venerdì 25 febbraio 2011

Lettera alla stampa di un ragazzo cubano

Ieri nella puntata di “Annozero” si portava alla luce che nei paesi emergenti - in questo caso la Libia - oggi gli strumenti dei giovani sono diversi quando è il momento di confrontarsi e scontrarsi col potere che li sottomette. Le dittature oggi sono più fragili poiché le lotte sociali e la voglia di partecipare nella vita civica di una società sono cambiate negli anni. Con tutto ciò affermava la tesi che tutti i soggetti coinvolti – vale a dire i cittadini di un paese – sia che siano dentro che fuori dello stesso, hanno il diritto di attivarsi pacificamente per il cambiare lo stato delle cose, quando un governo non solo li opprime violando i diritti umani ma si perpetua nel potere senza lasciare spazio alla società civile di poter proporre cambi e miglioramenti.
La mia lettera parte da questa "provocazione".
Vi siete chiesti come mai Gheddafi sia contemporaneamente “amico” di Berlusconi, Fidel Castro e Ugo Chvez? In questi giorni mentre tutti condannano i massacri in Libia, le tv di stato di Cuba e Venezuela cercano non solo di minimizzare, ma vanno oltre: difendono Gheddafi. Potete verificarlo facendo un giro sul canale satellitare Telesur.
In queste settimane dopo il primo fatto in Tunisia anche noi cubani in molti paesi del mondo abbiamo alzato la nostra voce. Su Facebook è nata una pagina che oggi sfiora già i cinquemila scritti. Persone che non si conoscono si sono aggregati per far sentire la loro voce. I cubani nell’isola non hanno questa possibilità. La pagina si chiama “Por el levantamiento popular en Cuba” e vuole solo affermare che il diritto a manifestare il dissenso è sacrosanto.
Ho iniziato il mio messaggio parlando delle amicizie di Gheddafi per far capire quanto può essere paradossale il comportamento politico della “sinistra Italiana” quella che si dice più liberale o radicale nei confronti di coloro che in questi giorni manifestano per le strade del nord dell’Africa. Pure io applaudo con entusiasmo la voglia di libertà di quei popoli. Ma, quando si tratta della realtà con la quale convivono i Cubani oggi giorno, questa stessa sinistra gira lo sguardo dall’altra parte, si arrampica sugli specchi. Fra Gheddafi e Fidel Castro esiste una grande amicizia che negli anni si è consolidata sempre di più. A Cuba il colonnello ha ricevuto omaggi e con decorazioni di alto pregio, addirittura quella più alta riservata a un capo di Stato straniero.
Voglio ricordare che a Cuba da 53 anni tutti cittadini per uscire e ritornare nel loro paese devono avere un'autorizzazione del governo che ogni volta è soggetta a valutazioni soggettive da parte della polizia segreta. Non esistono liberi partiti, giornali indipendenti, tv libere e private, nè organizzazioni di alcun genere, nè sindacati, nè associazioni. E' consentito solo ciò che proviene dal governo. Sono proibite manifestazioni e/o riunioni in luoghi pubblici se gli stessi non sono stati organizzati dal governo. Addirittura qualche anno fa introdussero nella costituzione il reato pre-delittivo – la polizia e gli organi giudiziali hanno il potere di mandare in galera una persona ancor prima che commetta un reato. Solo il 3 % della popolazione possiede internet, l'accesso alla rete è consentito solo all'elite del potere e ai loro familiari, così come la tv satellitare.
Vorrei tanto che non venissero usati due pesi e due misure da parte della sinistra Italiana.
Sono ipocriti? Sono ingenui? Non lo so. 
Sono disponibile a chiarimenti e confronti su quanto affermo. Nopn comprendo perchè si condanna (giustamente) con forza Gheddafi e al tempo stesso si giustifica e si idolatra Fidel Castro e il suo regime.

Saluti
Roberto Pereira

Yoani non potrà ritirare il Premio iRedes in Spagna

Il governo cubano impedisce alla blogger Yoani Sánchez di ricevere il Premio del Primo Congreso Ispanoamericano sulle Reti Sociali.


Il Primo Congresso Ispanoamericano sulle Reti Sociali (iRedes), al quale sono stati invitati moltri esperti latinoamericani, è stato inaugurato nella cittadina spagnola di Burgos, ma l'ospite principale, la blogger cubana Yoani Sánchez, non ha potuto partecipare alla manifestazione.
La giuria della prima edizione di iRedes ha selezionato Yoani, residente all'Avana e autrice del blog Generación Y, come vincitrice del premio nella categoria individuale, ma la blogger non ha potuto recarsi in Spagna per ricevere il premio, perchè le autorità cubane non le hanno concesso il visto di uscita dal paese.
Yoani ha denunciato già da alcuni giorni tramite Twitter che il governo cubano trattiene illegittimamente il suo passaporto e che si trova impossibilitata a esperire qualsiasi tipo di pratica per viaggiare fuori dai confini nazionali.
Secondo la motivazione del Premio iRedes, la blogger è stata premiata per la qualità del suo lavoro, per la sua "costante e coraggiosa attività" nelle reti sociali e per la risonanza delle sue narrazioni, "seguite in tutto il mondo".
La giuria ha detto che "Yoani è una fonte di ispirazione per tutti coloro che difendono le libertà e i diritti partendo dalle reti sociali".
Juan Carlos Aparición, sindaco di Burgos, città sede del congresso, ha fatto di tutto per consentire che Yoani potesse assistere all'evento, inviando persino una lettera all'ambasciatore cubano, ma non ha ottenuto risposta.
Negli ultimi tre anni, il governo cubano ha respinto le richieste di viaggio di Yoani almeno in nove occasioni. "Sono specialisti nel toglierci tutto ciò che potremmo vivere, sperimentare e conoscere al di là dei nostri confini", ha detto la blogger criticando le restrizioni imposte dal regime.
Il vento del cambiamento a Cuba - almeno in tema di diritti umani - è molto lontano dal cominciare a soffiare...

