sabato 29 giugno 2013

I giovedì culturali dell’ambasciata di Spagna


di Wendy Guerra

A dicembre dello scorso anno ho conosciuto l’attuale ambasciatore di Spagna a Cuba, Juan Francisco Montalbán mi è stato presentato durante una mostra di pittura realizzata da Pedro Juan Gutiérrez in una delle sontuose palazzine restaurate del nostro centro storico. Nella foga dei suoi discorsi a questa inaugurazione, ho colto il bisogno di creare legami con l’arte e l’intellettualità dell’isola. Nei mesi successivi, conoscendo o frequentando artisti e intellettuali cubani, sotto la guida del suo assessore alla cultura Pedro Platas, hanno creato un ponte andata e ritorno per la cultura di entrambi i paesi: i giovedì culturali dell’ambasciata di Spagna, spazio che, per il futuro, merita tutta la nostra attenzione.

Come osserva l’ambasciatore: questi giovedì nascono da un bisogno, il bisogno, da parte dell’ambasciata, di compiere tutti gli sforzi possibili per la creazione di un legame tra i due paesi e la ricerca di tutti i possibili spazi amici tra il popolo spagnolo e quello cubano. È il classico lavoro diplomatico che avevamo bisogno di conformare alla realtà cubana. Sono queste le indicazioni e i desideri con cui è giunto nella nostra terra Montalbán, un uomo che interpreta la cultura come passaggio superiore per la comprensione e la scoperta del nostro mondo.

Pertanto, a partire dal mese scorso, il grande edificio occupato dall’ambasciata spagnola all’Avana ha aperto le sue porte al pubblico cubano (due giovedì al mese). Secondo l’estro creativo dell’assessore Pablo Platas, anima del progetto e curatore di svariate mostre esposte a Palazzo Velasco Sarrá. Per Pablo è importante aprire il palazzo, ascoltare gli autori, progettare come un’intera generazione di pittori possa dominare l’ambasciata, con le loro opere su tela, alluminio, acetato. Sculture e quadri riempiono oggi lo spazio che era prima destinato a un lavoro prettamente diplomatico.

Subito la voce inconfondibile di Pedro Juan rompe il silenzio con un testo magnifico, composto in maniera scrupolosa; mappa di idee su crisi o stagnazione, censura e ripercussione del carattere autoriale sulla letteratura universale, tematiche che spianano a poco a poco la strada essenziale di questa “altra” letteratura, che lui stesso ha percorso con successo e mezzi propri, a partire da un contesto marginale, epico, criptico, colto, erotico, chiarendo in questo modo il suo stile, il suo tratto e il suo marchio inconfondibili.

Un ripasso intelligente al resoconto di quella che lui chiama “la letteratura conflittuale” cubana, di tutti i tempi e in tutti i luoghi in cui esista uno scrittore “maledetto”, quello socialmente non classificato in nessun posto, né a Miami né a Cuba. Racconta inoltre i legami storici e terribili esistiti in questo passaggio oscuro tra scrittura e censura.

“In Spagna l’Inquisizione riuscì a impaurire così tanto gli scrittori, che fino alla seconda metà del secolo XX nella letteratura spagnola non esiste erotismo. Io attribuisco a questa situazione inquisitoriale spagnola lo strascico anti sessuale e moralista, pudico, che ancora oggi fa da zavorra a buona parte della letteratura latinoamericana, un condizionamento borghese, pretenzioso, monotono e sconnesso dalle nostre verità più profonde.”

Quanto sappiamo di questi due protagonisti che oggi parlano dal podio? Quali notizie abbiamo avuto qui delle loro critiche, premi, come seguire lo sviluppo autoriale di Leonardo e Pedro Juan nell’ultimo decennio?

A Cuba esiste forse una tecnica, una formula, un’arte per dissimulare i successi di scrittori scomodi per le istituzioni? È stata inventata una commissione straordinaria per non diffondere le notizie su certi autori che hanno una notevole risonanza internazionale?

L’acuto intervento di Leonardo Padura comprova la sua tesi sull’arbitrarietà nelle decisioni di pubblicazione. “Non esiste attualmente una politica di ciò che deve o non deve essere pubblicato. Ritengo che abbiamo ottenuto spazio sufficiente affinché a Cuba si pubblichi tutto”. In effetti, è rimasto molto sorpreso nel vedere uscire a poco a poco ognuno dei suoi libri, uno dopo l’altro, dal momento che riteneva, nella quasi totalità dei casi, che sarebbero stati censurati, specie “L’uomo che amava i cani”.

