domenica 31 luglio 2011

Muore in Messico lo scrittore cubano Eliseo Alberto


Nel 1975 aveva pubblicato il suo primo libro di poesia, Importará el trueno, e nel 1985 il suo primo romanzo, La fogata roja. Nel 1988 aveva ricevuto il prestigioso Premio Alfaguara per il romanzo Caracol Beach.

Lo scrittore Eliseo Alberto Diego, considerato uno dei migliori scrittori cubani degli ultimi tempi, è morto domenica in Messico, dove viveva in esilio da circa vent’anni. Aveva cinquantanove anni e aveva subito da pochi giorni un trapianto di reni, che sembrava ben riuscito, come aveva scritto Yoani Sánchez sul blog Generación Y. Soffriva da tempo di una grave malattia renale.

Eliseo Alberto continuava a ricordare e a ricostruire in Mesico la Cuba della sua gioventù, dandole vita in romanzi come El retablo del conde Eros, in cui mostra un’Avana che sprizza libertà.

Figlio di Eliseo Diego, uno dei più grandi poeti cubani, laureato in giornalismo all’Università dell’Avana, era stato capo redattore della rivista letteraria El Caimán Barbudo e vice direttore del periodico Cine Cubano. Eliseo Alberto aveva insegnato nella Scuola Internazionale di Cinema di San Antonio de los Baños, nel Centro di Abilitazione Cinematografica del Messico e nel Sundance Institute degli Stati Uniti. Tra le sue opere principali ricordiamo Informe contra mí mismo, scritto a Cuba e pubblicato solo nel 1996 quando si trovava in esilio. Il romanzo racconta come la Sicurezza di Stato gli avesse chiesto di riferire notizie sul conto della propria famiglia. “Scrivere Informe contra mí mismo è stata una liberazione. Ho tirato fuori tutto quello che avevo da dire su Cuba, parlando di politica e di rivoluzione”, disse.

Le sue raccolte poetiche principali sono Importará el trueno (1975), Las cosas que yo amo (1977) e Un instante en cada cosa (1979). I romanzi più importanti sono La fogata roja (1985), La eternidad por fin comienza un lunes (1992), Caracol Beach (1998), La fábula de José (2000), Esther en alguna parte (2005) e El retablo del conde Eros (2008). Niente di tutto questo è mai stato edito in Italia. L’Istituto Cubano di Arte e Industria Cinematografica (ICAIC) ha in produzione il film Esther, sceneggiato da Eliseo Alberto Diego e diretto da Gerardo Chijona.

Le sue ceneri saranno bruciate e seppellite, secondo la sua volontà, nel quartiere avanero di Arroyo Naranjo, dove nacque nel 1951.


Gordiano Lupi

Nel mio giardino pascolano gli eroi

Tutti gli scrittori sono macchiati del peccato originale. E io sono orgoglioso di averlo. Non posso diffondere le idee del Granma, che non sono le idee della Rivoluzione, ma di un uomo che cambia opinione al breve volgere del vento. Non diffondo neppure i veleni della CIA perché non so neppure che cosa voglia dire essere agenti della CIA. Nella nostra isola - se ascoltiamo i commentatori ufficiali - ci sono più agenti della CIA che nel resto del mondo, chiunque abbia qualcosa da ridire è un agente della CIA, non esistono libere opinioni. Eppure hanno detto questo i signori della stampa nazionale e di Cubavision, mi hanno incarcerato per cospirazione contro i poteri dello Stato, un’assurda idiozia. Fuori dal gioco era il frutto della mia disillusione, ma era pure l’ingenua reazione di chi credeva che fosse possibile migliorare e che a qualcuno interessasse cambiare. Un libro amaro, Fuori dal gioco, ma come disse Evtušenko, le verità amare sono pur sempre verità. Non mi sentivo un controrivoluzionario, anzi, volevo lavorare perché nascesse una vera rivoluzione, quella che ci aveva spinti a lottare tutti insieme.

Ho finito per scrivere un romanzo con un titolo ispirato a un verso del mio amico Roque Dalton, inizio e fine d’una vecchia poesia. Nel mio giardino pascolano gli eroi indignava la nostra nomenclatura, era un titolo che avrebbe prodotto un nuovo scandalo internazionale, un’appendice del caso Padilla che avevano risolto brillantemente, mettendomi a tacere. La Sicurezza di Stato non è composta da gente particolarmente intelligente. Gli agenti della polizia indagano, si fermano al titolo, considerano che pascolano soltanto le bestie, quindi il riferimento a un animale come potrebbe essere il cavallo (soprannome di Fidel Castro) finisce per inquietarli. Censurarono persino Passeggio del cavallo di Virgilio Piñera nella raccolta definitiva delle poesie intitolata La vita tutta, ma si dimenticarono di cancellarlo dall’indice. Quel pascolare degli eroi suonava come un insulto agli orecchi di allenati rivoluzionari che non accettavano il germe del dubbio. “Non possiamo finire come in Cecoslovacchia. Non possiamo permetterci scrittori che sostengono il fascismo. Non possiamo tollerare gente come Evtušenko, anticomunisti e antisovietici”, dicevano. Sapevano bene che Evtušenko era mio amico, che aveva apprezzato Fuori dal gioco, che condivideva dubbi e incertezze. Mi trovavo a dover discutere del contenuto di un libro con la polizia invece che con l’Unione degli Scrittori. L’analisi critica delle mie poesie proveniva dagli agenti della Sicurezza di Stato invece che da critici letterari e la struttura del romanzo era giudicata da un titolo, da un improbabile riferimento al cavallo, da una provocazione inesistente. Il mio romanzo volevano gettarlo nella spazzatura perché non piaceva a Fidel, perché lo giudicavano una merda ignominiosa, una cosa non pubblicabile, perché c’erano cose che non andavano neppure pensate, figurarsi se si potevano scrivere. Dovevo stare molto attento a quel che dicevo, perché avevo a che fare con degli stalinisti inquieti, gente che amava bruciare libri pericolosi, mettendo in pratica i peggiori insegnamenti di George Orwell e di Ray Bradbury. Avevo a che fare con persone che odiavano la cultura, soprattutto Raúl Castro, noto per la sua fobia contro gli intellettuali e per aver detto che la cultura non esisteva, per lui c’era soltanto il valzer. Verde Olivo si scagliava contro di noi, Fidel Castro taceva, Raúl Castro istigava, ma alla fine passarono il segno approvando l’invasione della Cecoslovacchia, pur dicendo che si trattava di un’amara necessità. Evtušenko aveva condannato l’invasione dall’estero e al suo rientro a Mosca non aveva subito rappresaglie, noi che vivevamo a Cuba, invece, non potevamo farlo, perché il Leader Massimo aveva detto che dovevamo approvare l’uso della forza contro i compagni che sbagliavano, come un’amara necessità. Non era possibile gridare la nostra verità di fronte a una squadra di poliziotti armati fino ai denti. Non restava che scrivere i nostri romanzi incompiuti, imperfetti solo per il fatto di essere scritti nel socialismo, nevrotici, disperati, come Lo scherzo di Milan Kundera, pubblicato a Londra nel 1965 dopo lo scandalo prodotto in Cecoslovacchia. Il mio romanzo si è salvato per miracolo dal cestino dell’immondizia dove il potere avrebbe voluto gettarlo, nascosto in un cesto di vimini, tra giocattoli e oggetti in disuso. Me lo sono portato via da Cuba nascosto in una borsa di nylon, insieme a tutte le lettere che mia moglie mi aveva scritto dagli Stati Uniti. Gustavo Castañeda, il mio nemico naturale, l’ufficiale della Sicurezza di Stato incaricato di rendermi la vita difficile, non fece perquisire la borsa, ormai non avrebbe avuto alcun senso, visto che Fidel Castro mi lasciava partire da Cuba. Castañeda mi regalò persino una bottiglia di rum perché brindassi negli Stati Uniti e non gli serbassi rancore. Gustavo amava il suo lavoro, credeva in quel che faceva. Perché avrei dovuto serbargli rancore? Era un uomo che aveva i suoi guai come tutti, un matrimonio fallito, una nuova moglie troppo giovane, un fratello suicida. Io me ne andavo da Cuba e lo vedevo ancora più piccolo di quanto fosse, un uomo raccolto nel blasone orgoglioso d’una divisa da maggiore, che restava in basso mentre il mio aereo prendeva il volo, escluso, come il tempo morto delle mie angosce. Partivo e stringevo tra le mie mani il mio tesoro nascosto in un sacchetto di nylon, guardavo dal finestrino quella miscela di verde e di luce che era la mia patria, mentre pensavo che la sola cosa che mi restava di Cuba era in quelle pagine così sofferte e disperate.