Gordiano Lupi

giovedì 24 febbraio 2011

Cuba non è come l'Egitto...


Omar Santana su El Nuevo Herald mette in farsa gli ultimi eventi.

Fidel: - "Come potete vedere Cuba non è l'Egitto..."

"... caso mai siamo come in Libia".

http://garrix.blogspot/ per leggere altre divertenti vignette!

Gordiano Lupi

Obama commemora l’anniversario della morte di Zapata Tamayo



In un messaggio diffuso ieri, il Presidente degli Stati Uniti assicura che la persecuzione dei dissidenti “dimostra quanto è lontano dal compiersi il sogno di Zapata”.

Il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha commemorato il primo anniversario della morte di Orlando Zapata Tamayo affermando che “il popolo cubano deve sapere che la sua sofferenza non passa inosservata”.

“In un giorno come questo, ricordiamo la tragica morte di Orlando Zapata Tamayo, che un anno fa ebbe il coraggio di difendere i diritti del suo popolo ricorrendo a un estremo sacrificio, catalizzando l’attenzione mondiale sugli abusi perpetrati ai danni di cubani incarcerati per motivi politici dalle autorità”, ha detto Obama.

Il messaggio, pubblicato sulla pagina web della Casa Bianca, afferma che “l’attenzione prestata al gesto di Zapata” e le proteste pacifiche delle Damas de Blanco “hanno permesso di liberare” alcuni dissidenti grazie ai “buoni uffici” della Chiesa Cattolica.

“Oggi mi unisco al popolo cubano per commemorare questo anniversario, chiedendo ancora una volta l’immediata e incondizionata liberazione di tutti i prigionieri politici”, ha detto Obama, stigmatizzando la persecuzione e la detenzione della madre di Zapata, Reina Luisa Tamayo, e di altri dissidenti cubani.

“Questo dimostra che il sogno di Zapata è ancora lontano dal compiersi”, ha aggiunto.

Obama ha ricordato che da quando è stato eletto Presidente degli Stati Uniti si è “messo in contatto” con il popolo cubano per “appoggiare il giusto desiderio di determinare liberamente il futuro, ottenendo libertà e giustizia”.

“I cubani devono sapere che la loro sofferenza non passa inosservata e che gli Stati Uniti sono al loro fianco per difendere il diritto inalienabile a ottenere diritti e libertà inalienabili per ogni essere umano”, ha concluso il Presidente.

Raúl Castro ha appena compiuto tre anni di presidenza, ma la sua politica in tema di diritti umani non è cambiata. I prigionieri scarcerati sono obbligati ad accettare la via dell’esilio oppure tornano a casa per essere perseguitati e fatti oggetto di umilianti atti di ripudio. Il cambiamento che il governo cubano propone in tema economico sembra soltanto opportunistico e soprattutto non va di pari passo con la creazione di una società libera e giusta.


Gordiano Lupi - www.infol.it/lupi

mercoledì 23 febbraio 2011

Ricordando Orlando Zapata Tamayo


Il vignettista Garrincha de El Nuevo Herald dipinge il fantasma di Orlando Zapata Tamayo che segue come un'immensa ombra di sangue un impaurito Raul Castro. Sembra d'essere in un famoso racconto di Charles Dickens, o meglio nella sua ironica versione cubana (Il canto di Natale di Fidel Castro di Alejandro Torreguitart - Edizioni Il Foglio Letterario - www.ilfoglioletterario.it), ma purtroppo è soltanto un sogno. Le agenzie cubane, la stampa indipendente, i blogger, l'esilio (non solo di Miami) sono unanimi nell'affermare che il governo cubano è riuscito a soffocare sul nascere ogni tentativo di manifestare in ricordo di un muratore morto dopo un lungo sciopero della fame, intrapreso per reclamare diritti civili e trattamenti dignitosi per i prigionieri politici. La polizia ha presidiato persino il cimitero di Banes, dove riposa Zapata Tamayo, ci sono stati arresti preventivi di dissidenti, sono state fermate alcune dame in bianco, il Premio Sacharov Guillermo Farinas è stato sorvegliato dalle forze dell'ordine, molti blogger come Yoani Sanchez e Caludia Cadelo si sono visti pedinare con maggiore solerzia dai segurosos. Ci sono stati arresti a un concerto de Los Aldeanos, gruppo di hip hop molto trasgressivo che racconta in musica la vita quotidiana. A far da contraltare a questo sconfortante panorama abbiamo la voce del cantautore di regime Silvio Rodriguez, impegnata a chiedere ipocritamente a Obama e a Google di concedere gratuitamente Internet al Terzo Mondo. Vorremmo chiedere a Silvio che cosa ne farebbe il regime cubano, se la terrebbe per sè, oppure se permetterebbe l'acceso a tutti i cittadini, persino ai dissidenti. Conosciamo la risposta, quindi evitiamo di porre la scomoda domanda. La manifestazione più importante per ricordare il primo anniversario della morte di Zapata Tamayo si è tenuta a Manhattan, dove alcuni fuoriusciti cubani hanno chiesto a viva voce libertà per la loro terra di fronte all'ambasciata cubana. Per il resto niente di nuovo sotto il sole, come era ampiamente prevedibile. A Cuba si respira soltanto paura, apatia e disillusione. L'onda araba è ancora molto lontana da questi lidi.

