giovedì 29 novembre 2012

La ninfa incostante (2008)


un libro di Guillermo Cabrera Infante


Non è possibile cancellare il passato, meno che mai cambiarlo. Quel che serve è una macchina del tempo per riviverlo e io dispongo soltanto della mia memoria. Non sono un eroe dei fumetti come Brick Bradford, non possiedo fantastiche invenzioni da utilizzare. Procedo per flashback e in questo mi aiuta il mio amore per il cinema, vera ragione di vita, ché non so davvero cosa sarebbe stata la mia esistenza senza il cinema. Il mio passato è un fantasma che non devo convocare ricorrendo a un medium e neppure invocare grazie ad astruse magie. Il mio passato è uno spirito che non muore ma che di tanto in tanto torna a far visita come un vampiro in fuga dai miei giorni lontani. Il mio passato si chiama Estela, ninfa incostante, ragazzina adolescente iniziata all’amore, Lolita che abbandona la casa della madre e fugge con me alla scoperta delle notti avanere, di posada in posada, stella della mia notte che mi convince a lasciare moglie e figlie.

Estela, Estelita, Stella Morris… adesso sei morta, della morte più innaturale: la morte naturale, uccisa dal tempo che passa inclemente, adesso ti puoi trasformare nel personaggio che dà vita alle pagine del mio romanzo più vero. Sopravvivo per ricordarti; ora che non ci sei più è facile esplorare la memoria, anche se il tuo ricordo è sempre stato indimenticabile.

Estela è il sogno della mia Avana di tanti anni fa, di quando ero ancora a Carteles e scrivevo recensioni di cinema, del tempo in cui credevo in un mondo migliore e volevo cacciare un tiranno. Ma lei non aveva niente a che vedere con la politica, era soltanto il mio sogno d’amore che rivivo ogni notte quando ripercorro La Rampa e calle 0, ripensando alla mia Avana, isola incantata di cui ero esploratore e guida. In quel periodo L’Avana era il centro del mio universo, percorrerla era un viaggio intergalattico tra due soli, mentre Estela era soltanto una piccola adolescente. Il Malecón era una scenografia dipinta e frastagliata che si apriva al paesaggio marino, il muro color sabbia sembrava una spiaggia di cartone anche se si trattava di cemento armato. L’Avana terminava nel Malecón, il resto era soltanto mare: è stato proprio là che l’ho vista per la prima volta, quando non era neppure maggiorenne e io non lo sapevo. Era bionda, forse biondiccia, se ne stava in penombra, come se non avesse voluto farsi vedere. Lei era l’incantatrice e io l’incantato, era una farfalla diurna con le sue ali composte dai capelli che si muovevano come se volesse posarsi ma non avesse tempo. Estela sconvolse la mia vita, la percorse come un tornado per cambiarla da cima a fondo, pure se allora vivevo per la letteratura, per scrivere, per raccontare la vita attraverso invenzioni. Estela non mi capiva, diceva che ero troppo colto, che la mia cultura la distruggeva, ma io non le facevo caso, continuavo a parlare e volevo sentire la sua voce, unica ragione di vita in un periodo tempestoso. Estelita era tenera come la notte e rischiarava un cielo senza luna, percorrevamo insieme le strade della capitale al tempo in cui credevo che fosse amore e non soltanto furibonda passione. La mia Estelita, profumata come un fiore notturno, era la mia divinità, la mia catena d’amore, come canta il bolero; sentire il profumo della sua pelle per me significava raggiungere uno stadio divino.

Ricordo Estela durante le notti insonni di Londra come il frutto della nostalgia del passato, forse perché ero molto giovane e la vita non aveva spento il fervore delle illusioni, forse perché vorrei tornare a quel tempo perduto, riviverlo proustianamente nel ricordo.

Estela non era una donna, era una bambina vestita da eroina francese, proprio come nei film che tanto amavo, ma per lei non esitai ad abbandonare mia moglie, seguendola in un’avventura di passione, nel turbine del peccato. Era una farfalla appena uscita dalla sua crisalide e fu con me che perse la verginità, perché le donne sono come i libri, si tende sempre a portarle a letto, c’è poco da fare. Per i libri intatti è più semplice, però, basta un tagliacarte ben affilato. Estelita era vergine e aveva appena sedici anni. Fu con me che divenne donna. Ricordarla stasera equivale a registrarla per sempre nel ricordo. E io la ricordo tutta, forse non basta la memoria per contenerla, perché Estela è come L’Avana che appare indistruttibile nel ricordo, la sola cosa che la rende immortale. All’Avana si torna sempre per ricominciare, perché le città muoiono proprio come gli uomini, se non ci sono magie peculiari capaci di modificare lo scorrere degli eventi. Allora è meglio dimenticare il tango e cantare un bolero, lasciare da parte il dramma e pensare al sentimento. Rammento che la prima volta che facemmo l’amore - in verità una delle poche volte - fu in una posada, piccolo albergo di passaggio, l’hôtel de passe dei francesi, rifugio ideale per una coppia clandestina, perché nessuno chiede nome e cognome, stato civile, documento d’identità. Estelita nuda sul letto sembrava una delle donne di Delvaux, pallida e dorata al tempo stesso, con il pube appena illuminato dalla luna che filtrava dalle finestre socchiuse. Io e la mia ninfa incostante eravamo in fuga, lei da sua madre, dalla sua casa, io dalla mia vita, dalla mia famiglia, stavamo commettendo molti errori, ma questo è il sale della vita, non altro.