Il Governo cubano autorizza la vendita di elettrodomestici ad alto consumo


Il Governo cubano ha tolto la proibizione, in vigore dal 2003, sulla vendita di apparecchiature elettrodomestiche ad alto consumo, come condizionatori, forni, docce e cucine elettriche, in risposta alle necessità della popolazione e del settore del lavoro privato.

Nella Gazzetta Ufficiale di Cuba possiamo leggere un elenco dei prodotti autorizzati alla vendita. Troviamo un’ampia gamma di elettrodomestici utilizzati nei servizi gastronomici, come cucine, forni, friggitrici, macchine da caffè, fornelli, griglie, spiedi e attrezzature per fare sandwich. Sarà possibile mettere in commercio anche condizionatori, docce elettriche, scaldabagni elettrici e macchine per fare pop-corn. I vecchi divieti rientravano in una politica di risparmio energetico condotta dall’Isola nel tristemente famoso periodo speciale, successivo alla caduta del blocco socialista europeo.

Nel 2008, Raúl Castro aveva già tolto la proibizione di comprare apparecchi elettrici come computer, riproduttori di video, pentole a pressione e risiere, biciclette e allarmi per automobili, nel quadro di una politica volta a eliminare un eccesso di proibizioni.

Yoani Sánchez è stata molto caustica: “Mi sento come in un villaggio medioevale dove soltanto adesso hanno permesso di usare arco e frecce”. In ogni caso la nuova risoluzione va nella direzione di ampliare il lavoro privato sull’isola, una delle principali riforme economiche sulle quali conta il Governo del generale Castro per attualizzare il modello socialista e per superare la crisi che caratterizza il paese dopo la caduta del blocco socialista europeo. Dopo l’apertura al lavoro privato,la maggior parte delle licenze concesse dal Governo riguardano le attività di “elaborazione e vendita di alimenti”, che vanno dall’apertura di piccoli ristoranti fino a piccole caffetterie e punti di ristoro per strada. Uno dei segnali più visibili delle riforme economiche a Cuba è stata la proliferazione dei nuovi ristoranti privati, che adesso possono avere fino a cinquanta commensali, mentre negli anni Novanta le prime paladares erano autorizzate per solo dodici posti. Una delle maggiori difficoltà di queste attività economiche, soprattutto per quelle di carattere gastronomico, è l’inesistenza di un mercato all’ingrosso dove poter acquistare prodotti e attrezzature.

Un altro settore in espansione dovrebbe essere quello della compravendita immobiliare, ma il governo cubano non ha ancora emanato una legge che regolamenti acquisto e vendita di appartamenti. Sono molti i cubani di Miami che vorrebbero comprare casa nell’Isola, anche in previsione di una maggiore apertura dei viaggi dagli Stati Uniti, ma è certo che non potranno acquisire proprietà i non residenti stabilmente a Cuba. In ogni caso da Miami sta arrivando molto denaro sull’Isola finalizzato all’acquisto di appartamenti che vedranno un investitore straniero fare affari con un socio o con un familiare cubano. Il requisito fondamentale è che il cubano sia proprietario di una sola abitazione.

 
Gordiano Lupi

sabato 30 luglio 2011

El camino del pueblo...

La vignetta stigmatizza la solita mancanza di unità progettuale tra le varie anime della dissidenza cubana.

giovedì 28 luglio 2011

Repressioni contro El Camino del Pueblo


‎Raul Castro sta compiendo un lavoro sistematico di repressione nei confronti dei firmatari del progetto El Camino del Pueblo, che vorrebbe rappresentare una speranza di libertà per il popolo.

Il dottor Eduardo Cardet Concepcion, membro del Movimiento Cristiano Liberación, è stato picchiato selvaggiamente da quattro sbirri della dittatura, a Gibara, città natale di Cabrera Infante e di Humberto Solas, sede del Festival del Cinema Povero, provincia di Holguin. Eduardo Cardet stava raccogliendo firme per appoggiare la domanda di plebiscito sulla Legge di Riconciliazione Nazionale (Progetto Heredia) e a sostegno del progetto Camino del Pueblo.

Cardet è medico nel municipio di Velazco, Holguin, ha due figli e anche sua moglie è medico. Si è reso conto che agenti della Sicurezza stavano trattenendo con la forza l’attivista Jorge Luis Claro Galvan, ma quando ha raggiunto la stazione degli autobus anche lui è stato aggredito da quattro agenti che l’hanno insultato e percosso.

A Holguin e in tutta Cuba molte persone stanno firmando e sostenendo il progetto Camino del Pueblo. Evidentemente questo fatto comincia a innervosire gli inquieti agenti della Sicurezza di Stato e i solerti funzionari del Ministero degli Interni.


Oscar Elias Biscet si è dissociato dal progetto Camino del Pueblo, sostenuto da Oswaldo Payá, definendolo troppo ideologico e non idoneo per garantire la piena libertà dei cubani, soprattutto perché conta sulla partecipazione di persone coinvolte con il presente regime.


Gordiano Lupi

Fonte: Oswaldo Payà

Il silenzio di Raúl Castro

La dissidenza cubana è unanime:
“Raúl Castro è un pessimo oratore e si vergogna ad ammettere i suoi errori”

Yoani Sánchez:
“Raúl Castro non parla perchè non ha niente da dire e soprattutto non ha risultati da mostrare”.


Molti leader della dissidenza sono concordi nell’affermare che il generale Raúl Castro, non solo è un pessimo oratore, ma non ha niente da dire, niente da promettere, niente da prevedere e si vergogna ad ammettere che la realtà lo smentisce costantemente.


Vladimiro Roca Antúnez: “Raúl Castro diserta il podio a causa di vecchi traumi di cui soffre ancora, dovuti alla opprimente immagine del fratello maggiore che l’ha messo sempre in secondo piano. L’attuale presidente cubano è più bravo a cospirare che a parlare in pubblico e non è adatto a manipolare le masse. Non ha carisma e per questo non gli piace ricoprire un posto di primo piano sul podio”.


Elizardo Sánchez Santa Cruz: “Raúl ha voluto sottolineare la sua diversità dal fratello, che era solito annoiare la cittadinanza con lunghi discorsi e stabilire un proprio stile di comando”.


Reinaldo Escobar: “Il presidente non parla perché ha imparato la lezione che quando si dice una cosa, si promette, si critica, bisogna comportarsi in maniera conseguente. Raúl Castro preferisce delegare a un subordinato le celebrazioni retoriche e vuole evitare di pronunciare false promesse. Non vuole essere chiamato in causa come nuovo propagatore di menzogne”.


Míriam Celaya: “Raúl Castro è un uomo privo di emozioni, poco abile nel parlare e di scarsa personalità. Ma è un uomo astuto. Se parla poco lo fa anche per convenienza e per prudenza. Credo che sappia quanto sia difficile per lui assumersi le responsabilità di quanto prodotto dal fratello. Raúl ha dovuto riconoscere la crisi senza nascondere niente, mentre Fidel Castro ha governato nei primi tempi gloriosi e ha sempre goduto di grande popolarità. Il nuovo governante si trova alla guida di una Cuba in una situazione di povertà, disillusione, mancanza di fede, immobilismo e apatia”.


Juan González Feble: “Raúl Castro ogni volta che può delegare un discorso a un altro non perde l’occasione. Non gli piace parlare. Non gli è mai piaciuto”.

Yaoni Sánchez: “Raúl Castro non parla perchè non ha niente da dire e soprattutto non ha risultati da mostrare. Preferisce tacere piuttosto che dover spiegare che nessuna delle sue promesse precedenti si è compiuta. Non parla perché, anche se lo volesse, non ha la facilità oratoria, il magnetismo e il carisma personale per fondare il suo potere sull’abilità nei discorsi. Ha cercato di impostare una leadership pragmatica ed efficiente, ma i risultati smentiscono il suo lavoro”.


Gordiano Lupi

mercoledì 27 luglio 2011

Il 26 luglio di Yoani Sanchez

Stanchezza



Era molto presto, le occhiaie dell’oratore sembravano due ferite oscure e il sole non era ancora troppo inclemente nella piazza Máximo Gómez. Un piccolo gruppo di persone assisteva dal vivo, seduto su soffici sedili, alla celebrazione del 26 di luglio nella provincia di Ciego de Ávila. Nel frattempo, il resto della piazza sedeva su sgabelli di plastica o più semplicemente restava in piedi. Davanti ai teleschermi, i pochi telespettatori svegli a quell’ora facevano sforzi enormi per non tornare a dormire. L’evento era strutturato in maniera così noiosa e prevedibile che in certi momenti sembrava la replica di una celebrazione di qualche anno prima. Neppure un briciolo di spontaneità faceva sussultare i presenti. Sembrava irreale persino la mosca che con ostinazione voleva farsi riprendere sul volto dell’oratore principale.