Gordiano Lupi

venerdì 18 febbraio 2011

Tempi facili e tempi difficili...



Garrincha su El Nuevo Herald di oggi...

Fidel Castro - "Arrivano tempi difficili!"

Cubano - "E io dov'ero che mi sono perso i tempi facili?"
Gordiano Lupi

mercoledì 16 febbraio 2011

Cuba non vuol copiare l'Egitto



Garrincha su El Nuevo Herald esemplifica con ironia l'attuale situazione cubana, paragonando la vitale popolazione egiziana a una cittadinanza cubana assuefatta al quotidiano, incapace di lasciarsi scuotere da sussulti libertari. La vignetta mostra un alunno egiziano che ha compilato il suo test, ha finito il compito assegnato e adesso lo mostra al collega cubano, che non solo si rifiuta di guardare, ma non ha nessuna intenzione di copiare, anzi, si volta dall'altra parte per non cadere in tentazione. E' triste dirlo, ma spesso la satira centra l'obiettivo e mette il dito nella piaga rendendo palese il dolore. Cinquant'anni di dittatura hanno reso il popolo cubano così fatalista e incapace di reagire da ritenere impossibile una presa di coscienza che segua le ribellioni di un mondo arabo che scende in piazza per chiedere pane, diritti e libertà.

Intanto va rilevato il buono stato di salute di Fidel Castro, che si è fatto vedere in pubblico - in compagnia di alcuni ospiti - presso la Fiera del Libro dell'Avana. Le foto sono scaricabili da El Nuevo Herald:

http://www.elnuevoherald.com/2011/02/16/887645/fidel-castro-se-reune-con-invitados.html

Gordiano Lupi

martedì 15 febbraio 2011

Una rivolta cubana stile Egitto?


I media cubani dell'esilio si danno un gran da fare a teorizzare la possibilità di una rivolta cubana sul modello di quanto accaduto in Egitto. El Nuevo Herald intervista scrittori e giornalisti, esponenti dei diritti umani, ex prigionieri politici e blogger, ma non riesce a dare una risposta univoca. La sensazione è che gli articolisti dissidenti sognino un simile evento, ma siano proprio loro i primi ad avere la consapevolezza che a Cuba non vivremo mai un simile scenario. Non per l'azione efficace del governo e dei pochi alimenti razionati concessi al popolo, come sostiene Fidel Castro. Il merito è tutto dei cubani che vivono in esilio che sostengono la vita dei loro familiari inviando a Cuba rimesse più o meno cospicue. I cubani non devono sopportare lo stesso grado di disperazione degli egiziani, perchè bene o male risolvono il problema alimentare, potendo contare sulla loro inventiva nel lavoro privato - più o meno legale - e su squadroni di parenti fuori dall'isola che non negano mai un aiuto economico. Su un punto ha ragione Fidel Castro: "il popolo non scende in piazza per i diritti umani, scende in piazza perchè ha fame". A Cuba non è stato ancora raggiunto il punto di rottura che spinge a contestare un governo e a non temere la reazione di uno Stato di polizia. Tra le buone notizie va registrata la liberazione di Héctor Maseda, che sabato 12 febbraio ha potuto riabbracciare la consorte Laura Pollan, attivista principale delle Damas de Blanco. Resterà a Cuba e continuerà a lottare per la libertà.
Gordiano Lupi

Il cavo internet Venezuela - Cuba



Omar Santana da El Nuevo Herald.

Blog defidelizzato


Questo blog non è di Fidel (e si vede!).
Tanto meno è della CIA.
E' di un uomo libero che sogna una Cuba libera.


Gordiano Lupi

giovedì 10 febbraio 2011

L'arco della sconfitta



Pezzi di cemento, frammenti di strade che non portano da nessuna parte, ponti che non collegano due sponde. Monumenti alla paralisi urbana ubicati lungo l’autostrada nazionale, strutture incompiute che ancora sognano di sentire il peso di camion e motociclette. La gente si accalca sotto quelle strutture incompiute, attendendo un mezzo di trasporto che li porti da qualche parte, approfittano dell’ombra che fanno questi archi della sconfitta, queste enormi strutture che servono soltanto da parasole, ma sono i più cari del mondo. I ponti interrotti del mio paese dalle loro ringhiere che non hanno mai sentito il calore di una mano ci fanno una smorfia, mostrano la lingua e ci ricordano la nostra atrofia urbanistica, il nostro rachitismo stradale.

Ogni volta che passo sotto le loro colonne deteriorare mi chiedo che senso hanno queste strade interrotte prive di auto. Perché esistono questi giganti incompleti che non portano da nessuna parte? Sono stati costruiti quando immaginavamo un’Isola piena di autostrade, dotata di una spina dorsale piena di ramificazioni da ogni parte. Sono passati alcuni decenni e i ponti interrotti sono accessibili solo dall’alto e restano scollegati dalle reti del traffico, ironico alloggio di condor e di lucertole che si riscaldano sui pilastri. Monoliti all’immobilità di un paese, che invece di nuove strade, carreggiate, rotonde e viali, ha visto come si deteriorano i suoi ponti interrotti, che cominciano a screpolarsi senza aver mai sentito il rumore dei pneumatici.