Non è un caso che tutti i partecipanti a questo primo giovedì dell’ambasciata abbiano appreso lì come è stato il cammino di entrambi per riuscire a scrivere e convivere con la creatività, la censura, il mercato e la produzione letteraria a Cuba. Lo stile pacato e per nulla ansioso di Padura, la sua linea comportamentale coerente, sagace e chiara, irradia la buona salute del suo percorso letterario consolidato e fertile.

Vederli conversare, spiegarci il loro punto di vista; trovarli a discutere insieme del nostro progetto culturale è un lusso di cui i presenti sono stati testimoni. Ricordiamo che entrambi hanno formazione ed esperienza giornalistica, evidente nella morfologia e nel contenuto delle loro carriere, sarà per questo che arrivano sempre al dunque, senza dilazioni, senza retorica, senza paura.

Leonardo ha toccato dei punti cardine, che sarebbe molto importante trascrivere e pubblicare con urgenza: soluzioni personali che hanno portato a risultati di gruppo – non collettivi -, internet e l’equivalenza negli stipendi dei cubani, la pirateria, i diritti d’autore, l’era digitale nella letteratura – tra altri importanti argomenti –, ma di tutto quello che ha detto una questione sembra improrogabile, perché inerente un fenomeno di cui si è parlato poco: le conseguenze pagate dal lettore. Secondo Padura, i nostri lettori sono stati, alla fin fine, le vittime più grandi in questa catena di controllo all’interno del mercato editoriale: “Credo che il lettore cubano sia rimasto disinformato rispetto a quello che scrivono i suoi stessi compatrioti, a quello che scrivono gli autori che in questo momento pubblicano nel mondo, al fatto che il lettore cubano non ha idea di dove si stia muovendo la letteratura universale e molte delle sue opere, insieme a molte altre della letteratura locale, per l’impossibilità economica di pubblicare determinati scritti…”

La serata è terminata con l’intervento del musicista cubano Yasek Manzano. L’incontro successivo ha avuto come ospiti Roberto Diego e lo specialista in arti plastiche Rafael Acosta per discutere sul mercato dell’arte cubana di oggi.

Il dibattito rimane aperto, a patto che esistano gestori culturali, spazi come questo e intellettuali disposti a esporre, sinceramente, le loro preoccupazioni, un pubblico desideroso di discutere e conoscere la realtà di queste questioni raccontate dalla voce dei loro protagonisti.

Traduzione di Silvia Bertoli

giovedì 20 giugno 2013

Riposi in pace mio padre patriota

di Orlando Luís Pardo Lazo
Mio padre non vide mai di persona gli Stati Uniti. Ma parlava di quel paese con idolatria. Sospetto che papà fosse un annessionista naturale.
Il suo patriottismo non credeva nella buona volontà della patria e aspirava a risparmiare un po’ di orrore storico al popolo cubano. Papà era dalla parte della legge, ma - e dovette constatarlo prima sulla sua stessa pelle e adesso anche in quella carne della sua carne che un poco sono io - intuiva che nel nostro Paese la legge è una laccio che i cubani mettono intorno al collo di altri cubani.
Ai tempi della Repubblica o sotto la Rivoluzione (papà nacque l’8 aprile del 1919, un anno che amo proprio come il mio: 1971), quell’uomo mite dagli occhi verdi e genitori provenienti dai Paesi Baschi e dalle Asturie, prese informazioni commerciali sugli Stati Uniti. Riviste degli anni Cinquanta, libri economici rubati dalla Biblioteca Nazionale, lettere e libroni di contabilità, oltre a un sacco di cose della sua famiglia partita molto presto per l’esilio. Mio padre perse anche un altro figlio, nel 1962: Manolito Pardo Jr., che ci ha scritto da Miami fino al giorno in cui mio padre morì, il 13 agosto del 2000, divorato da un cancro non diagnosticato ma senza la minima smorfia di dolore.  
Dovevate sentire come mio padre lo diceva, all’ora di colazione, dopo un caffè con latte  consumato nella casa di legno di Lawton, prima di fumare la prima sigaretta dell’universo: “Gli Stati Uniti…” 
Si chiamava Dionisio Manuel. Ed era mio papà. 
Oggi gli Stati Uniti per me sono un deserto.  
E non solo per me.  
Se al risveglio non sai a chi dare un abbraccio profumato di nicotina, se non sai con chi discutere per le sue sciocchezze da democratico radicale, se la malattia gli portò via la pancia e dopo il cuore di suo figlio scrittore (che fece finta di niente quando gli chiese sul letto di non tacere sino a quando non fosse morto di vecchiaia l’ultimo dei criminali della Cuba di Castro), se non ha senso per la prima volta al mondo una povera cartolina provinciale scritta con poche parole per papà, significa che ci mancano nell’anima tutti i padri dell’universo.
Mi spiace per coloro che domani potranno consolarsi.  
Io non posso. Molti non possono.  
Io non voglio, tra l’altro.  
La memoria della morte è il nostro miglior talismano.   

