sabato 22 aprile 2017

Calcio che passione!

Calciomania che mi contagia e che mi ha sempre contagiato, in fondo, visto che il mondo del calcio è stato il mio mondo dai 16 ai 39 anni. Adesso non seguo più il calcio importante, credo che sia una crisi di rigetto perché ha occupato troppo tempo della mia vita. Ma non posso fare a meno di seguire le gesta eroiche della squadra della mia città - l’Atletico Piombino -  che disputa l’Eccellenza Toscana e quest’anno si trova a un passo dalla Serie D. Come non posso resistere alla tentazione di sfogliare libri di ricordi calcistici che mi riportano al passato, cavalcando al contrario il percorso del tempo. 

E allora se arriva La religione granata di Nicola Morello (Yume Edizioni, 15 euro, pagine 180) corro subito a sfogliare le pagine che riguardano Aldo Agroppi e Lido Vieri, calciatori piombinesi che hanno fatto grande il Torino, protagonisti di alcuni miei libri di fiction (Calcio e acciaio - Dimenticare Piombino), e mi dico che quando vedo Agroppi magari glielo regalo, questo libro, ché sono sicuro gli farà piacere. La religione granata non è consigliato per coloro che vedono il mondo in bianco e nero, ma è un affresco imperdibile che racconta l’universo granata, dalla strage di Superga ai tempi di Sala, Pulici, Graziani, Mondonico, Radice e compagnia cantante… 


Fabio Belli e Marco Piccinelli, invece, pubblicano Calcio e martello - Storie e uomini del calcio socialista (Rogas edizioni, pag. 105, euro 10,90), un libro un tantino più ideologico e meno di cuore, ma interessante per come compone un affresco storico - sociale che va dall’Ungheria di Puskas alla Polonia di Lato, passando per il Perugia di Sollier e l’Urss del portierone saracinesca Lev Yashin. Indovinatissimo il titolo. Edizioni Incontropiede non finisce di stupirci con l’idea innovativa delle guide di secondo livello che affiancano le guide classiche, tascabili, guide di città europee che tratteggiano itinerari calcistici imperdibili per l’appassionato. 
Primi due volumi Zagabria e Lisbona, a cura di Alberto Facchinetti (factotum della casa editrice e grande esperto di calcio), Jvan Sica e Enzo Palladini (ha contribuito solo per Lisbona). Prezzo economico: 12,50 per 120 pagine in formato tascabile. Unica pecca: poche fotografie e piuttosto scure. Ma i librettini sono pieni zeppi di curiosità, dalla storia di Benfica, Sporting, Belenenses e il ricordo degli stadi dove giocò il Grande Torino, passando per il mito di Eusebio, per toccare i luoghi simbolo della Zagabria calcistica, narrando le stagioni della Dinamo di Jerkovic e Boban. Molte interviste. Rileggere questi libri è per me fare un tuffo nel passato, addentare una madeleine, lasciarmi tentare dal sapore del  tempo perduto. E per un attimo mi rivedo a correre sui campi della Terza Serie, magari quelli assolati e sterrati del Sud che ho sempre amato, campetti dove ho lasciato il cuore e che di tanto in tanto torno  frequentare, in sogno o nei romanzi, grazie a personaggi che sono di fantasia solo per il lettore ma che rappresentano la mia vita. Tanto lo so che il tempo perduto non torna. E allora non resta che leggere e sognare.

venerdì 14 aprile 2017

Una vampata d’amore (1953)

di Ingmar Bergman


Regia: Ingmar Bergman.Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist, Hilding Bladh. Montaggio: Carl - Olov Skeppstedt. Musiche: Karl-Birger Blomdahl. suono: Olle Jacobsson. Costumista: Mago. Direttore di Scena: Crals Ove Carlberg.  Produttore. Rune Waldekranz. Produzione: Sandrewproduktion. Distribuzione: Sandrew Bauman Film. Distribuzione Italiana: Globe Film International. Origine: Svezia (1953). Durata. 92’. Fotografia. b/n. Titolo originale: Gycklarnas afton (La serata dei buffoni). Distribuito in Italia: 1959. Riedizione Televisiva: 1975. Interpreti: Čke Grönenberg (Albert), Harriet Andersson (Anne), Hasse Ekman (Frans), Anders Ek (Teodor), Gudrun Brost (Alma), Annika Tretow (Agda), Erik Strandmark (Jens), Gunnar Björnstrand (Sjuberg), Curt Löwgren (Blom), Čke Fridell (ufficiale), Kiki (il nano), Majken Torkeli (signora Ekberg), Vanjek Hedberg (suo figlio), Curt Löwgren (Blom), Conrad Gyllenhammar (Fager), Mona Sylwan (signora Fager), Hanny Schedin (zia Asta), Michael Fant (Anton), Naemi Briese (signora Meijer), Lissi Alandh, Karl-Axel Forssberg. Olav Riégo, John Starck, Erna Groth, Agda Helin, july Bernby, Göran Lundquist, Mats Hĉdell.