Traduzione di Gordiano Lupi

El arco de la derrota

di Yoani Sanchez


Trozos de concreto, fragmentos de caminos que no conducen hacia ningún lado, puentes que no unen dos orillas. Monumentos a la parálisis urbana ubicados a lo largo de la autopista nacional, estructuras inacabadas que todavía sueñan con sentir el peso de los camiones y de las motocicletas. La gente se agolpa bajo su inacabada estructura, a la espera de un transporte que los lleve a algún lado, aprovechan la sombra que dan estos arcos de la derrota, estas enormes estructuras que sólo sirven como parasoles, los más caros del mundo. Con barandas que no han sentido el calor de una mano, los puentes incompletos de mi país nos hacen una mueca, nos sacan la lengua recordándonos nuestra atrofia urbanística, nuestro raquitismo vial.
Siempre que paso bajo sus moles deterioradas, me pregunto qué sentido tienen estos caminos truncos sin autos. ¿Qué razón de ser la de estos gigantes incompletos que no van a ningún lado? Fueron erguidos allí cuando se proyectaba que esta Isla se llenaría de autopistas, como una espina dorsal viva a la que le salen ramales hacia todas partes. Varias décadas después, siguen desligados de las redes de tráfico, accesibles sólo desde arriba, irónico posadero de auras tiñosas y de lagartijas que se calientan en sus columnas. Monolitos a la inmovilidad de un pueblo, que en lugar de nuevas carreteras, calzadas, rotondas y avenidas, ha visto como sus puentes truncos se deterioran, comienzan a agrietarse sin haber sentido nunca el rodar de un neumático.

Blogger per il comunismo, saremo come il Che!


Jardim su El Nuevo Herald stigmatizza la calata dei blogger di regime su Internet. Guerra cibernetica?

martedì 8 febbraio 2011

Tan lejos de Egipto



El diario español El País publicó este fin de semana un artículo de Yoani Sánchez, en el cual la reconocida bloguera cubana, traza un paralelismo entre los sucesos que tienen lugar en Egipto y la situación política cubana, destacando sus diferencias y sus miedos.
Sánchez, autora del blog Generación Y, señala que a pesar de la escasa información que los medios oficiales de prensa en la isla difunde sobre las protestas populares en Egipto, los cubanos han encontrado información adicional a través de los resquicios de Internet y de las transmisiones radiales internacionales que llegan a Cuba.
Estos son algunos párrafos del comentario de Sánchez, que tiene por título Tan lejos de Egipto:
"Egipto ha venido a sacudirnos en nuestra mansedumbre y el arrojo de otros nos ha enfrentado con nuestra apatía, en esta nación donde el tiempo se mide en efemérides "revolucionarias", se acuña en los folios amarillos de la burocracia.
La teoría de pueblos valientes y pueblos cobardes es, en el menor de los casos, simplista. No hay una genética de la rebeldía como tampoco se puede predecir en qué momento la inconformidad alcanza su punto de ebullición. Esta isla larga y estrecha ha nutrido desde 1959 las especulaciones, las barajas de copa y espada, los tableros de Ifá y hasta los cuartetos rimados, de analistas, cartománticos, babalaos y profetas. Ante estos augurios de un futuro que no acaba de llegar, millones de cubanos han resumido su actitud cívica en un vocablo moroso: esperar.
Acarician el espejismo de la solución rápida, de acostarse un día en un Estado sin derechos y levantarse al otro en una Cuba democrática. Cuando el tiempo de aguardar se prolonga más allá de lo previsto, muchos deciden conjugar el verbo emigrar u optan por las breves y lacónicas sílabas de "callar".
Pero lanzarse a las plazas no, pues ese asfalto retinto de las avenidas pertenece -y así nos dicen desde pequeños- a los revolucionarios, a Fidel Castro y al Partido Comunista. Nos han hecho creer que protestar en público contra los despidos masivos, el alto coste de la vida o para exigir la renuncia de un Gabinete son gestas que emprenden otros, acciones que solo son posibles fuera de nuestras fronteras nacionales.
Nos han quitado las calles, nuestras calles.
En aras de impedir que una multitud tome las aceras y grite al unísono ¡qué se vaya el presidente, qué se vaya!, activan los mecanismos ocultos del control, los resortes del miedo. El engranaje de la vigilancia que no conoce de crisis económica ni de recortes se cierne constantemente sobre nosotros.
Ahora mismo está en vilo, ajustando sus agentes, sus autos, sus leyes, para evitar el contagio que puede venir desde el Este. Pues aunque El Cairo queda muy lejos, hay demasiadas analogías entre los cubanos y esos rostros que vimos reunidos en la marcha de un millón. Ellos gritaban contra Mubarak, pero del lado de acá de la pantalla muchos sentimos que nos emplazaban a nosotros, que nos hacían sentir avergonzados de nuestra inercia".

(Fuente: Radio Martì - mi traduccion italiana en revista web: http://www.tellusfolio.it/)

Smascherato l'esperto di regime!