Traduzione di Gordiano Lupi

martedì 18 giugno 2013

Recensito In attesa della primavera

Da PIOMBINO OGGI - giugno 2013

Tornare a Cuba

di Wendy Guerra

«Ciao, sono all’aeroporto, sono arrivata ma mi stanno per pesare e forse aprire le valigie. Mi potete aspettare con calma per favore? Qui va per le lunghe e devo spegnere il cellulare.»

È l’attacco inequivocabile dei rientri a Cuba. Sembrava che tutto fosse cambiato, ad alcune persone nemmeno le pesano, invece no, questo mese, entrando all’Avana, è successo a tre dei miei colleghi.

Anche se arrivi entusiasta, con la voglia di creare, pazzo per la gioia di ritrovare Cuba, vieni subito disarmato nel ‘raccontami vita, morte e miracoli’ dell’aeroporto. È la dogana, il luogo in cui gli impiegati dimenticano di essere cubani come te, con le stesse mancanze, con il bisogno di importare i beni di prima necessità che a Cuba non si trovano. Queste persone eseguono degli ordini, ma con un atteggiamento distante, vuoto; sembrano stranieri intenti a domandarci perché portiamo quel che portiamo nel paese in cui siamo cresciuti insieme carichi di necessità oggettive.

Che cosa direbbe Rousseau il Doganiere che, essendo lui stesso un artista straordinario, ebbe un posto come ispettore delle merci di frontiera a Parigi (da cui il suo soprannome douanier), e nella sua valigia fece entrare in quegli anni tanta pittura da dare una mano a completare la tavolozza a tutta la sua generazione, quella che ne poteva comprare ben poca da impiegare nei quadri che sono oggi gioielli universali.

Che cosa ho portato? Un enorme catalogo generale del Museo d’Orsay, un altro sull’impressionismo astratto, quello con la retrospettiva dell’opera di Inés Tolentino che lei mi ha regalato. La poesia completa di José Triana (con dedica dell’autore de La noche de los asesinos), un grosso dizionario francese-spagnolo. Ho portato creme, profumi e spezie, incensi, una lampada a olio per scacciare le zanzare quest’estate. Ho portato medicine per lo stomaco, per l’influenza, le allergie, i dolori, la nausea; molti medicinali per ripartire e sopportare l’estate lontano da Parigi, varietà di tè, olio d’oliva, una bottiglia di vino rosso, taccuini per gli appunti, i miei dolci preferiti e colorati de La Durée (casa fondata nel 1862); matite, penne, scarpe e vestiti, costumi da bagno, una cartuccia di inchiostro per la mia vecchia stampante, biancheria intima, indumenti pesanti, un piccolo paiolo, una caffettiera nuova, guarnizioni per il mio frigorifero, libri di diversi autori della mia generazione, quelli che qui non trovo e che si prestano all’infinito. Ho portato un cestino per il cucito, una borsa dell’acqua calda, l’apparecchio per misurare la pressione e alcuni quaderni a righe. Due disegni che ho comprato a un giovanissimo pittore di strada che disegnava ricurvo a 13 Rue du Four. Due dischi di magnifiche versioni delle Sonate di Scarlatti. Smacchiatori, lucido da scarpe neutro e alcune goccette per disinfettare l’acqua. Fortuna che non ho portato l’originale di William Navarrete, lui ha insistito e aveva ragione, ora l’avrebbero letto domandandosi perché un collega porta l’originale dell’altro. Il mio asciugacapelli, il mio shampoo. Questi sono gli oggetti che raccontano le vicissitudini della mia quotidianità, la stessa necessità collettiva di avere e offrire tutto ciò di cui c’è bisogno agli amici, oggetti che viaggiano ancorati al fondo della valigia per prolungare il confortante tempo della creatività su quest’isola che amo e difendo come poche cose nella mia vita, quest’isola che tratteggio a bordo dell’aereo, idilliaco pezzo di terra che di colpo mi viene strappato dalla confisca della frontiera. La colpa è di tutti quando non c’è niente e tu ti lasci privare di ciò che hai portato, è un problema di tutti ma, quando aprono la tua valigia, i doganieri si comportano come fossero degli svedesi sbigottiti.