Una vampata d’amore - meglio sarebbe stato lasciare il titolo originale La serata dei buffoni - non è tra i film più noti e celebrati di Ingmar Bergman, contemporaneo a un capolavoro come Monica e il desiderio resta un po’ in ombra, ma la critica francese lo giudica una delle opere nere più riuscite del Maestro svedese. Bene hanno fatto la Ripley’s Film e Viggo srl a riportare sul mercato il DVD di un’opera che in Italia non si apprezzava dalla edizione televisiva del 1975, successiva a quella cinematografica del 1959, visto che da noi Bergman è arrivato con sei anni di ritardo rispetto alla patria di origine. Un DVD realizzato da un master HD CAM in versione originale, fornito dal distributore internazionale NON STOP SALES AB, prezioso e  imperdibile per un collezionista delle opere del regista svedese. La colonna italiana, non essendo più reperibile il negativo colonna, è stata masterizzata e sottoposta a pulizia digitale, a partire da un positivo di 35mm d’epoca stampato dalla Globe Film International per la prima distribuzione italiana del 1959. Non ci sono Extra, questo è il solo limite di un’importante operazione culturale.
Bergman scrive, sceneggia e dirige la storia di Albert (Grönenberg) è il direttore di un circo, stanco di tutto, persino del suo lavoro, separato dalla moglie - che rimpiange non per amore ma per la vita borghese - con una giovane amante (Andersson) che a un certo punto lo tradisce con un perfido attore di teatro. Bergman descrive da grande artista il rapporto logoro tra i due amanti, vissuto tra consuetudini e frasi fatte, gelosie e tradimenti, parole non dette e sogni di fuga. Il finale è molto triste, con Albert deriso e malmenato, dopo aver cercato di vendicarsi del rivale, non riesce neppure a suicidarsi e finisce per uccidere l’orso del circo. Tragedia ridicola, se si vuole, perché tutto torna al punto di partenza: il circo riprende il suo girovagare, Albert torna con la sua amante e la vita prosegue tra delusioni, rimpianti e inutili sogni di cambiamento. In fondo, nel breve volgere di una notte, l’uomo e la donna si sono traditi reciprocamene, perché il primo sarebbe tornato a vivere con la moglie, se soltanto lei lo avesse accettato. L’amante, invece, si è lasciata sedurre da uno squallido teatrante che l’ha ricompensata con un gioiello falso ed è andato al circo per deriderla. Bene ha fatto la critica francese a definire il film un’opera nera che mette in scena un’umanità dolente, incapace di cambiare la propria vita, una storia d’amore non convenzionale, dal contenuto introspettivo che anticipa i futuri capolavori. Un film ricco di immagini cruente, fotografia gelida in bianco e nero, soluzioni di regia originali (figure riprese negli specchi, in controluce), poetici piani sequenza e panoramiche di scogliere, prati e montagne che si specchiano nel mare. Romanticismo espressionista che non presta il fianco a sentimentalismi di sorta e a immagini consolatorie, ma sempre crudo e realistico, persino cinico e sadico. Attori straordinari, impostati secondo le regole del teatro, così come il cinema di Bergman resta sempre molto teatrale, anche se la fotografia di Sven Nykvist conferisce un respiro ampio e grande intensità agli esterni.
Bergman afferma nel libro autobiografico Immagini (Garzanti, 1992): “Il film è un tumulto, ma un tumulto ben organizzato. Lo scrissi in un piccolo hotel nei pressi di piazza Mosebacke, la camera era stretta, con una vista di chilometri sulla città e sulla rada. Dall’hotel si scendeva al teatro attraverso una scala a chiocciola segreta. la sera si udiva la musica che veniva dal palcoscenico della rivista. Di notte, nella sala da pranzo dell’hotel, gli attori e i loro bizzarri ospiti facevano festa. In quell’ambiente, in meno di tre settimane, nacque Una vampata d’amore, scritto di getto, dal principio alla fine, guidato dai demoni della gelosia. Qualche anno prima ero stato sconsideratamente innamorato. Con il pretesto dell’interesse professionale spinsi la mia amata a raccontarmi nei dettagli le sue sfaccettate esperienze erotiche. La specifica eccitazione della gelosia retrospettiva mi logorò, graffiandomi nelle viscere e nel sesso”.
Possiamo dire che il film è una combinazione continua di erotismo e di umiliazioni, che parte dall’episodio di Frost e Alma - narrato in un breve flashback - per poi approfondire il sentimento sviscerando la stanca relazione tra Albert e Anne. Una vampata d’amore non fu accolto bene dalla critica, addirittura un critico svedese scrisse di rifiutarsi di valutare ocularmente l’opera del signor Bergman. Il tempo ha dato ragione al grande regista, perché il film è invecchiato benissimo e resiste con la forza del capolavoro al passare del tempo.