Il momento di maggior monotonia è arrivato quando ha preso la parola José Ramón Machado Ventura. Un’ora dopo averlo ascoltato, era difficile ricordare cosa avesse detto il più grigio di tutti i vicepresidenti, il più dogmatico degli ortodossi. Durante le pause programmate del discorso, qualcuno gridava uno slogan che subito dopo veniva ripetuto dalla massa. Gli applausi che si udivano erano ben organizzati, senza alcun fuori programma, del tutto privi di passione. Un’enorme credenziale pendeva dal collo di chi possedeva una sedia. L’eccesso di carta e di plastica smentiva i richiami all’efficienza e a combattere la burocrazia che provenivano dal podio.

Verso la fine, anche se poteva sembrare una pausa del discorso, Raúl Castro si è defilato senza aver rivolto parola alla folla. Si è alzato dalla sua sedia e se n’è andato, seguito molto da vicino da una leale guardia del corpo che è più presente in televisione di alcuni ministri. La piazza ha cominciato a vuotarsi rapidamente, proprio mentre l’oratore tentava di chiudere con certe frasi un tempo capaci di appassionare. Questo è quel che resta? Ho pensato con pena indicibile. Pretendono di appassionare mettendo in scena uno stanco spettacolo? Ho spento la televisione a metà di una frase e sono tornata a prendere sonno. Fuori, il sole scaldava già i balconi, asciugava le pozze e mostrava le crepe.


Traduzione di Gordiano Lupi

Il blog di Yoani Sanchez - Gerneracion Y - è tradotto da Gordiano Lupi in esclusiva per LA STAMPA - www.lastampa.it/generaciony

martedì 26 luglio 2011

Raúl Castro e Machado Ventura celebrano il 26 luglio


Raúl Castro ha preso parte a Ciego de Ávila alla cerimonia di commemorazione del 26 di luglio, in occasione del 58° anniversario del fallito assalto alla Caserma Moncada, ma come lo scorso anno ha lasciato che fosse il vicepresidente, José Ramón Machado Ventura, a compiere l’intervento principale.

Il generale Raúl Castro si è limitato a consegnare i diplomi alle province che si sono distinte per “emulazione socialista”.

Il discorso di Machado Ventura è stato caratterizzato da un insieme di luoghi comuni, senza toccare principali preoccupazioni dei cubani. “Non abbiamo sentito un nuovo annuncio, né una frase originale, ma solo grigia retorica e parole d’ordine, dalle quali un giornalista avrà difficoltà a tirare fuori un titolo”, ha scritto Yoani Sánchez. Le conclusioni della celebrazione hanno evidenziato la necessità del regime di dare una spinta decisiva alle riforme economiche per garantire la sua sopravvivenza. Machado Ventura ha insistito sul fatto che “i lineamenti economici approvati lo scorso aprile dal Sesto Congresso del Partito Comunista, sono “la guida fondamentale per attualizzare il modello economico” dell’Isola e ha detto che “si sta lavorando assiduamente” per renderli efficaci.

Machado ha aggiunto che bisogna “rompere definitivamente con la mentalità dell’inerzia”, mettere in atto gli impegni presi nel Sesto Congresso e lavorare con “ordine, disciplina e impegno”. Machado ha fatto rilevare che bisogna combattere l’indisciplina sociale e lavorativa, le inclinazioni burocratiche, la contabilità lacunosa, il cattivo rifornimento delle materie prime. “Dobbiamo abolire gli sperperi e le spese superflue in ogni settore. Il governo continua a dare priorità alla produzione di alimenti, perché i prezzi internazionali sono aumentati e producono gravi conseguenze”.

Il regime cubano sta portando avanti un piano di consegna in usufrutto delle terre oziose ai cittadini. Il vicepresidente ha ricordato che il PCC sta lavorando ai documenti che saranno discussi nella Conferenza Nazionale dell’organizzazione, annunciata per gennaio 2012, e ha detto che verranno affrontati “molti cambiamenti” sui metodi e sullo stile di lavoro del Partito.

“La Conferenza sarà il luogo deputato per analizzare il ruolo del PCC nella direzione e nel controllo sistematico del procedimento di attualizzazione del modello cubano, superando i pregiudizi contro il settore non statale dell’economia. Non stiamo mettendo pezze né improvvisando, ma cerchiamo soluzioni definitive a vecchi problemi, con i piedi ben saldi per terra, molto attenti a quel che pensa la gente, se del caso pronti a rettificare, aggiustare le misure e prendere nuove decisioni”, ha detto.

Machado Ventura ha esaltato la grande dimostrazione di patriottismo e di unità politica che - a suo dire - la maggioranza dei cubani avrebbe messo in campo per difendere il socialismo.

La cerimonia è iniziata con la lettura di un messaggio da parte del presidente venezuelano, Hugo Chávez, principale alleato politico ed economico di Cuba, che ha definito l’assalto alla Caserma “uno degli eventi più importanti della storia d’America”.

In mezzo a tanta retorica mi fa piacere ricordare una grande poesia di Felix Luis Viera, cubano in esilio, che dal Messico fornisce la sua peculiare definizione di patria…



Delle tue poesie quasi niente resta,
quasi niente serve,
tu, che non hai mai avuto un acquario
per addormentarti, per vagare con la mente sospesa dopo aver scritto
una cartella,
dedicasti le tue poesie alla patria
ma sbagliasti patria:
cantasti i suoi condottieri più gloriosi
invece di scrivere odi a quell’amico finocchio, codardo, triste
- rimosso dal Tiranno che divenne padrone della patria - ,
incapace di sparare con una pistola ad acqua
contro il Tiranno e il suo seguito - i veri nemici dell’altra patria - ,
lui sì, lui sì, quell’amico
era la patria.
Devi correggere le tue poesie,
tirar fuori da loro
le fabbriche dei discorsi,
dovrai cancellare i tuoi versi incendiari
dove confidavi in un futuro magnifico
dove cantavi l’uguaglianza tra gli uomini
dove affermasti che gli alveari sarebbero bastati per tutti,
dovrai ritrattare le poesie che scrivesti al fratello maggiore che dopo
divenne il Tiranno.
Devi bruciare queste poesie in un crematorio
e salvare solo quelle che parlavano davvero
della patria:
delle donne, dell’amore conquistato e perso, delle puttane della
tua infanzia,
di un altro amico ucciso con le pallottole davanti ai tuoi occhi, morto
sicuro che stava morendo per te, per i tuoi amici, per la patria,
e che dopo morì un’altra volta, tradito
da chi disse che la patria
era la morte,
o peggio
che erano loro stessi.

Da La patria è un’arancia (Edizioni Il Foglio, 2011 – www.ilfoglioletterario.it)

Gordiano Lupi

Sempre 26!

Omar Santana ironizza sulla festa nazionale cubana che oggi viene celebrata a Ciego de Avila. La scritta Ciego con Fidel!, presenta un evidente doppio senso. Un vecchietto in verde oliva si affaccia a un balcone di un fortino diroccato. Da una finestra senza imposte sventola la bandiera rossonera del Movimento 26 luglio. La Rivoluzione Cubana festeggia la sua decadenza, ma non mancheranno le note di Sempre 26 di Carlos Puebla e le consuete parole d'ordine.

giovedì 21 luglio 2011

Muore a Miami Monsignor Meurice


L’Arcivescovo di Santiago de Cuba, Monsignor Pedro Meurice Estiú, è morto giovedì 21 luglio a Miami per un attacco cardiaco. “Cuba ha perso un grande Pastore, ma ha trovato un ottimo intercessore presso Dio”, ha scritto Yoani Sánchez.

Altri brani del famoso discorso di Meurice al Papa: “Santità, questo è un popolo nobile ma è anche un popolo che soffre, un popolo che patisce la cultura dell’egoismo, dovuta alla crisi morale ed economica che ci attanaglia. Questo è un popolo rispettoso dell’autorità e amante dell’ordine, ma che deve smitizzare le false credenze, deve superare ancora una volta le disuguaglianze e la mancanza di partecipazione. Questo è un popolo che ha visto sgretolarsi gli spazi di associazione e di partecipazione della società civile. Sua Santità, le presento l’anima di una nazione che aspira a ricostruire la fraternità sulla base della libertà e della solidarietà. I cubani non riescono a dare un senso alla loro vita, perché non possono scegliere un progetto di esistenza, per colpa del paternalismo e di un’ideologia che spersonalizza…” (dal Twitter di Yoani Sánchez).