«Che cosa portano gli artisti? Ma che si credono questi artisti? Chi pensano di essere per portarsi tutte queste cose? Perché non si cercano uno specialista che li capisca, che sappiano perché portano funi, parole stampate, indumenti pesanti, colori e compresse per combattere la nevrosi che crea ogni cosa, questa crisi che ti attende al tuo arrivo, qualcuno che ci capisca qualcosa di questi strumenti e di questi aggeggi per creare che nemmeno loro conoscono.»

Guardo le valige, mi fermo, di certo alcune di queste cose ci sono anche qui o a un certo punto si potranno procurare, ma la mia ossessione di non restare senza qualcosa di indispensabile mi fa portare tutto. Ho pagato un supplemento per il peso e qui lo dovrò ripagare.

«Non hai portato elettrodomestici o un DVD, un disco rigido, un cellulare da vendere?»

Non ho portato altro che quello che mi permette di rimanere qui e ora, a creare, a cercare il prossimo motivo per non andarmene da un luogo in cui faccio tutto il possibile per sentirmi bene.

Questo è il paese ideale per lavorare, qui il tempo ha altre caratteristiche, un altro peso, il clima e la luce ti stimolano a concepire idee incredibili. È importante che le cose si rimettano al loro posto.

Nella valigia di Cuba c’è tutta la mia vita. Chiudete tutto e lasciatemi passare che qui dentro viaggia la mia anima.

Traduzione di Silvia Bertoli

venerdì 7 giugno 2013

Una melodía sin ton ni son bajo la lluvia

Da Una melodía sin ton ni son bajo la lluvia (Una melodia senza tono né suono sotto la pioggia)
di Félix Luis Viera
(Premio David di Poesía 1976)


La patria è un'arancia, edito da Il Foglio letterario in Italia, il miglior libro di Felix Luis Viera in campo poetico. Traduzione di Gordiano Lupi.

Queste tre poesie che traduciamo e riproduciamo per il lettore italiano sono le sole che Felix Luis Viera (Santa Clara, Cuba, 18 agosto 1945) seleziona dalla sua opera prima Una melodía sin ton ni son bajo la lluvia - Una melodia senza tono né suono sotto la pioggia (Premio David di Poesia UNEAC, 1976 - Ediciones Unión, Cuba). Il libro è stato pubblicato a Cuba quando Viera aveva 31 anni, la tematica di molte liriche è filo rivoluzionaria. Per questo motivo l’autore - in esilio in Messico da molti anni -, compiendo una ricostruzione della sua opera poetica, desidera dissociarsene. (Gordiano Lupi)


Mi coronel

Mi coronel siempre fue bravo

en la pelea.

Cabalgaba cerca de las nubes

desflecado y aguerrido.

Con cien heridas mortales diarias

mi enorme, mi guapo coronel,

no daba tregua ni reposo

y para él todos eran enemigos.

Mi coronel fue invicto

nadie calcula en cuántos lances.



Hasta que una tarde inexplicable

halló su vencedor

y con la mirada humedecida

lo miré partir para siempre

más allá de mis ojos y mis manos.



A bolina se fue mi coronel

y todavía sostengo su pita entre mis

dedos.



marzo de 1969




Il mio colonnello


Il mio colonnello sempre fu audace

in battaglia.

Cavalcava a un passo dalle nubi

distrutto e agguerrito.

Con cento ferite mortali quotidiane,

il mio immenso, il mio stupendo colonnello,

non concedeva tregua né riposo

e per lui tutti erano nemici.

Il mio colonnello uscì vincitore

da una serie incalcolabile di scontri.



