgia. Rosales preferisce sprofondare nella depressione, covando rancore per ciò che non è stato e per le illusioni che hanno segnato il passato. Fino al colpo di pistola liberatorio, prima letterario e metaforico, poi reale e definitivo. Adesso Guillermo Rosales attende giustizia in un posto migliore, insieme a Guillermo Cabrera Infante, Carlos Victoria, Reinaldo Arenas, Heberto Padilla, Carlos Franqui e molti altri scrittori, traditi da un sogno in cui avevano creduto.

Gordiano Lupi

sabato 10 dicembre 2011

Vocabolario ridotto

di Yoani Sanchez
da www.lastampa.it/generaciony

Fuochi artificiali all’Avana per il giorno dei diritti umani

Nella mia infanzia ricordo una lunga lista di frasi e di parole vietate, ma due erano le più censurate: “Natale” e “Diritti Umani”. Ogni tanto sentivo sussurrare la prima dalla bocca di una nonna che aveva conosciuto gli alberi adornati con ghirlande, i torroni di Alicante e il tacchino. La seconda, invece, si mormorava in senso dispregiativo per alludere a persone coinvolte in attività controrivoluzionarie. Sono cresciuta così, senza conoscere le festività dell’ultima settimana dell’anno e credendo che quella dichiarazione adottata dalle Nazioni Unite nascondesse il male. Il mio ridotto vocabolario mi ha spinto a tenere un comportamento civico timoroso e mi ha portato ad accettare passivamente un lungo elenco di proibizioni.

In questo mese di dicembre, i negozi sfoggiano luci intermittenti e alberi ben adornati. Un pingue Santa Claus sorride nella vetrina di un importante centro commerciale della città. Le persone si incontrano per strada e tra di loro si scambiano frasi come “Buon Natale”, “Sto facendo gli acquisti di Natale”, “Vieni a casa mia a festeggiare il Natale”. Il ridotto vocabolario della mia infanzia si è visto restituire una parola, un termine che per decenni è stato considerato maledetto. Nonostante tutto, il vicino di casa continua a dire: “Fai attenzione, non ti avvicinare troppo, perché loro sostengono i diritti umani”. In qualche meeting di ripudio - tra i tanti che vengono organizzati nel nostro paese - in questo istante qualcuno sta gridando: “Abbasso i diritti umani!” e il poliziotto politico che sorveglia la situazione all’angolo di una strada conferma alla radio: “Sì, stanno arrivando i gruppuscoli che sostengono i Diritti Umani”. Non può mancare un amico che ci chiede di parlare a bassa voce, “perché se cominci ad affrontare certi argomenti, è meglio alzare il volume della musica”.

Una neve ipotetica cade sul rosso dei berretti natalizi, ma un tremendo acquazzone la dissolve e la riduce al minimo. Cade la pioggia dell’intolleranza, scendono le gocce delle detenzioni, soffia il vento inclemente che tormenta la nostra Isola quando qualcuno osa appena pronunciare l’espressione “diritti umani”.

Traduzione di Gordiano Lupi


Nota del traduttore:

La giornata dei diritti umani a Cuba è passata al ritmo di numerosi arresti temporanei, la nuova prassi raulista. Gli attivisti dei diritti umani hanno confezionato ombrelli simbolici e camicette disegnate da El Sexto. Tra gli arrestati segnaliamo il cantante punk Gorki Avila, che non ha potuto esibirsi.

venerdì 9 dicembre 2011

I veri assassini di Bayamo sono ancora liberi

La Sicurezza di Stato promette di rivedere il processo

Il periodico digitale indipendente Diario de Cuba scrive che la Sicurezza di Stato ha promesso ai familiari di 13 condannati a pene fino a trent’anni di reclusione per l’omicidio di una minorenne a Bayamo di rivedere il caso. I familiari assicurano che i condannati sono innocenti e che i veri assassini di Lilian Ramírez Espinosa sono ancora a piede libero. Accusano il Dipartimento Tecnico di Investigazioni di Bayamo di aver fatto un pessimo lavoro, di aver fabbricato prove e usato comportamenti minacciosi, inganni, pressioni psicologiche e persino di aver usato le maniere forti per ottenere confessioni.