Raccomando la lettura del post di Yoani su www.lastampa.it/generaciony, che ricorda la figura del battagliero Arcivescovo.


Il governo cubano sequestra il Rotilla Festival


Gli ideatori del Rotilla Festival hanno definito le manovre del governo come furto, plagio e sequestro

I fondatori del Rotilla Festival (http://www.rotillafestival.com/es/) hanno accusato il regime di voler far proprio il popolare evento di musica elettronica che riunisce migliaia di giovani sulla spiaggia di Jibacoa. In un comunicato pubblicato mercoledì sul periodico digitale Diario de Cuba, gli ideatori del Rotilla Festival hanno definito le manovre con gli epiteti di furto, plagio e sequestro.

“A Cuba esiste una dura censura contro tutte le attività culturali che non provengono dalle cosiddette istituzioni”, afferma il comunicato.

Il musicista cubano noto come Raudel, della band alternativa Eskuadrón Patriota, ha detto che “è deplorevole la decisione del governo comunista di prendere il controllo del Rotilla Festival”.

Diario de Cuba informa che il vicepresidente del governo, Esteban Lazo, e il vice ministro della cultura, Fernando Rojas, hanno deciso l’intervento statale nell’evento.

Il direttivo del Rotilla Festival afferma che “la partecipazione statale violenta la natura stessa di una manifestazione, umiliata e privata della sua ragion d’essere”.

Il musicista Ciro Díaz, dei gruppi rock - punk Babosa Azul e Porno para Ricardo, ha aggiunto che non suonerà nel Festival se sarà controllato dal governo. Raudel, della band Eskuadrón Patriota, ha stigmatizzato negativamente l’intervento del regime comunista in una manifestazione musicale da sempre vissuta come momento di libertà.


Gordiano Lupi

Nella foto: Migliaia di giovani ballano sulla spiaggia di Jibacoa, dove si celebra il Festival Rotilla, la grande festa rave di Cuba.

I motivi di Adonis

di Yoani Sánchez

La nota blogger analizza la tragedia del giovane cubano morto nella carlinga di un aereo
(El País, 19/7/11)


Adonis G. B. è venuto al mondo quando nell’Europa dell’Est cominciava a sgretolarsi il sistema socialista. Ha trascorso l’infanzia tra le privazioni dei momenti più critici di quello che a Cuba è stato chiamato il Periodo Speciale. Forse ha indossato con orgoglio il suo fazzoletto da pioniere e la sua voce risuonava con forza quando a scuola gridavano la parola d’ordine “Saremo come il Che”!.

Possiamo immaginare la sua adolescenza, iniziata con i metodi educativi tipici di un insegnamento televisivo. Ha avuto l’opportunità di possedere denaro nella caos del dualismo monetario, e un bel giorno, quando cominciava a farsi la barba, guardandosi allo specchio ha visto un uomo senza aspettative.

Adesso non si tratta di dare una connotazione politica alla decisione presa dal giovane Adonis di intraprendere un viaggio nascosto nella carlinga di un aereo DC-8 Iberia, ma di trovare le cause che l’hanno spinto a morire così. La sola cosa certa è che i mezzi comunicazione ufficiali dell’Isola non hanno detto una sola parola sulla sua morte, forse sbigottiti di fronte al grado di angoscia popolare che dimostra. Nonostante il segreto istituzionale, la notizia circola ovunque mentre ci poniamo alcune domande senza risposta: la situazione di questo giovane a Cuba era insostenibile? Aveva un motivo ulteriore per compiere quel gesto disperato? Si entiva perseguitato o in pericolo? Voleva andare dall’altra parte dell’oceano per incontrare qualcuno? Per il momento nessuno lo sa. Di sicuro non ha potuto mettere in pratica il suo piano senza averlo ben studiato, perché in questa Isola non c’è niente di più protetto delle frontiere aeroportuali.

È difficile non pensare alla sua sofferenza nel ristretto spazio condiviso con le ruote dell’aereo. Sembra di sentire i dolori delle sue ossa fratturate dall’implacabile meccanismo pochi secondi dopo il decollo, il panico della reclusione, la rabbia nel capire di aver fallito lo scopo, il freddo imprevisto che ha finito per ucciderlo. Nessuno saprà mai se ha avuto il modo di pentirsi.

Non conosciamo neppure la gravità dei suoi problemi, ma possiamo intuire che non ha trovato a portata di mano nessuna soluzione per risolverli. Adonis è giunto alla conclusione che doveva abbandonare il paese. Ma non aveva un nonno spagnolo capace di consentire il cambio di nazionalità; nessuno poteva inviargli una carta d’invito; nessuna ambasciata gli avrebbe rilasciato un visto, perché la sua condizione di possibile emigrante era ben visibile. Non era neanche uno sportivo famoso, né un musicista di talento autorizzato a viaggiare e con la possibilità di disertare. Non era in contatto con i trafficanti di persone che attraversano frequentemente lo stretto della Florida e non aveva la minima idea che stava per fare una follia.

Non esiste termometro capace di misurare la disperazione umana e ognuno possiede un limite personale di resistenza. Questo giovane cubano il cui corpo è apparso in una strana posizione nell’aeroporto di Barajas, ha avuto due opportunità di partecipare alle elezioni, senza sapere mai ciò che pensavano i candidati che avrebbe eletto. Frequentava ancora la scuola primaria quando venne celebrato il quinto congresso del partito Comunista e ha dovuto attendere altri 14 anni perché il successivo appuntamento di partito annunciasse qualche cambiamento. Probabilmente non aveva una professione con un futuro né risorse per provare a dedicarsi al lavoro privato. Possedere una casa propria, nei suoi pochi anni di vita, sarebbe stata una cosa impossibile.

Adonis non poteva attendere. Se fosse rimasto nel suo paese sarebbe ancora vivo, pensando al modo migliore per fuggire da qui.


Traduzione di Gordiano Lupi

da El Pais del 19 luglio 2011

mercoledì 20 luglio 2011

Bada come parli...

Garrincha, sempre più graffiante. La vignetta è tratta dalla rivista cubana dell'esilio Guamà.

- Dobbiamo quel che siamo a questa Rivoluzione!
- Signore, faccia attenzione, che la possono mettere in galera...

http://el-guama.blogspot.com/

Andy Garcia sostiene la candidatura al Nobel per Oswaldo Payá


Andy Garcia: “Oswaldo Payá porta la fiaccola della libertà assoluta in un paese dove non esiste. Abbiamo assoluta necessità di campioni come Oswaldo Payá per ottenere il risultato di portare libertà e democrazia a Cuba".

L’attore, regista e produttore Andy Garcia ha inviato una lettera commovente per appoggiare la candidatura al Premio Nobel di Oswaldo Payá. Riportiamo la traduzione in italiano.

“Oswaldo Payá porta la fiaccola della libertà assoluta in un paese dove non esiste. Il suo impegno per questa nobile causa è noto a tutti i suoi compatrioti, ma la sua attività è percepita anche dal resto del mondo. Molte persone pensano, sognano, sperano alla luce delle sue parole e dei suoi gesti. Chi conosce la libertà e vive in paesi democratici non può capire le condizioni fisiche ed emotive in cui sono costretti a vivere i cubani. Il signor Payá ha dedicato la sua vita a lottare per il prezioso diritto alla libera determinazione, senza persecuzioni, ma anche per il rispetto e per la garanzia dei diritti umani. Sono idee non negoziabili e inarrestabili. Servono campioni come Oswaldo Paya per portare libertà e democrazia a Cuba.

José Martí, il grande poeta cubano, apostolo della libertà ha detto: Come le pietre rotolano lungo le colline, così le idee giuste raggiungono i loro obiettivi nonostante ostacoli e barriere. Possono subire ritardi o accelerazioni, ma è impossibile fermarle.

Viva Cuba libre!
Andy García
Actor / Director / Productor
Los Ángeles, CA. 18/07/11



Fonte: Il blog di Oswaldo Payá
http://www.oswaldopaya.org/es/2011/07/20/andy-garcia-%e2%80%9coswaldo-paya-lleva-la-antorcha-de-la-libertad-absoluta-en-un-pais-donde-no-la-hay-%e2%80%9c/

Gordiano Lupi

martedì 19 luglio 2011

Cuba - Giornalista spagnolo processato per corruzione di minori

All'Avana è cominciato questa settimana il giudizio contro il giornalista spagnolo Sebastián Martínez, accusato di "sfruttamento della prostituzione e corruzione di minori". Il console spagnolo, Pablo Barrios, ritiene le accuse insostenibili e crede che saranno modificate in corso di causa.