Fino a quando una sera inspiegabile

incontrò il suo vincitore

e con sguardo languido

lo vidi partire per sempre

oltre i miei occhi e le mie mani.



Nel vento volò via il mio colonnello

e ancora trattengo il suo ricordo tra le mie

dita.



marzo del 1969

Inmortalidad


A Luis, a sus dos años


Vienes de mis raíces

rápido como un golpe del amor.

Preguntas sobre algo

que está por descubrir.

Matas de un solo y verdadero

golpe de tu espada

a cien enemigos nuestros de cada día.



Pero una vez, espada y papalote,

serán, como los míos,

ceniza dolorosa entre tus ojos.



Entonces amarás intensamente como todos

a alguna muchacha una tarde de lluvia,

apresarás sus cabellos desesperados

entre el viento gris de las ventanas.

Entonces te explicarás algunas dudas

y otras crecerán como la yerba de junio

(el amor como siempre).



Entonces golpearás

el filo duro y jugoso de la vida,

y otro, como tú, aleará besando

tus rodillas. Y el hombre

seguirá su canto triunfal

sobre la tierra.


septiembre de 1969


Immortalità


A Luis, per il suo secondo compleanno


Provieni dalle mie radici,

rapido come un guizzo d’amore.

T’informi su cose

che stai per scoprire.

Uccidi con un solo e vero

colpo della tua spada

cento nemici nostri d’ogni giorno.



Ma una volta, spada e aquilone,

saranno, come i miei,

cenere dolorosa tra i tuoi occhi.



Allora amerai intensamente come tutti

una ragazza qualsiasi in una sera di pioggia,

catturerai i suoi capelli disperati

tra il vento triste delle finestre.

Allora ti chiarirai diversi dubbi,

ma altri cresceranno come erba di giugno

(l’amore come sempre).



Allora colpirai

il bordo duro e concreto della vita,

e un altro, come te, si unirà baciando

le tue ginocchia. E l’uomo

proseguirà il suo canto trionfale

sulla terra.



Settembre del 1969


Ley



A mi limonero lo he visto crecer

orgulloso en el traspatio anémico.

Esplendorosamente verde mi limonero

enciende la ventana como un desafío.

Trabajo me costó la semilla

germinando,

el cuido contra el viento y las hormigas.

Y encima de todo paciencia.

Y encima de todo esperanza.



Pero ahora es una justa realidad

para los ojos y el olfato.



Con todo esto no quiero insinuar,

hijos de perra,

mi tremendo dolor llegado el caso,

pues sepan que si me rompen ese árbol,

ahora mismo en este instante

miles de manos andan sembrando miles

de limoneros.



Eso me reconforta,

me despreocupa por completo.



noviembre de 1971


Legge



Ho visto crescere il mio limone

orgoglioso nel cortile anemico.

Splendidamente verde il mio limone

illumina la finestra come una sfida.

Fatica mi costò il seme

germogliando,

la cura contro il vento e le formiche.

E soprattutto pazienza.

E soprattutto speranza.



Ma adesso è una giusta realtà

per gli occhi e l’olfatto.



Con tutto questo non voglio alludere,

figli di cagna,

al mio tremendo dolore se dovesse accadere,

sappiate che se mi abbattete quell’albero,

proprio adesso, in questo istante,

migliaia di mani semiranno migliaia

di limoni.



Tutto ciò mi conforta,

mi toglie ogni preoccupazione.



novembre del 1971

Felix Luis Viera ha pubblicato in Italia: Il lavoro vi farà uomini (L'ancora del Mediterraneo), La patria è un'arancia (Il Foglio Letterario).

mercoledì 5 giugno 2013

Vent’anni dopo: dal dollaro a Internet

di Yoani Sánchez


Nel 1993 Fidel Castro fu messo alle corde dalla crisi economica e accettò la circolazione del dollaro nel territorio cubano. Fino a quel momento, possedere valuta straniera poteva costare diversi anni di carcere. “La moneta del nemico” entrò per restare, anche se anni dopo sarebbe stata rimpiazzata da un surrogato chiamato peso convertibile. Tra gli elementi più interessanti del decreto che metteva in vigore il doppio sistema monetario, si potevano leggere i motivi della sua ammissione. Nella Gazzetta Ufficiale si riconosceva: “questa misura contribuisce positivamente a diminuire il numero dei fatti sanzionabili, semplificando il compito della polizia e dei tribunali”. In pratica, per ridurre il lavoro a poliziotti e giudici si consentiva il possesso dei dollari. La data prescelta per l’entrata in vigore della nuova normativa era il 13 agosto, giorno del compleanno del Leader Maximo.