L’esperto informatico cubano che “ha messo in guardia il mondo” dai pericoli di una guerra telematica tra USA e Cuba è stato identificato come un ufficiale dei servizi segreti cubani di 38 anni che segue la blogger Yoani Sánchez su Twitter. La pagina Facebook del soggetto porta al nome di Eduardo Fontes Suárez, contiene foto di quando era adolescente e dettagli sulla sua educazione. Penultimos Dias - blog cubano ubicato in Spagna - ha dedicato un lungo servizio alla questione e ha sviscerato la personalità di Fontes, che fa parte della Sicurezza di Stato. Si tratta di un ingegnere informatico che dopo laureato è entrato a far parte del Ministero degli Interni. Figlio di un tenente colonnello della Sicurezza di Stato, vive all’Avana, nel municipio di San Miguel del Padrón, sposato con Beatriz Basabe, laureata in biochimica che lavora presso l’Istituto di Nutrizione e Igiene degli Alimenti dell’Avana.

Gordiano Lupi

GUERRA CIBERNETICA USA – CUBA

Il governo: “Gli USA vogliono creare una piattaforma tecnologica fuori dal controllo delle autorità governative che permetta il libero flusso delle informazioni tra i cittadini cubani da loro scelti e il mondo”

Yoani Sánchez: “Sono fuori dalla realtà, consapevoli di raccontare menzogne, ma il sistema non è diverso dal passato: la parola d’ordine è demonizzare la non conformità o fingere che non esista…”.

Il governo cubano teme che gli Stati Uniti stiano promuovendo tra i dissidenti residenti sull’isola l’uso di reti sociali come Facebook e Twitter per favorire movimenti insurrezionali, come sarebbe già accaduto in Ucraina e in Iran. Ce lo dice in video pubblicato su Internet a questo indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=PUk-rX4HtVA e che i blogger cubani hanno già definito “un tentativo di camuffare la realtà”.

Si tratta di un filmato di circa 50 minuti, una sorta di conferenza impartita da un esperto informatico davanti agli ufficiali del Ministero degli Interni. L’esperto informatico, la cui identità non è nota, afferma che gli Stati Uniti stanno finanziando l’introduzione a Cuba di reti di comunicazione satellitare per creare punti di accesso WiFi clandestini. Per illustrare la sua tesi cita Alan Gross, uno statunitense detenuto a Cuba da 14 mesi con l’accusa di distribuire collegamenti satellitari illegali, che rischia una condanna a vent’anni di carcere.

“L’idea è quella di creare una piattaforma tecnologica fuori dal controllo delle autorità governative che permetta il libero flusso delle informazioni tra i cittadini cubani da loro scelti e il mondo”, ha detto.

Le reti sociali come Twitter e Facebook sono state utilizzate in Egitto per organizzare le proteste e chiedere le dimissioni del presidente Hosni Mubarak, al punto che le autorità hanno impedito l’accesso a Internet. Secondo l’analista, il tentativo sarebbe quello di amplificare la voce dei blogger come Yoani Sánchez e altri giovani critici nei confronti del sistema cubano. Il link per accedere al video è stato pubblicato su diversi blog, persino su Generación Y di Yoani Sánchez e nello spazio web de El Nuevo Herald di Miami.

“Si sta organizzando una rete virtuale di mercenari (...) che non sono la controrivoluzione tradizionale (...), stiamo parlando di persone giovani che possono dire cose interessanti, ragazzi che convivono con i nostri figli e con i nostri fratelli”, ha aggiunto l’esperto informatico.

La conferenza è stata registrata l’8 giugno 2010, secondo quanto riportato da El Nuevo Herald e non sappiamo come sia finita sul web.

L’esperto afferma che gli Stati Uniti vogliono promuovere a Cuba un’insurrezione simile alla “rivoluzione arancione” che ha messo in fermento l’Ucraina nel 2004 o la “rivoluzione verde”, avvenuta in Iran nel 2010.

“Internet è il nuovo campo di battaglia della guerra permanente tra USA e Cuba. Il nemico ha già schierato le sue truppe”, conclude il conferenziere cubano. Secondo la sua opinione, gli Stati Uniti starebbero investendo molto più denaro per finanziare la “cyber dissidenza” di quanto non ne abbiano mai destinato agli oppositori tradizionali.

Yoani Sánchez - da noi avvicinata - ha detto: “Il regime cubano si esprime ancora in termini di conflitto permanente, usando un linguaggio che proviene dal secolo scorso e che ricorda la guerra fredda. I nostri governanti vogliono trasformare un fenomeno spontaneo di presa di coscienza di molti giovani in un’attività costruita dall’esterno contro la stabilità dell’isola. Sono fuori dalla realtà, consapevoli di raccontare menzogne, ma il sistema non è diverso dal passato: la parola d’ordine è demonizzare la non conformità oppure fingere che non esista. L’importante è avere un nemico esterno da combattere. La storia non li assolverà”.

Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

sabato 5 febbraio 2011

Juan Formell canta la rivoluzione cubana


Un intellettuale asservito al potere

Per la prima volta Los Van Van interpretano un inno politico


La salsa a Cuba dagli anni Settanta a oggi ha un nome importante: Juan Formell, fondatore de Los Van Van. Il gruppo è erede del son di Ignacio Piñeiro, di Miguel Matamoros e di Felix Chappottin, ma pure del cha cha chá di Enrique Jorrín. Los Van Van prendono ispirazione dalla musica yoruba, dalla rumba, dalle sonorità africane. Ed è da tutto questo che ricavano una sonorità nuova: il songo, una sorta di son evoluto. Tra le innovazioni musicali introdotte da Los Van Van citiamo la chitarra elettrica, il trombone e il sintetizzatore, prima sconosciuti nelle formazioni cubane.