Sono state consegnate ai funzionari incaricati di Villa Marista, alcune dichiarazioni degli accusati - tra i quali ci sono tre cittadini italiani - e diversi documenti per cercare di dimostrare l’inconsistenza delle prove. Tra i documenti c’è una memoria contenente gli errori che secondo gli avvocati sono stati commessi. La rivista cubana scrive che i giudici incaricati di rivedere il processo si sono resi conto che in primo grado non è stato fatto un buon lavoro.

Simone Pini, condannato a 25 anni di reclusione, e Ramón Enrique Álvarez Sánchez, che deve scontare una pena di 14, sono scesi in sciopero della fame dalla settimana scorsa.

“Simone dice che non sconterà una sentenza per un reato che non ha commesso e che preferisce morire prima di continuare a vivere in carcere”, ha detto Virginia García Reyes, compagna di Pini.

L’italiano, accusato di omicidio e corruzione di minori, assicura che non si trovava a Cuba nel giorno in cui è morta la bambina e afferma che le autorità ignorano deliberatamente le prove portate a sostegno del fatto che si trovava in Italia.

“L’appello è un altro modo per toglierti denaro. Mi hanno fatto spendere 15.000 dollari di avvocato. In questo posto, secondo me, la giustizia non esiste”, ha detto a Diario de Cuba l’italiano Luigi Sartorio, condannato a vent’anni con l’accusa di corruzione di minori, dal carcere avanero del Combinado del Este. In un primo tempo Sartorio era stato accusato di aver partecipato all’omicidio della bambina. “Sono stati 12 mesi di istruzione terribile, trascorsi in un luogo privo di aria e di luce, spesso senza neppure mangiare e bere. Mi hanno chiesto solo una cosa: dove mi trovavo il 14 maggio del 2010”, ha detto Sartorio. L’italiano ha portato prove della sua presenza in Italia, come transazioni bancarie e pratiche pendenti davanti alla giustizia del suo paese.

“Hanno minacciato di fucilarmi, di mettere mia moglie (cubana) in prigione e di portare mio figlio (un bambino di un anno) in orfanatrofio”, ha detto. Inoltre un capitano chiamato Medina avrebbe tentato di obbligarlo con la forza a dichiarare di aver pagato un funzionario dell’Ufficio Immigrazione affinché cancellasse la sua data di ingresso a Cuba. Secondo Sartorio, dopo un anno di tentativi a vuoto, i giudici istruttori hanno modificato i capi d’accusa nei suoi confronti.

“Mi hanno tolto l’imputazione di omicidio e hanno inventato quattro reati”, ha detto.

Il tribunale di Bayamo ha accusato l’italiano di aver partecipato a diversi incontri erotici con minorenni e altre persone condannate. Sartorio ha detto di aver presentato testimonianze video e foto per dimostrare che non si trovava a Bayamo nei giorni indicati dalle autorità. Per esempio, il 20 febbraio del 2010, era a Holguín per la nascita del figlio e ci sono molti testimoni che possono provarlo.

“I giudici istruttori hanno usato prove false, addirittura costruite, come un pelo tagliato che è stato rinvenuto in una delle case dove hanno avuto luogo gli incontri. Qui tutto è falso. Non spero minimamente nel giudizio di appello. Avevo 14 testimoni a favore che sostenevano come le accuse contro di me fossero menzogne, ma non è bastato. Cuba mi piaceva molto. Avevo deciso di stabilirmi in questo paese perché lo credevo sicuro e tranquillo. Adesso penso che è un luogo pericoloso e che non c’è giustizia”, ha concluso Sartorio.

La storia di questo orribile delitto non sembra finita. I nostri connazionali sono nelle mani di un sistema processuale che non garantisce la certezza del diritto e a questo punto si sentono anche un po’ abbandonati dalla giustizia italiana.