Sono passati vent’anni da quel momento e ancora la società cubana continua a vivere in piena schizofrenia monetaria. Fidel Castro non occupa più la carica di presidente, ma sembra che anche al fratello piaccia far coincidere i cambiamenti legali con il calendario familiare. Il 3 giugno ha festeggiato i suoi 82 anni di vita e al tempo stesso ha posto fine a una strategia di controllo eccessivo sull’accesso a Internet. Poche ore dopo la fine di quella fatidica giornata hanno aperto i battenti le 118 sale di navigazione dotate di connessione pubblica al web. Un regalo di compleanno piuttosto amaro per il Generale che aveva cercato di ritardare con ogni mezzo l’accesso dei cubani a Internet. Molto probabilmente questo piccolo passo verso l’apertura informatica seguirà lo stesso destino della depenalizzazione del dollaro: non si farà marcia indietro.

Dalla mattina di questo martedì hanno cominciato a funzionare i nuovi locali pubblici con servizio Internet e Intranet. Al costo di 4,50 pesos convertibili (CUC), circa 3,50 euro, l’utente può contare su un’ora di acceso al cyberspazio. È possibile optare per una navigazione su Intranet nazionale al prezzo di 0,60 CUC, oppure utilizzare solo la posta elettronica “.cu” (cubana, ndt) al costo orario di 1,50 CUC. Sono state fatte diverse prove e non è stata individuata - per il momento - nessuna pagina censurata per motivi politici. La velocità minima di connessione è di 512 Kbps, la schermata che dà il benvenuto all’utente - non appena si accende il computer - porta il nome di Nauta, anche se i programmi e l’intero funzionamento si basano su Microsoft Windows.

Nella prima giornata di apertura erano accessibili dai nuovi locali di Internet portali come El Nuevo Herald (http://elnuevoherald.com/), siti contenenti notizie tipo Diario de Cuba (http://diariodecuba.com/) e diversi blog critici nei confronti del governo, scritti dall’interno dell’Isola. Il costo elevato del servizio, in un paese dove il salario medio mensile si aggira attorno ai 17 euro, sembra il limite fondamentale. Tutto ciò contraddice il viceministro delle comunicazioni che recentemente aveva dichiarato: “Nel nostro paese non sarà il mercato a regolare l’accesso alle conoscenze”. Ora come ora, chi possiede la moneta forte - autorizzata a circolare dal vecchio presidente - potrà frequentare reti sociali, siti con offerte di lavoro e borse di studio, sfruttando tutte le possibili occasioni per tentare di emigrare.

Curiosamente entrambe le misure: la depenalizzazione del dollaro e questa timida apertura a Internet, sono state frutto più della pressione che del desiderio di apertura da parte del governo. Consentire che i cubani potessero possedere moneta convertibile, fu una decisione presa di fronte all’evidenza che nel mercato informale i cosiddetti “biglietti verdi” circolavano con sempre maggior forza alla fine degli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta. Identica situazione si verifica adesso con l’informazione che proviene dalla grande ragnatela mondiale. Le connessioni pirata al web da una parte e il progresso delle reti clandestine di distribuzione di audiovisivi dall’altro, confermano quanto sia inutile cercare di recintare il campo dei kilobytes.

I primi utenti che questa mattina hanno provato le sale di navigazione si sono sorpresi di fronte alla velocità di connessione ma hanno criticato i costi eccessivi del servizio. Diversi giornalisti ufficiali si aggiravano intorno ai tavoli di un locale centrale del quartiere Vedado cercando di catturare l’istantanea degli avaneri mentre si gettavano in massa sulle tastiere. Non è accaduto, certo. Si sono visti pochi e cauti clienti intenti a verificare i limiti del nuovo servizio. Ogni utente doveva esibire il documento d’identità e firmare un contratto prima di sedere davanti allo schermo del computer. L’atto privato precisa che il servizio non deve essere usato per “azioni che possano considerasi (…) dannose o pregiudizievoli per la sicurezza pubblica”. Una spada di Damocle che potrebbe essere interpretata anche secondo considerazioni politiche e ideologiche.