"Non esistono prove per imputazioni così gravi a carico di Martínez ed è assurda la richiesta del Tribunale che pretende di infliggere una pena pari a 15 anni di carcere. Il giudizio riguarda il reportage Prostituzione infantile a Cuba, che il giornalista ha realizzato sull'Isola nel 2008 e che è stato trasmesso da una televisione spagnola. Le autorità cubane non l'hanno gradito", afferma il console.

Nel corso del giudizio è stato proiettato il video ed è stato chiarito che i giovani partecipanti al reportage non sono stati pagati dal giornalista. Martínez, che si è ritirato dal giornalismo, è rientrato a Cuba nel luglio del 2010 come direttore di un'impresa turistica spagnola. Le autorità cubane hanno provveduto al suo arresto subito dopo l'arrivo e l'hanno recluso nella prigione per stranieri de La Condesa, alla periferia dall'Avana.

Il console Pablo Barrios ha conferito con l'avvocato Ovidio Venero, che si è detto certo dell'innocenza di Martínez. "Al limite potrei accettare l'accusa di resistenza e aggressione contro le istituzioni cubane. Non certo le gravi imputazioni che si muovono nei confronti del mio cliente", ha detto.

Barrios ha precisato che Martínez in caso di condanna potrà scontare la pena in Spagna. "Presenteremo ancora la domanda di espulsione per motivi umanitari, perchè l'accusato si trova in stato di forte depressione", ha concluso il console.

Le autorità consolari spagnoli si stanno muovendo per risolvere un problema umanitario legato a un loro cittadino sottoposto a un giudizio penale fuori dai confini statali. L'Italia dovrebbe fare altrettanto per ottenere un po' di chiarezza sul caso che riguarda tre cittadini reclusi a Cuba da oltre un anno e ancora in attesa di processo.

Gordiano Lupi

Eduardo Del Llano reclama il diritto di sciopero a Cuba


Perchè i lavoratori cubani non possono scendere in sciopero? Perchè gli studenti non possono manifestare? Perchè gli oppositori non hanno diritto di parola? Si chiede il discusso cineasta Eduardo del Llano (edito in Italia con la raccolta di racconti Unplugged) nel suo blog.

Il cineasta cubano Eduardo del Llano mette in discussione i limiti tracciati dal presidente Raúl Castro in merito alle attività di protesta e di opposizione, chiedendo il diritto per tutti i lavoratori e per altri gruppi sociali di scioperare a di organizzare manifestazioni.

Del Llano ha scritto nel suo blog (http://eduardodelllano.wordpress.com/2011/07/18/manifestarse/) che per oltre cento anni le manifestazioni sono state un'arma di lotta per la classe operaia, per i partiti politici e per la società civile in senso ampio.

Il regista di cortometraggi critici come Monte Rouge e Brainstorm ha detto che le argomentazioni del governo per vietare gli scioperi sono ridicole e sorpassate. Non è vero che gli operai non hanno motivi per lamentarsi e che le sole persone insoddisfatte sono nostalgici appartenenti alla vecchia borghesia.

"Contrariamente a quel che sembra credere il nostro governo, le manifestazioni di piazza non significano che una società è debole e frammentata, ma soltanto che è una società umana", ha detto Del Llano.

Raúl Castro durante il Sesto Congresso del Partito Comunista aveva minacciato di reprimere le manifestazioni pubbliche degli oppositori con durezza, affermando che il primo dovere di tutti i patrioti era la difesa di strade e piazze.

Eduardo Del Llano suggerisce di farla finita con la stigmatizzazione dei dissidenti, visto che la maggior parte di loro sono persone con opinioni diverse e non dei pericolosi criminali.

Intanto gli stipendi dei cubani sono saliti a 19 pesos convertibili, facendo registrare un aumento buono solo per le statistiche, visto che con questa cifra a Cuba non si riesce ad andare avanti neppure una settimana.

Gordiano Lupi

Nella foto: Uno sciopero contro il governo del dittatore Machado

lunedì 18 luglio 2011

Le cause della morte del giovane cubano


Il disegnatore satirico cubano Garrincha, nel suo blog, ci spiega quali sono le possibili cause della morte del giovane cubano deceduto dopo il viaggio della speranza a bordo di un aereo. Basta seguire le due frecce rosse.

Stringere legami familiari


Ironia di Garrincha su El NUevo Herald di oggi.

Stringendo legami familiari in entrambi i lati dello stretto della Florida.

La teoria della caldaia

di Yoani Sánchez - da The Huffington Post
http://www.huffingtonpost.com/yoani-sanchez



Nella maggior parte dei casi i processi sociali hanno un’alchimia imprevedibile. La realtà si arroga il compito di contraddire gli analisti che vorrebbero redigere la formula universale della ribellione o quella della calma civica. A Cuba, per esempio, sono venute meno le previsioni di quasi tutti gli ottimisti e siamo andati ben oltre gli auspici delle menti più eccezionali. Sembra quasi che il nostro paese sia specializzato nell’arte di smentire le previsioni di esperti, stregoni, spiritisti e cartomanti. Da diversi decenni abbiamo distrutto una dopo l’altra le predizioni negative sul nostro futuro e soprattutto la ripetuta profezia di una rivolta popolare. Esperti di cose cubane di ogni tendenza hanno detto, in diverse occasioni, che la situazione sta per esplodere e che è vicino il momento della ribellione per le strade di Cuba. Niente di tutto questo. I marciapiedi sono peni di gente, ma solo per fare la coda in attesa di comprare il pane o le uova, i consolati sono presi d’assalto da persone che chiedono di poter emigrare, mentre i santeros accendono candele votive perché questa calma indefinibile non si interrompa con la violenza. Noi che vorremmo una soluzione pacifica, per il momento siamo contenti che nessuno abbia dovuto assumere il ruolo di vittima sacrificale di fronte alle squadre antisommossa.

Alcuni pensano di possedere la chimerica formula della ribellione che prevede una popolazione strangolata economicamente e spinta a lottare per la sopravvivenza. Sono le persone che vorrebbero rendere l’embargo nordamericano verso l’Isola ancora più duro e tagliare in un colpo solo tutte le rimesse che giungono dall’estero. Secondo questa ipotesi, i cubani, stretti tra il martello delle necessità e l’incudine di un governo autoritario, tenterebbero di rovesciare quest’ultimo. Confesso che solo menzionare questa teoria mi fa ricordare una pessima barzelletta, nella quale un anziano leader durante un’intervista elenca le dimostrazioni di resistenza del suo popolo. L’autocrate racconta che la sua gente ha superato indenne la crisi economica, la mancanza di alimenti, il collasso del razionamento elettrico e l’assenza del trasporto pubblico. Mentre snocciola al giornalista questo rosario di sofferenze, ogni volta conclude la sua storia con la stessa frase: “nonostante tutto il popolo resiste”. Alla fine, il coraggioso reporter lo interrompe per fare una domanda: “Non ha provato con l’arsenico, Comandante?”.

La tesi che deve essere aumentata la pressione economica alla nostra realtà per fare in modo tale che esploda la tensione sociale si sente ripetere - curiosamente - con maggior frequenza tra quelle persone che non abitano nel territorio nazionale. Alcune di quelle voci stanno chiedendo adesso al senato nordamericano che vengano revocati i provvedimenti che agevolano i viaggi familiari in direzione dell’Isola e l’invio degli aiuti monetari approvati da Barack Obama. Vedono questi ponti tesi come ossigeno che entra al governo cubano e credono che servano a prolungare la sua permanenza al potere. Questa tesi si riassume nel motto: “privali di tutto perché reagiscano”. Secondo loro, il cambiamento sarebbe dietro l’angolo soltanto il giorno in cui il rubinetto degli aiuti esterni verrebbe chiuso completamente. Il problema è che in mezzo a questa teoria, in pratica tutta da provare, resterebbero coinvolti undici milioni di individui e un identico numero di stomaci. Persone che non si sono lanciate a protestare per strada neppure negli anni Novanta quando videro il loro piatto quasi vuoto e i vestiti ridotti a stracci per coprire il corpo. In quel momento di mancanze infinite, la sola “sollevazione” popolare che si verificò, il 5 agosto del 1994, ebbe come obiettivo la richiesta di abbandonare il paese, non quello di cambiare le cose all’interno. Siamo così civicamente timorosi che la caldaia può raggiungere una pressione insopportabile, ma la maggioranza dei cubani preferirebbe rischiare di scappare a bordo di una zattera lanciata nel mare piuttosto che lottare contro un repressore. Non esiste una genetica capace di rendere i popoli coraggiosi o codardi, ma ci sono diversi metodi per smontare la ribellione sociale e quello che ci è toccato in sorte è così efficiente da potersi definire scientifico.