Juan Formell nasce all’Avana nel 1942 e diventa un ottimo bassista, fonda Los Van Van insieme al flautista José Luis Cortés (El Tosco) e al batterista José Luis Quintana detto Changuito. Poi gli altri due imboccano strade diverse. La composizione storica de Los Van Van era: il pianista Cesar Pedroso detto Pupi, il cantante dai grandi baffi neri e l’aspetto macho Pedro Calvo, Mario Rivera detto Majito e Roberto Hernández. Fanno musica da ballo afrocubana, i loro testi parlano d’amore ma sono ironici, quasi umoristici. Ricordiamo pezzi come Soy todo e Permiso que llegó a Van Van. Spesso parlano di santería oppure si spingono sul sociale e sul politico come in Cancion urgente para Nicaragua cantata con Silvio Rodríguez (Premio Grammy 1999 per la salsa).

Juan Formell non si è mai contraddistinto per brani di denuncia sociale, tipici di David Calzado y La Charanga Habanera, ma anche di Pedro Luis Cortes, ma al tempo stesso non ha mai glorificato il regime castrista. Per questo motivo troviamo molto strana una recente produzione del gruppo, un brano intitolato Todo por la Revolucion!, inserito in una delle più vendute compilation di musica latina: Latino!, edita dalla casa discografica italiana Planet Records. Il testo è un vero e proprio inno alla rivoluzione castrista e in maniera particolare glorifica l’Unione della Gioventù Comunista Cubana. Una salsa propagandistica che suona offensiva per l’intelligenza di chi ascolta e che mette l’interprete sul piano di un servo sciocco del regime, di un intellettuale cortigiano. Il ruolo del musicista e del buon letterato è quello di far conoscere la verità, non di occultarla. Il brano si può ascoltare a questo link:

http://www.latinmusicstore.com/index.php?page=shop.product_details&flypage=shop.flypage_l&product_id=305&option=com_virtuemart&Itemid=65

Presentazione e intervista di Juan Formelle da parte della stampa di regime: http://www.juventudrebelde.cu/cultura/2010-03-22/juan-formell-le-canta-a-la-juventud/

Peccato. Un’occasione perduta per fare vera musica e diffondere cultura al posto delle veline di regime.


Gordiano Lupi
(Fonte news: Roberto Rabbi)

venerdì 4 febbraio 2011

Berlusconi, come lo vedono a Miami

Jardim, vignettista cubano de El Nuevo Herald, oggi si dedica a Berlusconi...

Il nostro Premier sarà contento... la sua fama di rubacuori ha varcato l'oceano!

giovedì 3 febbraio 2011

Desideri di una stella cadente



Desideri su una stella cadente, in italiano suona più o meno così questo ritratto veritiero della Cuba contemporanea che tre documentaristi italiani hanno realizzato sul campo. La Rivoluzione Cubana ha cinquant’anni e li dimostra tutti, anche se il regime si sforza di realizzare lavori di maquillage nel centro storico per consentire visite senza troppi problemi a gruppi di turisti. Eusebio Leal, la mano destra di Castro, è il sindaco dell’Avana, colui che è deputato a occuparsi di ricostruire il lungomare, i palazzi storici, il Boulevard, la parte centrale della città, dichiarata dal 1982 patrimonio dell’umanità. I tre autori del documentario viaggiano lungo le strade del turismo, inquadrano lungomare e ballerine, mettono un sottofondo musicale a base di son e salsa, ma non si fermano alle apparenze. “Solo il 25 per cento dei proventi che provengono dal turismo viene investito per restaurare il resto della città”, dice un cubano. Cuba viene analizzata in tutta la sua realtà antistorica, si affronta il problema della doppia circolazione monetaria, del peso cubano con cui vengono pagati gli stipendi (che non vale niente) e del peso convertibile (moneta turistica), si racconta come un cubano non possa avvicinarsi ai negozi non sovvenzionati dallo Stato. Gli stipendi vanno dai 15 ai 30 dollari, che non sono sufficienti neppure a sopravvivere per un mese cibandosi degli alimenti forniti con il razionamento alimentare. Le immagini che scorrono sul video sono sconcertanti per chi è abituato alla buona novella recitata da Granma e Juventud Rebelde e dai propagandisti della fame, che anche nel nostro paese sono in buon numero.

A Santa Clara la macchina da presa riprende la polizia mentre picchia di santa ragione una donna che sta gridando in piazza. Uno dei cineasti viene arrestato e la sua macchina fotografica digitale viene azzerata perché non si possono riprendere i poliziotti al lavoro. Il documento video resta, però, perché nessuno si rende conto della telecamera nascosta. A questo punto entra in scena Yoani Sánchez - intervistata dai tre autori - che con le sue parole è il filo conduttore della pellicola. “Vivo come in un thriller, ogni cittadino cubano è schedato, ma a mio nome c’è un intero archivio. Vivo nella paranoia che mi hanno inculcato”, dice la nota blogger. I cineasti italiani filmano proprio la paranoia, cercano di dimostrare che l’embargo non è il solo colpevole di una situazione divenuta insostenibile. Uno sguardo ai libri in vendita: Rivoluzione, Fidel Castro, José Martí eroe della patria, poco altro, a parte qualche romanzo cubani stampato su carta pessima. Cuba è uno dei paesi più alfabetizzati dell’America Latina, ma da leggere c’è poco, per non parlare della stampa che prevede solo due giornali di regime. La situazione di Internet è drammatica: il costo è di sei pesos convertibili l’ora, se si riesce ad avere il permesso per stipulare un contratto privato bisogna pagare 100 dollari subito e 15 dollari al mese per avere il collegamento. Un’enormità visti gli stipendi cubani. Inoltre la connessione è molto lenta e parecchi siti sono oscurati. Molti cubani approfittano della connessione nei centri di lavoro, ma non è facile.