Di compleanno in compleanno, così vanno i cambiamenti a Cuba. Vent’anni fa toccò al dollaro… oggi a Internet.

Traduzione di Gordiano Lupi

Internet libero a Cuba


Omar Santana stigmatizza il fatto che Internet è libero in alcuni posti pubblici Etecsa, ma a prezzi molto alti per un cubano medio.


Aprono nuove sale Internet a Cuba. Un progresso, senza dubbio, anche se resta da superare il problema di tariffe altissime, alla portata di chi guadagna pesos convertibili, non certo dei pensionati o dei poveri lavoratori statali. Ieri hanno fatto il loro debutto in tutta Cuba e sono state accolte con un certo entusiasmo da parte di molti abitanti dell'Isola che hanno sfruttato la possibilità di collegarsi con i familiari all'estero, scaricare musica, foto, notizie, riviste e di accedere a ogni tipo di pagina. La grande novità è proprio che non ci sono siti censurati: El Pais, El Nuevo Herald, El Miami Herald, giornali anticastristi, riviste cubane della diaspora sono regolarmente consultabili. Persino i social network come Facebook, Youtube e Twitter non presentano restrizioni. Il servizio è gestito dall'impresa telefonica statale Etecsa e ha sede nell'emblematico edificio Focsa dell'Avana, può contare su 9 computer e le connessioni sono ad alta velocità (due mega), cosa insolita per Cuba. Fino a oggi esistevano solo lente connessioni negli hotel e pochi Internet Point che offrivano un servizio inadeguato con tariffe variabili dai 7 ai 10 dollari per ora di connessione. Adesso si paga meno se si usa solo la posta elettronica cubana (1,50 dollari per un'ora) e se si visita solo l'Intranet cubano (60 centesimi). Certo, navigare per i siti internazionali costa moltissimo, circa 4 dollari per un'ora, un quinto dello stipendio medio mensile di un impiegato statale. In ogni caso è un passo avanti. Sono aperte sale Internet a Holguín (oriente) e Cienfuegos (centro-sur), dove lunghe code di persone hanno atteso l'inizio del servizio. Yoani Sánchez ha invitato i cubani a usare la novità: "Nonostante i prezzi alti, i caratteri piccoli scritti nel contratto e l'impossibilità di avere una connessione casalinga, dobbiamo approfittare delle prime crepe che faranno cadere il muro". Le connessioni domestiche sono previste a Cuba solo per "uso sociale" e vengono garantite a medici, giornalisti, scienziati e artisti di chiara fama e comprovata fede politica. In ogni caso, il viceministro delle Comunicazioni, Wilfredo González, ha detto: "Presto i cubani potranno avere connessioni Internet casalinghe. Dobbiamo solo attendere che le condizioni economiche lo permettano". Per i dissidenti non è ancora abbastanza, ma dobbiamo considerare che in molti paesi soggiogati da governi dittatoriali la novità cubana è una pura utopia.

Che qualcosa stia cambiando?

Tra le altre notizie di un certo rilievo che provengono da Cuba, registriamo gli 82 anni di Raul Castro, e il trasferimento a Cienfuegos del parroco Padre José Conrado - che conosco personalmente - una vera luce cattolica, un faro illuminato nelle tenebre del cambiamento.

Gordiano Lupi

martedì 4 giugno 2013

Ricordate Ricardo Alarcon?


Garrincha con la sua vignetta odierna ci fa tornare a mente la discussione intercorsa tra Ricardo Alarcon (al tempo Presidente del Parlamento cubano) ed Eliecer Avila (studente e giovane comunista), un po' di tempo fa, all'Università dell'Avana. In tale occasione, il giovane Eliecer, non ancora dissidente, chiese: "Perchè i cubani non sono liberi di viaggiare?". Alarcon, sorpreso, rispose: "Vi immaginate se al mondo tutti viaggiassero? Quanti incidenti accadrebbero nei cieli, così congestionati. Io non ho mai viaggiato. Non sono stato neppure a Varadero, da giovane".
Traduciamo la vignetta, che ha bisogno di questo preambolo, per essere capita da un lettore comune.

Quel che dicono le previsioni del tempo:
- Vediamo una zona coperta da una certa nuvolosità...
Quello che sente Ricardo Alarcon:
- Vediamo un gran numero di aerei che si scontrano tra loro... Pim! Pam! Scrash! Poing!

Gordiano Lupi