Per questi analisti politici, molto più vicini alla fisica che alle scienze sociali, basterebbe chiudere il flusso delle rimesse e i viaggi dei cubani residenti negli Stati Uniti verso l’Isola, perché cominciasse a muoversi qualcosa nello scenario nazionale. Per assecondare questo desiderio di sperimentare tale congettura, è chiaro che loro metterebbero la teoria, mentre noi dovremmo concedere il corpo del martirio. Nelle more dell’esperimento e mentre non si ottiene nessun risultato, le piscine nelle ville dei potenti in verde oliva non cesserebbero di avere la loro somministrazione di cloro, il collegamento Internet via satellite di diversi figli di papà non perderebbe neppure un kilobyte di potenza e i vestiti di marca di tanti funzionari non smetterebbero di entrare nel paese dalle strade più impensabili. Questo giro di vite non si farebbe sentire sul tavolo della gerarchia ufficiale. Potrebbero governare meglio con le pance piene su un popolo ridotto a pensare in maniera ossessiva soltanto a come trovare ogni giorno qualcosa da mangiare. La miseria - come accade in molti luoghi - servirebbe a produrre un meccanismo di dominazione piuttosto che di disubbidienza.

Per questo motivo nelle ultime settimane ci sentiamo come coniglietti d’India in un esperimento di laboratorio che si decide lontano da noi. Abbiamo la sensazione di essere solo un numero in una cabala tanto semplice quanto pericolosa. Gli artefici della “teoria della caldaia” sperano che esploda, ma non si rendono conto che la sua detonazione potrebbe provocare un ciclo di violenza inarrestabile.



Traduzione di Gordiano Lupi

domenica 17 luglio 2011

Yoani Sánchez si racconta a El Nuevo Herald

I cubani sono assetati di cambiamenti
La vita non è altrove, ma in un’altra Cuba


Sarah Moreno su El Nuevo Herald di sabato 16 luglio intervista Yoani Sánchez, la famosa blogger simbolo della voglia di cambiamento dei giovani cubani.

“Siamo assetati di cambiamento. Basta passeggiare per le strade dell’Avana per vedere nuovi negozietti, bancarelle che vendono frullati, e altri piccoli chioschi nati in gran numero nelle vie centrali. Gli abitanti di questa città vogliono trovare un minimo di benessere in mezzo alle colonne screpolate e ai balconi cadenti. Questa rinascita è molto fragile, perché i cubani non sono esperti su come amministrare un’impresa”, ha detto la creatrice del blog Generación Y, in occasione dell’uscita nelle librerie di Miami del suo libro WordPress, Un blog para hablar al mundo (Editorial Anaya).

“Dietro le riforme economiche c’è la volontà governativa di rimpinguare le esangui casse di Stato. Concedere potere economico ai cittadini è stata una vera e propria necessità, più che una scelta politica. La popolazione guarda con scetticismo a questi cambiamenti, che vanno nella giusta direzione, ma sono lenti e superficiali. Le imposte sono eccessive e l’elenco delle attività consentite è limitato. Questi elementi chiariscono la volontà di un governo che non ha nessuna intenzione di far crescere la piccola iniziativa privata, né di favorire la nascita di una piccola e media impresa. In ogni caso dobbiamo approfittarne, perché grazie a un piccolo spiraglio, i cuentapropistas di oggi potranno diventare gli imprenditori di domani”, ha detto la blogger.

Yoani ha preso come esempio il proprio caso per affermare che “l’autonomia economica diventa presto autonomia politica”.

Yoani Sánchez si è laureata in filologia all’Università dell’Avana nel 2000 e per superare la frustrazione di un salario che non superava i 10 dollari al mese, si è messa a insegnare spagnolo ai turisti che visitavano l’isola. Yoani ha raggiunto l’indipendenza che nel 2007 le ha permesso di creare il blog Generación Y, attualmente visitato da 14 milioni di navigatori al mese e tradotto in 17 lingue. Nel 2009 ha scoperto che tramite Twitter si possono inviare SMS dal telefono mobile senza dover accedere a Internet.

“Twitter ha salvato la pelle in numerose occasioni ai blogger alternativi”, ha riconosciuto Yoani che insegna dove può e come può questo sistema che consente di “avere Internet senza Internet”.

“Il solo requisito necessario è che l’alunno abbia un telefono mobile e io sono in grado di fargli vedere come twittear in situazioni limite”, ha affermato Sánchez, che nel volume Un blog para hablar al mundo rende partecipi i lettori delle sue esperienze, sia dal punto di vista giornalistico che tecnologico, utili per creare uno spazio Internet personale e pubblicarlo in rete. Il libro è uscito in Spagna a marzo, ma a Cuba si può leggere solo grazie a fotocopie illegali, perché è vietato.

Cuba è un paese a basso indice di connessione Internet, ma al tempo stesso Yoani Sánchez fa parte di un sempre più numeroso Movimento Blogger, che comprende il marito Reinaldo Escobar (ex giornalista di Juventud Rebelde), il fotografo Orlando Luis Pardo - autore delle immagini che illustrano il libro Un blog para hablar al mundo -, Claudia Cadelo, Miriam Celaya, Dimas Castellanos, Eugenio Leal, Rebeca Monzó, Regina Coyula e il pastore battista Mario Félix Lleonart.

“Siamo persone molto simili, ribelli per natura. Scriviamo i nostri blog senza cercare il consenso delle istituzioni e senza rispettare nessuna linea editoriale”, ha precisato Sánchez, che ha cominciato a narrare al mondo la realtà cubana ispirata dal figlio Teo, che allora era un bambino.

“Nel 2003, un grande amico di famiglia [il dissidente Adolfo Fernández Saínz] venne incarcerato in seguito ai fatti incresciosi della Primavera Nera. Nostro figlio chiedeva il motivo e noi rispondevamo che era un uomo molto coraggioso. Fu la pronta risposta di Teo - che non ha peli sulla lingua - a farmi scattare la giusta reazione: Allora voi siete un po’ codardi, perché siete ancora liberi”, ha raccontato la Sánchez.

Teo è un ragazzo di 16 anni che offre a sua madre la visione di una generazione che desidera viaggiare, conoscere il mondo ed esprimersi liberamente.

“Mio figlio è interessato ai manga giapponesi, parla fluidamente inglese, si sente parte di un villaggio globale. Passa davanti alla televisione, vede Fidel Castro, e mi domanda chi sia quel signore. Io mi sento felice perché la sua è una generazione più sana”, ha detto la Sánchez, che non condivide le critiche ai giovani.

“Non sono apatici, e in ogni caso se dovessi scegliere tra apatici e fanatici preferisco i primi. L’adolescenza è un momento di indifferenza che apre la strada ad altre fasi della vita caratterizzate da maggior responsabilità. Per questo preferisco che siano così, piuttosto che crescano nel fondamentalismo, come è stato per la mia generazione e per quella dei miei padri, vittime di un tentativo di indottrinamento ideologico”, ha detto la Sánchez, che si definisce “una democratica autodidatta”.

“È stato un vero miracolo se sono diventata una persona tollerante, dopo aver ripetuto così tante parole d’ordine e dopo essere educata alla più sorpassata ortodossia marxista leninista”, ha detto Sánchez, indicando il marito Reinaldo Escobar come “un maestro nella difficile arte della tolleranza”.

“Reinaldo è un uomo denigrato e stigmatizzato dal governo, ma è dotato di un grande cuore capace di accettare e di perdonare le persone”, ha aggiunto Sánchez riferendosi a Escobar, che si dedica al giornalismo indipendente da 23 anni, dopo aver abbandonato l’inutile “giornalismo da vetrina” praticato nei mezzi di comunicazione ufficiali

Sánchez ha conosciuto Escobar quando aveva soltanto 17 anni e frequentava il liceo. “Ero andata da lui per cercare un libro proibito di Mario Vargas Llosa”, ha detto ricordando il primo incontro avvenuto nell’appartamento di 14 piani dove adesso risiedono.