“Per noi blogger non resta che la strada del mercato nero in qualche casa privata che dispone di connessione, oppure dobbiamo andare negli alberghi, ma il costo è molto alto. L’embargo non c’entra niente con questa situazione, perché gli Stati Uniti da quando è stato eletto Presidente Obama hanno offerto un accordo commerciale relativo a Internet. Adesso la palla è passata al governo cubano che non risponde”, aggiunge Yoani.

I tre autori raccontano il mondo della prostituzione e la caccia alle streghe che pratica il regime. Una ragazza sorpresa in compagnia di uno straniero (pure solo a parlare) viene fermata e schedata nei registri della polizia. Se viene fermata una seconda volta è arrestata come prostituta e spedita in prigione. Il film descrive l’ambiente dell’Avana Vecchia in compagnia di una sorta di giovane magnaccia cubano che promette ai tre italiani di trovare le donne che preferiscono.

E allora che cosa resta dopo cinquant’anni del mito rivoluzionario?

La sanità gratuita, l’istruzione per tutti, la miseria nera scongiurata, le campagne dove tutto sommato si vive in maniera sopportabile…

I documentaristi avvicinano un vecchio rivoluzionario che mostra con orgoglio le medaglie conquistate sulla Sierra Maestra e anche una signora di Santa Clara che ha visto entrare l’esercito rivoluzionario nel 1959 e ha assistito alla battaglia decisiva. Non c’è astio e rancore nei discorsi delle persone, ma si sente che si vorrebbe respirare un’aria nuova, soprattutto riuscire a fare una vita migliore.

“L’eccesso di propaganda politica ha trasformato i giovani in apatici. Vogliono solo andarsene da Cuba. Vogliono vestirsi bene, possedere denaro, elettrodomestici, oggetti di lusso. La Rivoluzione per loro rappresenta la retorica, l’immobilismo, il passato. E allora scelgono l’individualismo, il tornaconto personale, il desiderio di cambiare le proprie condizioni di vita”, dice Yoani Sánchez.

Il documentario riprende ragazzini seminudi che si gettano in un fiume dall’alto di un ponte. Un divertimento naturale, anche se pericoloso. Un bimbo gonfia un preservativo come se fosse un palloncino. Pare di essere nelle campagne italiane negli anni Cinquanta.

Un cubano chiede all’intervistatore di sposare una sua amica per farla espatriare e poter portare via la bambina. Lui ha già tentato di scappare con una zattera fatta in casa, ma la polizia l’ha preso in tempo.

“La maggior parte della gente pensa che l’unica soluzione sia andarsene. Questo paese sembra che non sia più nostro e che non valga la pena lottare per cambiarlo”, dice la Sánchez.

I prezzi dei generi alimentari e dei vestiti sono molto alti, sproporzionati rispetto al resto dell’America Latina, ma il tenore di vita è livellato sulle possibilità di un turista, non certo di un cubano. Tutti hanno un parente all’estero, per fortuna, che risolve qualche problema.

I cineasti entrano in un negozio illegale all’interno di una casa popolare, comprano sigari di contrabbando, magliette recuperate chissà dove, rum contraffatto. I cambiamenti promessi da Raúl Castro sono un miraggio.

“Raúl fa discorsi più corti, questa è la vera sostanza del cambiamento. Adesso si potrebbero comprare elettrodomestici, computer, congelatori ed è lecito entrare in un albergo, ma con gli stipendi che abbiamo è impossibile”, commenta la Sánchez.

A Varadero si vedono diversi cubani, ma sono persone invitate da stranieri, spesso parenti di ritorno sul’isola per un breve periodo di vacanza. Militari, poliziotti, dirigenti del partito sono classi privilegiate, che vivono nel quartiere elegante di Miramar e fanno vacanze al mare. Affittare stanze ai turisti è l’impresa più diffusa, ma il governo vigila perché nessuno si arricchisca. Le tasse sono molto alte e devono essere pagate sempre, anche se non ci sono turisti.

“A Cuba, Obama è più popolare di Raúl. Prima di tutto è giovane. Poi è mulatto. A Cuba non abbiamo mai avuto un presidente di colore e i nostri governanti sono tutti anziani. Attendiamo da Obama il cambiamento per la nostra terra e tutto ciò mi sembra molto grave. Vuol dire che non abbiamo speranze per il nostro futuro”, dice la Sánchez.

I cineasti filmano le code davanti a Coppelia per comprare un gelato, le auto d’epoca che compongono il parco circolante cubano, le cose che mancano per colpa dell’embargo. La benzina costa un dollaro al litro e con un litro si percorrono appena cinque chilometri, vista la vetustà delle auto. Non è facile. Al tempo stesso il documentario mostra che molte società europee lavorano in accordo con il governo cubano. Vengono costruiti alberghi e case usufruendo di manodopera locale a basso costo. Addirittura la Nestlè produce il gelato cubano!