giovedì 13 aprile 2017

Si può dichiarare il proprio amore a un'isola?

Logus mondi interattivi editoria digitale: Si può dichiarare il proprio amore a un'isola?: Inauguriamo il nostro blog " a porte aperte" con un articolo di Gordiano Lupi , autore, traduttore, blogger (su e per Cuba) e d...


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giovedì 6 aprile 2017

Lo Scrittore Sfigato va al cinema

Episodio 44


by Lupi

Degni di nota



Andrea Mirò e Alberto Patrucco
Degni di nota - tra Gaber e Brassens 
 
Teatro dell'Olivo a Camaiore, in provincia di Lucca, uno di quei piccoli gioielli che non ti aspetti in una provincia versiliese montana, una bomboniera di palcoscenico, tra palchetti e piccola platea. Bellissimo. E poi uno spettacolo di altissimo livello culturale, capace di unire leggerezza a impegno, di coniugare il minimalismo di Brassens con il massimalismo di Gaber, in un alternarsi di voci femminile (Mirò) e maschile (Patrucco) sempre all'altezza dei testi e delle musiche. Tutto molto bello in questa produzione teatrale diretta con mano salda da Emilio Russo, due anni di lavoro tra traduzioni, arrangiamenti e allestimento, ma i frutti si vedono. Un recital giocato sul filo dell'ironia e del sarcasmo, senza mai eccedere, graffiante critica di una società post consumistica che ha perso valori e punti di riferimento, frecciate contro televisione e pseudocultura, ma anche frizzanti punzecchiature politiche a base di nonsense, assonanze, giochi di parole. Umorismo colto, molto inglese, ma soprattutto anarchico, alla Gaber - Brassens, veri protagonisti della serata. Testi di Alberto Patrucco - istrionico attore che quando canta ricorda il grande De Andrè -, traduttore e arrangiatore del Brassens meno noto, quello inedito, mai sentito in italiano, che in passato si è tolto pure la soddisfazione di andare a recitare il suo poeta preferito a Parigi, in italiano. Tredici testi che si fondono con le parole di Gaber fatte rivivere dalla splendida voce femminile di Andrea Mirò, calda e intensa, graffiante e dura quando serve. Uno spettacolo che non è mai retorico e celebrativo, ma che fa rivivere parole musica di due artisti del secolo scorso, in un modo o nell'altro capaci di lasciare un segno indelebile nella nostra cultura. E i testi comici si uniscono bene alla poesia - canzone, perché sono in linea con la poetica anarchica dei due grandi Giorgio (italiano e francese) del Novecento, illuminanti e profondi per quanto è vuoto e superficiale il periodo storico che stiamo vivendo. Se la televisione facesse ancora cultura, come un tempo, invece di ospitare idioti che naufragano per finta in un'isola dei Caraibi, sarebbe uno spettacolo da proporre in prima serata. Alla fine il pubblico applaude a scena aperta e gli attori concedono un bis. Successo meritato.