“Si tratta di un palazzo in stile jugoslavo, che Reinaldo ha contribuito a costruire”, ha aggiunto Sánchez, precisando che anche se la polizia ha cercato di seminare zizzania contro di loro, non ha ottenuto la collaborazione dei vicini.

Le menzogne che il governo ha diffuso contro di lei, le pressioni esercitate su familiari e amici e l’amaro ricordo degli interrogatori - il primo è avvenuto il 7 dicembre 2008, presso la stazione di polizia situata tra 21 y C nel quartiere Vedado - sono una parte della sua vita sulla quale preferisce non soffermarsi.

“In un regime totalitario, l’allegria è profondamente contestataria, per questo mi piace parlare delle cose positive che mi accadono: della soddisfazione che provo quando insegno, dei nuovi strumenti tecnologici che sono diventati un megafono, del sostegno che mi dà la gente per strada, quando nei posti meno immaginabili mi dice: resisti”, ha detto.

I numerosi premi ricevuti - Ortega y Gasset assegnato dal quotidiano spagnolo El País, dove scrive una rubrica a cadenza quindicinale, o il Maria Moors Cabot della Columbia University di Nueva York - sono la spinta migliore per continuare a fare giornalismo serio, vicino alle necessità del paese.

“Se potessi aiutare a fondare un organo di stampa libero nel mio paese, lo farei molto volentieri. Credo di conoscere le persone giuste da impiegare come collaboratori. Stiamo facendo passi importanti in questa direzione”, ha aggiunto.

“Non riesco immaginare i motivi per cui il governo non mi ha permesso di uscire dal paese per ritirare i premi. Non posso calarmi in una mentalità autoritaria. Il governo cubano in un primo momento non ha dato la giusta importanza al fenomeno della blogosfera alternativa e ha ritenuto che il divieto di viaggiare bastasse a far cadere le aspettative internazionali sul mio lavoro. Non mi lasciano uscire anche perché sanno che voglio tornare. Credono di avere partita vinta tenendomi relegata a Cuba, ma non è vero. Qui ho la materia prima che mi serve per scrivere e posso insegnare ad altri come esprimere il proprio pensiero. Sono nella mia realtà. Vivo a Cuba perché lo voglio, per una mia decisione personale”, ha detto.

“Questa è un’isola segnata dall’angelo della poesia e della letteratura, un’isola allo stato embrionale nella quale ogni cosa può accadere. Non credo, come recita il titolo di un romanzo di Milan Kundera, che La vita è altrove. La vita non è in un altro luogo, ma in un’altra Cuba”.

Nipote di un emigrante delle canarie, dal quale dice di aver ereditato “la tenacia”, Sánchez è cresciuta in una famiglia umile, composta solo di figlie femmine. “Mia madre guidava tassì e mio padre era macchinista di treni. Mio padre mi ha trasmesso la passione per la meccanica. Da bambina smontavo orologi e vecchie radio. Più avanti riparavo frigoriferi, telefoni portatili e ogni tipo di apparecchio che portavano gli amici. Nel 1004, con pezzi molto vecchi ho costruito il mio primo computer, grazie al quale abbiamo cominciato a scrivere un periodico. Mi sento una missionaria tecnologica, perché sono curiosa delle nuove tecnologie e voglio che diventino popolari a Cuba. La mia casa è un tempio dedicato al cambiamento”, ha detto.

“Il mio rifugio sono famiglia e amici. Purtroppo molti amici mi hanno abbandonata, per le mie scelte di libertà, ma ne ho trovati di nuovi. Resta il mio mondo interiore, un luogo al quale non ha accesso la polizia politica, dove non mi possono proibire né confiscare niente, dove ho il mio spazio di libertà”, ha concluso.


Gordiano Lupi

sabato 16 luglio 2011

Fuga tra le nubi, un suicidio quasi sicuro

Molti giovani cubani, per ignoranza del pericolo, hanno cercato di seguire la strada del cielo, nascosti nella carlinga di un aereo, per scappare dall’isola


Tutti noi che abbiamo viaggiato almeno una volta nella vita a bordo di un aereo sappiamo che la temperatura esterna raggiunge i 50 gradi Celsius. Comodamente seduti nei nostri posti non pensiamo che solo pochi centimetri di fusoliera ci separano da una temperatura mortale. La carlinga, invece, non è pressurizzata e non è possibile viaggiare al suo interno senza andare incontro a una fine orribile. Nonostante tutto, molti giovani cubani disperati, nel corso degli anni hanno scelto questa strada per scappare dall’isola e cercare di cambiare il corso della loro vita.

L’ultima vittima di questa folle scelta è Adonis Guerrero Barrios, 23 anni, residente all’Avana nel municipio Boyeros, zona vicina all’aeroporto José Martí. Il suo corpo privo di vita è arrivato martedì scorso all’aeroporto madrileno di Barajas, a bordo di un Airbus 340 Iberia. La rivista - blog Café Fuerte (http://cafefuerte.com/2011/07/14/solo-dos-cubanos-han-logrado-sobrevivir-a-fugas-clandestinas-en-aviones/) ha pubblicato una cronologia di simili fughe destinate al fallimento dal giugno 1969 a oggi. Sono stati undici i cubani a tentare la sorte e soltanto due sono sopravissuti. Nel dicembre 2002, un giovane di 20 anni, non si sa come, è riuscito ad arrivare vivo in Canada dopo un volo L’Avana - Montreal (http://www.freerepublic.com/focus/fr/805002/posts), nascosto nella carlinga di un DC-10 della Cubana de Aviación. Non si è mai saputo il nome, ma ha raccontato di essersi salvato per aver viaggiato aggrappato a un tubo del riscaldamento che gli ha prodotto una buona fonte di calore. Il volo durava solo quattro ore, mentre dall’Avana a Madrid sono 9 ore di viaggio ed è più difficile superare le avversità climatiche. L’altro sopravissuto si chiama Armando Socarrás, 17 anni, detto l’Uomo Miracolo, per aver superato indenne la traversata atlantica fino a Madrid nella carlinga di un DC-8 Iberia. Il suo compagno di fuga, Jorge Pérez Blanco, 19 anni, non ce la fece. Forse è proprio la notorietà raggiunta da Socarrás che porta ancora oggi alcuni giovani cubani a pensare che esistano buone probabilità di riuscita nella disperata impresa.

In un articolo intitolato Sopravvivere in cielo (http://www.portalplanetasedna.com.ar/losviajes24.htm), pubblicato sul portale argentino Planeta Sedna, si afferma che la spiegazione scientifica del caso Socarrás è che si sia verificato un raro caso di ibernazione umana. Infatti, a tremila metri di altezza comincia a mancare l’ossigeno necessario per la vita. Inoltre la temperatura scende in maniera notevole e il ritmo metabolico ne soffre. Si pensa che Socarrás sia arrivato a congelarsi, sopravvivendo in condizioni impossibili, limitando il consumo di ossigeno. Un altro problema importante è la mancanza di spazio sufficiente per ospitare un corpo umano, infatti il giovane Adonis è giunto a destinazione schiacciato nelle zone della testa e del torace. Inoltre la pressione atmosferica diventa molto forte e rende complicata la sopravvivenza. Meglio dimenticarsi del miracolo di Socarrás. Non è facile ripeterlo. Per quanto dure siano le condizioni di vita a Cuba, il dono della vita è troppo grande per essere sprecato nel tentativo di compiere imprese impossibili. Le probabilità di sopravvivere in una simile situazione sono le stesse di una roulette russa.


Gordiano Lupi

venerdì 15 luglio 2011

Chavez e Castro al telefono


Garrincha su http://garrix.blogspot.com/
Irriverente, ma efficae, da buon autore di satira.

Fidel - "Hai già fatto la cacca, Hugo?"

Chavez - "No, Fidel. Il fatto è che mi manchi moltissimo..."

giovedì 14 luglio 2011

Muore cubano di 23 anni nella carlinga di un aereo Iberia

Adonis G.B. è morto nel suo ultimo disperato tentativo di fuga, come il protagonista di un mio vecchio racconto ispirato alla dura realtà. Il giovane cubano è stato ritrovato privo di vita quando mercoledì scorso il volo 6620 proveniente dall’Avana è atterrato all’aeroporto di Barajas. La Guardia Civile spagnola sta indagando, si farà pure un’autopsia, ma il caso pare chiaro, perché il giovane presenta ferite nel torace e alla testa ed è morto schiacciato dalla carlinga. La disperazione è la sola causa della morte di un giovane che ha tentato l’ultima carta della sua vita per sfuggire dall’inferno in cui era precipitato. Non è la prima volta che un cubano muore dopo una tragica fuga a bordo di un aereo, nascosto nella carlinga, in condizioni impossibili per sopravvivere. Si contano almeno cinque casi simili negli ultimi quindici anni.