L’energia manca e i black-out sono frequenti, al punto che durante l’estate si preferiscono chiudere fabbriche poco importanti e concedere un lungo periodo di ferie ai lavoratori. I condizionatori russi sono stati sostituiti da quelli cinesi che inquinano e consumano meno.

L’intervistatore avvicina una ragazza che pensa solo al modo per fuggire da Cuba: sposata con uno straniero, grazie a un invito, l’importante è scappare.

“Nelle famiglie cubane si favorisce la conoscenza con uno straniero, le figlie femmine vengono educate alla conquista del turista per migliorare la condizione sociale dell’intera famiglia”, aggiunge la Sánchez.

Il documentario propone una festa in casa di una ragazza organizzata dalla madre per far andare a letto la figlia con lo straniero. A un certo punto si mette in mezzo anche un vicino di casa che concorda il prezzo della prestazione. Tutto molto esplicito.

“La famiglia ha perso i valori etici di un tempo e la prostituzione è un fenomeno molto diffuso”, sostiene la blogger.

“Un cambiamento è necessario perché la generazione al potere è vecchia. Non credo che ci siano persone giovani interessate alla continuità di questo governo. Adesso indossano tutti una maschera per sopravvivere e restare a galla. Bisognerà attendere quando se la toglieranno per capire con chi abbiamo a che fare”, dice la Sánchez.

“Fidel si sta spegnendo lentamente, il fratello pure. La biologia non è un opinione. Non resta che aspettare. Io ho trentatré anni e il tempo è dalla mia parte”, conclude Yoani.

Cuba è come una stella cadente giunta al termine della sua parabola, un paese povero e sfiduciato che attende soltanto la fine. I tre autori si congedano dal pubblico regalando una carrellata di volti e di immagini che esprimono una ventata di ottimismo e tutta la voglia di cambiare per vivere un futuro migliore.

Adesso attendiamo che questo ottimo documentario venga prodotto e distribuito, oppure che sia trasmesso da qualche emittente televisiva, perché la verità su Cuba deve circolare. Siamo stanchi delle opinioni sotto forma di velina governativa e delle bugie di regime diffuse ad arte.

Gordiano Lupi

"Wishes on a falling star", un docu-film su Cuba a Firenze

"Wishes on a falling star", docu-film su Cuba, giovedì 3 febbraio in prima visione allo Stensen di Firenze



Sesso, miseria e sogno socialista nei bassifondi dell’Avana.
A seguire, collegamento telefonico con Yoani Sanchez
Partecipa Gordiano Lupi. Presenti gli autori

Giovedì 3 febbraio alle ore 21 al cinema-auditorium Stensen in via Don Minzoni 25 a Firenze, serata dedicata a Cuba con la prima visione del docu-film "Wishes on a falling star" girato clandestinamente da tre giovani film-maker fiorentini. Il lungometraggio, di 55 minuti, esplora i bassifondi della Cuba di fine regime castrista, fra sesso facile, droga, politica e il sogno morente del socialismo. A fare da filo conduttore, un’intervista alla famosa blogger e scrittrice Yoani Sanchez, la più autorevole e famosa dissidente, autrice del best-seller "Generacion Y". La stessa Yoani Sanchez saluterà la sala in collegamento telefonico.
Gli autori sono Jacopo Cecconi e Giammarco Sicuro, giornalisti Rai della sede della Toscana, e Paolo Cellammare, fotografo e film maker, attualmente al centro di produzione Rai di Milano. Oltre a loro, alla serata parteciperanno Gordiano Lupi, scrittore esperto di affari cubani e traduttore in Italiano di Yoani Sanchez e Mercedes Frias, ex parlamentare del Prc di origini caraibiche.
Il docu-film, che ha vinto il premio giuria giovane al festival Fedic del Valdarno, viene proiettato per la prima volta al cinema per il pubblico. Alcune sue parti sono state trasmesse da "Agenda del Mondo", su Rai Tre, con un'audience del 12%, oltre il triplo della media del programma, e con un picco in cui è stato il programma più visto d'Italia.
La produzione del docu-film è indipendente. I tre autori hanno girato Cuba, nell'estate 2009, usando una piccola videocamera nascosta, in modo da eludere l'obbligatoria sorveglianza governativa. Ciò ha permesso anche di cogliere la spontaneità della gente e creare un affresco crudo e allo stesso tempo ironico e divertente, montato con ritmo incalzante.
Solo con Yoani Sanchez è stata organizzata una vera e propria intervista, ma il colloquio è avvenuto in un luogo segreto fra cautele ed espedienti per evitare i controlli delle autorità.
Durante le riprese del film, Paolo Cellammare è stato fermato per alcune ore dalla polizia perché sorpreso a fotografare un arresto sommario in una piazza di Santa Clara e se l'è cavata spacciandosi per un semplice turista. Gli altri sono riusciti a scappare con la videocamera.
Dopo la trasmissione sulla Rai di alcuni spezzoni, l'ambasciata cubana di Roma ha protestato ufficialmente con il Tg3.
La versione integrale e il trailer sono disponibili su youtube o sul sito http://www.wishesonafallingstar.com/



(Per le foto cliccare in basso a sinistra sul tasto "Flickr").

Per info:
Jacopo Cecconi 328-9748264
Giammarco Sicuro 328-8694768
Paolo Cellammare 328-2519285