Gordiano Lupi

Esce nelle sale cubane Juan de los muertos

Invasione di zombi all’Avana -  Una critica graffiante al regime


“Sono sopravvissuto al periodo delle fuga dal porto di Mariel, alla guerra d’Angola, al Periodo Speciale e a tutto quel che è venuto dopo”, così si presenta il protagonista di Juan de los muertos, la prima pellicole a tema zombi della storia del cinema cubano. Juan de los muertos del giovane regista Alejandro Brugués (35 anni) non è un horror drammatico, ma un’irriverente commedia macabra che ironizza sui problemi del quotidiano. Il film è arrivato proprio questa settimana sugli schermi dell’Avana, grazie al Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano, dove gareggia per il Premio Coral, assegnato al miglior lungometraggio di fiction.


Brugués - al secondo film dopo Personal Belogings (2007) - gira una pellicola ricca di elementi tipici del genere horror (azione, sangue, corpi in decomposizione...), ma il soggetto e la sceneggiatura sono molto legati alla realtà cubana: di fronte all’invasione di zombi il protagonista inventa il modo di “sfruttare la situazione” e mette in piedi un’attività contrassegnata dallo slogan: “Juan de los muertos. Uccidiamo i vostri cari”.  Juan (Alexis Díaz de Villegas) diventa cacciatore di zombi a capo di una squadra molto singolare: la figlia, il miglior amico, il figlio dell’amico, un travestito e un compare muscoloso che ogni tanto sviene perché non sopporta la visione del sangue. Juan affronta gli zombi affamati di carne umana in un’assurda avventura che mette in primo piano tematiche cubane come l’esilio, la separazione delle famiglie e la mancanza di aspettative tra i giovani. Brugués realizza un lavoro di graffiante satira politica: i morti viventi sono presentati dalla televisione di regime come “gruppuscoli di dissidenti al servizio del governo degli Stati Uniti”.


Juan de los muertos ironizza persino sulla sanità pubblica, uno dei vanti della rivoluzione cubana, quando un anziano vicino del protagonista si trasforma in un morto vivente e la moglie incolpa “le medicine scadute che gli hanno dato in ospedale”. Brugués realizza una pellicola ricca di umorismo, portando la macchina da presa a scoprire scenari simbolici dell’Avana come il Malecón, dove si verifica una strage di morti viventi accanto alla Sezione d’Interessi degli Stati Uniti, e Piazza della Rivoluzione, che si riempie di teste mozzate da un “religioso yankee” in visita a Cuba. Il pubblico avanero non è abituato agli effetti speciali nelle pellicole cubane, ma ha accolto con entusiasmo la scena della distruzione del Capitolio, colpito da un elicottero, e il crollo del Focsa, uno degli edifici più alti della città. Nella seconda sequenza il regista inserisce un elemento umoristico quando i protagonisti si dicono soddisfatti di poter vedere il tramonto.


Juan de los muertos è una pellicola politicamente coraggiosa, perché fa satira su argomenti pericolosi. Alcuni spettatori non sembrano sorpresi: “Negli ultimi tempi assistiamo a maggiori aperture in tema di libertà di critica”, dice uno studente di informatica. Altri compagni di corso concordano con la sua idea, affermano di essersi divertiti molto, perché il film ha momenti esilaranti. All’Avana si attendeva con ansia il debutto di questa pellicola e soprattutto i giovani hanno preso d’assalto il cinema. Juan de los muertos è una coproduzione tra Cuba (Producciones de la 5ta. Avenida) e Spagna (La Zanfoña). Negli ultimi mesi è stato proiettato nel corso dei festival del cinema di Sitges (Spagna), Toronto (Canada) e Leeds (Gran Bretagna), dove ha ottenuto il premio del pubblico. Inoltre è stato visto al Festival di Mar del Plata, in Argentina, al Festival di Chicago e al Fantastic Fest negli Stati Uniti. Alejandro Brugués è al secondo film, si dice un appassionato del genere zombi, del cinema di intrattenimento di fine anni Settanta e del regista nordamericano Steven Spielberg. “Per me aver realizzato questa pellicola è la realizzazione di un sogno infantile. Ho potuto anche parlare di come siamo fatti noi cubani e com’è la nostra realtà quotidiana”, ha detto Alejandro Brugués, un cubano nato a Buenos Aires. Il protagonista del film è Alexis Díaz de Villegas, ma tra gli attori ci sono anche i cubani Jorge Molina, Andros Perugorría (figlio del grande Jorge Perugorría), Jazz Vila, Eliecer Ramírez e la spagnola Andrea Duro. Juan de los muertos arriverà sugli schermi spagnoli a partire dal 5 gennaio. In Italia crediamo che non lo vedremo mai...