Per commemorare Adonis ho rispolverato il mio vecchio racconto.

Di nuovo insieme

“È proprio lui”, commentò la moglie.

“Non è facile riconoscerlo, ma purtroppo è vero”, aggiunsero i figli.

Raul Garcia Gonzales era partito per il suo ultimo viaggio dall’aeroporto dell’Avana ed era arrivato così a Miami. Legato alla carlinga dell’aereo, mani e piedi. Legato come meglio aveva potuto, da solo, senza nessun aiuto. Adesso era su di un tavolo di marmo, disteso. Un ultimo disperato tentativo di fuga.

Raul amava la sua terra e non avrebbe voluto abbandonarla, però sua moglie e i figli erano fuggiti anni prima a bordo di zattere improvvisate. Lui non ce la faceva più a vivere da solo. Lo aveva fatto sin troppo.

Isabel accarezzò la fronte di Raul e quel tocco le fece rivivere tanti ricordi. Non era sempre stata difficile la vita a Cuba. Non come adesso, almeno.

Quindici anni fa si cominciavano a intuire tempi duri, ma nessuno avrebbe immaginato la fine delle illusioni rivoluzionarie.

I problemi non erano mai mancati. Si stava costruendo una società nuova, di uomini tutti uguali. Bastava credere e la fede faceva andare avanti. Raul era uno di quelli che ci credeva. Aveva lottato per la rivoluzione, quando era giovane. Fidel era una delle poche certezze della sua vita. Isabel invece non si era mai interessata di politica.

Da buona donna di casa si era sempre occupata d’altro.

“Parlano, parlano, ma della povera gente non si interessa mai nessuno…” diceva.

Il marito la rimproverava: “Non dire così. Lo Stato siamo noi che abbiamo dato il nostro sangue per costruire questa repubblica”.

Isabel taceva, per non contraddire il marito, però restava della sua opinione. I politici non la convincevano. Batista o Fidel era lo stesso. Tanto la povera gente non contava e non avrebbe mai contato.

Quando Fidel proclamò il periodo speciale, Raul non voleva credere a quel che stava succedendo. Inveiva contro la Russia e Gorbaciov.

“Maledetti sovietici! Ci lasciano soli nelle mani degli americani…”

“Che ti dicevo? La povera gente deve arrangiarsi. Comunisti o capitalisti il risultato non cambia” ribatteva la moglie.

Furono tempi duri. Mancava tutto, persino il riso. Lo spietato embargo statunitense impediva il commercio e persino l’arrivo di medicinali. Fidel mise gli alimenti a razione. La tessera alimentare permetteva di comprare meno di quel che serviva per la sussistenza. Ci si arrangiava. Isabel ricordava sacrifici e sofferenze affrontate per far crescere i bambini. Si lavorava per pochi pesos che non servivano ad arrivare neppure a metà mese. Intanto Fidel apriva le porte al turismo. E fu davvero la fine. Chi veniva da fuori raccontava di un mondo diverso, di gente che viveva con il frutto della propria fatica.

Fu allora che Isabel cominciò a pensare alla fuga.

“Andare via? E dove dovremmo andare?” domandava Raul.

“A Miami. Dove vanno tutti. Ci sono più cubani che a Cuba. Cambierà qualcosa, prima o poi. E almeno non moriremo di fame. Potremo lavorare e guadagnare” rispondeva Isabel.

“Io sono nato a Cuba. Qui voglio vivere e morire. Prendete pure le vostre zattere. Io vi aspetto qui, nella mia terra”, concludeva Raul.

Le difficoltà erano tante e aumentavano giorno dopo giorno, però lui non voleva saperne. Non se ne sarebbe mai andato.

Fu così che un bel giorno Isabel prese con sé i suoi due figli e s’imbarcò su di una zattera alla volta di Miami. Assieme ad altri disperati. Verso un futuro incerto, ma via dalla certezza di un difficile presente. Raul restò solo.

Fuggire non serve a niente, il capitalismo non è la soluzione, pensava.

Raul aveva ancora le foto di Fidel appese ai muri della sua povera casa. Accanto c’erano quelle di Che Guevara in divisa militare.

Abitava a Guanabacoa, nei pressi delle spiagge dell’est Avana, terra di riti magici e superstizioni. Un quartiere povero, fatto di vecchie case coloniali che cadevano a pezzi. Rifugio di miseria da spartire con orgoglio, ma anche di grida di bambini che giocavano a rincorrersi per campi incolti, tra palme e banani. Raul non voleva lasciare la sua terra. Non voleva tradire i ricordi della rivoluzione. Ricordava il treno deragliato a Santa Clara. C’era anche lui ed era appena un ragazzino. Rammentava gli occhi di ghiaccio di quell’argentino e le parole che sapeva pronunciare per infondere coraggio. Raul aveva ancora fiducia in Fidel. Le cose sarebbero cambiate e lui non sarebbe fuggito. Bastava attendere. Isabel non aveva avuto pazienza. Aveva due figli e tanto era bastato per spingerla a partire. Diceva che lo faceva per loro. Raul si era sentito tradito e le poche volte che riusciva a telefonare a Miami lo faceva capire.

“Vieni anche tu” diceva la moglie “io ti voglio bene come un tempo”.

Ma Raul non ne voleva sapere. Quella era la sua terra. A Miami avrebbe passato le giornate a rimpiangere vecchie strade, angoli di quartiere, bottiglierie dove trangugiava pessimo rum, feste all’angolo di strada e la musica a ogni ora del giorno. Al tramonto avrebbe immaginato il Malecón e un orizzonte inghiottito nelle luci soffuse della notte avanera. Non voleva i grattacieli sul mare di Miami. Non voleva imparare una lingua diversa dallo spagnolo. Il suo posto era a Cuba e non sarebbe partito. Era lui che attendeva moglie e figli.

Isabel asciugò una lacrima che le rigava il volto segnato dal dolore.

“Perché non hai seguito le tue idee sino in fondo? Perché sei fuggito se non volevi?” mormorava, accarezzando la fronte gelida del marito.

L’ultimo viaggio, quello della disperazione, glielo aveva riportato così, come non lo avrebbe mai voluto vedere.

Lo spogliarono delle povere vesti sdrucite che indossava. Quel viaggio assurdo che poteva condurlo solo alla morte lo aveva conciato male. Isabel fece uscire i figli.

“Lasciate fare a me” disse.

Quando i ragazzi si furono allontanati si mise al lavoro. Doveva renderlo presentabile per l’ultima cerimonia, vestendolo con un abito elegante, il più bello che avesse mai portato. Isabel pensò d’un tratto che il marito non sarebbe stato d’accordo. “Siamo povera gente” avrebbe detto “e allora indossiamo i vestiti della povera gente…”.

Lo avrebbe ricordato con i pantaloni chiari, un poco sdruciti, sporchi di polvere, la camicia sudata e sgualcita.

Prese i pantaloni e li piegò distrattamente. Adesso era il momento di gettarli nel sacco dell’ immondizia. Non sarebbero più serviti a nessuno. Prima però rivoltò la fodera delle tasche per vedere se dentro c’era qualcosa da conservare, magari un ricordo del marito. Fu così che trovò un foglio di carta ingiallita. Isabel lo lesse attentamente. Era una lettera indirizzata a lei, scritta in uno spagnolo semplice ma corretto. Una lingua che non aveva dimenticato, anche se a Miami era costretta a parlare quasi sempre inglese.

“Cara Isabel, vedi com’è strana la vita? Se leggerai queste parole vorrà dire che non ce l’avrò fatta e forse sarà stato meglio così, perché mi sarebbe costato troppo caro dirti che avevi ragione. Scriverlo è più facile. Le idee in cui credevo sono morte ed è giusto che me ne vada con loro. Abbi cura dei ragazzi. Sei sempre stata una buona madre.”

Isabel strinse il foglio tra le mani. Aveva una gran voglia di piangere, ma Raul non avrebbe voluto che nessuno piangesse per lui. Testardo fino in fondo, aveva scelto il modo più assurdo per fuggire, perché in realtà cercava solo la morte. Isabel gettò via la lettera. Non ne avrebbe mai parlato a nessuno, neppure ai ragazzi. Lei e Raul erano di nuovo insieme, nonostante tutto. Dopo tanto tempo avevano ancora un segreto in comune e lo avrebbero conservato come un ricordo d’amore tra le pieghe della memoria.

esiste anche una traduzione spagnola pubblicata su Otro Lunes