Gordiano Lupi

giovedì 8 dicembre 2011

Raul Castro e i dissidenti


Raul Castro: - Non ricordo bene. Ho portato questo attrezzo per riparare le cose che non vanno o per picchiare i dissidenti?

Fidel Castro (nele vesti di suggeritore): - Picchia! Picchia!

Nello sfondo l'economia cubana ridotta a macerie.

Garrincha su El Nuevo Herald.

mercoledì 7 dicembre 2011

Elián González compie diciotto anni


Forse non tutti ricordano Elián González, il bambino che si salvò dal naufragio nello stretto della Florida e si trovò al centro di una caso internazionale tra Cuba e Stati Uniti, rischiando di provocare una crisi diplomatica tra i due paesi. I fatti risalgono alla fine del 1999, quando Elián non aveva ancora compiuto 6 anni e rischiò di morire insieme alla madre dopo il naufragio di una zattera al largo della Florida. Alcune ore dopo il tragico evento, suo padre, Juan Miguel González reclamò il ritorno del bambino a Cuba, affermando che era stato portato via senza il suo consenso.


Fidel Castro - sostenuto dalla chiesa statunitense - cominciò una campagna politica e legale per il rientro in patria del minore, che nel frattempo era stato accolto da alcuni familiari emigrati a Miami. Per la prima volta dopo decenni Washington e L'Avana si trovarono d'accordo: il bambino doveva tornare dal padre, nonostante le grandi pressioni dei settori più conservatori dell'esilio cubano - statunitense, contrari al rientro di Elián sull'isola. Persino Janet Reno, segretaria del Presidente Bill Clinton, approvò la decisione di riconsegnare Elián al padre. Per le strade avanere furono sette mesi di mobilitazioni di massa organizzate dal governo per sostenere il rimpatrio del minore. Ricordo una frase emblematica di un mio amico cubano: "A Cuba non ci sarebbero altri problemi se non fosse per il caso Elián. La televisione non parla d'altro e i giornali scrivono solo notizie sul bambino rapito al padre".


Le autorità statunitensi dovettero realizzare un operativo di polizia stile commando per far uscire Elián dalla casa dei familiari di Miami, che rifiutavano di consegnarlo al padre, venuto in Florida per riprendere il bambino. Il 28 giugno 2000 il caso Elián poteva dirsi risolto con il suo rientro all'Avana.


Il giovane Elián vive a Cuba, studia in una scuola militare e il partito comunista al potere lo ha trasformato in un simbolo, in una sorta di eroe nazionale. Nei giorni scorsi Elián è diventato maggiorenne e ha festeggiato il compleanno a Cárdenas, sua città natale, situata a 120 chilometri dall'Avana, insieme al padre, secondo quanto ha riferito la televisione cubana. Le immagini televisive hanno inquadrato Elián mentre conversava al telefono con René González, uno dei 5 agenti dei servizi segreti cubani (eroi, secondo il governo cubano) liberato a ottobre dopo aver scontato 13 anni di prigione negli Stati Uniti. "Ha voluto augurarmi un buon compleanno", ha detto Elián. René González si trova ancora negli Stati Uniti, perchè un giudice gli ha inflitto tre anni di libertà vigilata negli Stati Uniti prima di poter fare rientro a Cuba.


Elián continua a interpretare il suo ruolo di ragazzo simbolo di una vittoria contro l'odiato nemico nordamericano. Per quanto ancora dovrà durare la commedia?

Gordiano Lupi

Le foto mostrano Eloian Gonzales in diversi periodi della sua vita, inoltre c'è la copertina di Time nel periodo della crisi diplomatica USA - Cuba per la sua restituzione.