Estelita non mi amava, però. Lei non amava neppure se stessa ed era infedele a tutti. La sua infedeltà maggiore la riservava al senso comune, alle convenienze sociali, alle convenzioni. La sua insolenza non era una maschera, era realtà. Lei non aveva la benché minima idea di cosa fosse il peccato. Mi accusava - come se fosse una colpa - di essere un intellettuale e mi dava del dongiovani, diceva che dopo aver conquistato una donna mi allontanavo sempre da lei. Forse era vero, ma con lei non era successo, anzi era accaduto il contrario, perché Estelita non manifestava il suo amore, mi lasciava solo con la mia passione sconfitta a percorrere questa Creta circondata da cretini - per dirla con Piñera - che era L’Avana, questa città che fa gli uomini e poi li distrugge con i raggi d’un sole giustiziere. Le strade esposte al sole sono sempre state mie nemiche, ma ce ne sono alcune terribili come Línea nel mese di agosto e calle 23 sotto il sole di luglio. Calle Línea - si chiama così perché c’era la linea dei tram quando L’Avana era una città elegante e non un inferno distrutto dalla storia come adesso - non è la mia strada favorita. Non la odio come San Lázaro, ma non vivrei là per nessun motivo al mondo, pure se era la strada dove era andata ad abitare la mia Estelita. Dovevo percorrere San Lázaro pure se l’odiavo, perché amavo chi viveva in quel luogo. Non potevo andare nella calle Calzada - ancora la mia strada preferita - solo perché un tempo era stata la casa di sua madre. Mi presentavo a lei come un amante sconfitto e le dicevo: “Credo in questa strada, in questo quartiere, El Vedado, credo nell’Avana, nel mare, nella corrente del Golfo, nel tropico. Credo anche in te. Credo in te come credo nella città e nella notte”. Perché si poteva credere in una donna, perché lei era la mia donna, il mio amore. Estela era una ragazza naturale, non come tante donne che ho conosciuto che passavano la vita recitando una parte. Lei no. Lei era sincera e spontanea. Amava dire parole sconvenienti, ma le diceva con serenità, senza affettazione, senza atteggiarsi. Pronunciate dalle sue labbra perfette le parole sgarbate erano perle imperfette che si dovevano accogliere come doni. La pelle di Estela irradiava luce, rifletteva essenze naturali, anche se la nostra relazione è stata un lunghissimo coito interrotto che non abbiamo mai completato. Se Estela era nata per essere infelice c’è riuscita senza problemi, anche se adesso per me il suo corpo umano si è trasformato in corpo divino, in un fantasma che segue i ricordi.

Una notte decisi di dimenticare Estela e di tornare alla mia vita d’un tempo dopo la tempesta che aveva sconvolto abitudini e pensieri. Fu un’operazione chirurgica che praticai sul mio cuore senza anestesia. Fu molto dolorosa. Non c’era luna quella notte. Non c’era luce in cielo se non quella delle stelle e di pochi lampioni pubblici. Estela era la mia malattia e io dovevo estirparla, ma non potevo ucciderla, dovevo solo dimenticarla. Un capriccio dura più d’una grande passione, dice Oscar Wilde. Il mio capriccio era durato abbastanza. Estela era stata parte della mia vita e in una notte di pioggia avanera, quando piove davvero e si può credere che sta per cominciare il diluvio universale, ne usciva completamente. Lei non negava la vita ma neppure l’affermava. Per me la letteratura era più importante della vita. In ogni caso era il mio modo di vivere la vita. Una vita che ho cominciato con lo pseudonimo di Caín e che ho portato avanti nello scenario cinematografico di Hollywood con quello di James M. Caín. Sono sempre stato Guillermo Cabrera Infante, scrittore cubano in esilio dalla follia, sotto il cielo di Londra, scrittore romantico a caccia di conflitti tra l’amore e la vita, che ha letto l’Odissea a sedici anni e ha conosciuto quel vecchio ubriacone vanitoso di Hemingway al Floridita. Il mio temperamento di esteta mi ha fatto fantasticare a lungo sulla mia Estela scomparsa. Estelle a disparu, avrebbe detto Proust. Estela se ne andò senza rimpianti. L’ultima volta che la vidi passeggiava lungo calle Línea e fu allora che mi dette l’ultima amara sorpresa della nostra storia. Non è una telenovela, amico lettore che mi hai seguito sin qui, no davvero. Sono cubano ma non amo le telenovelas, mi piace il neorealismo, raccontare le cose come stanno pure quando la verità fa male al cuore. Estelita mi disse che era lesbica, che lo era sempre stata, anche se inconsapevole, che io le avevo aperto gli occhi e lei aveva capito, finalmente. Mi disse che io le ero servito a scappare di casa e a liberarsi di sua madre, soltanto questo ero stato per lei, dovevo rassegnarmi. E allora ho scritto un romanzo solo perché lei è morta, un romanzo dove la ricordo e mi perdo alla ricerca del tempo perduto. Non c’è dolore più grande che ricordare giorni felici quando si è tristi, dice Dante. Ma dovevo ricordare Estelita e soprattutto scrivere di lei, del mio amore adolescente, della mia passione che si è trasformata in stella.

L’Avana è una grande città ma non è una città grande, però la fuga di Estelita ha cancellato la sua immagine. Tutto passa nel ricordo, tutto passa nel tempo, ma l’immagine di Estelita mi perseguita ancora. Ho dimenticato molte ragazze, molte donne, ma non posso fare a meno di ricordare Estelita, freddo amore sotto la luna avanera, incontro imprevisto sul Malecón, vissuto nel rimpianto tra calle Línea e Calzada. Vaga Estela della mia notte, di una notte interminabile, che resterai per sempre nel mio cuore. E quel romanzo, credimi, non avrò mai il coraggio di farlo pubblicare.

Gordiano Lupi

Nota: Il romanzo è stato pubblicato postumo sotto il titolo La ninfa incostante (2008) da Galaxia Gutemberg/Circulo de Lectores, perché Guillermo Cabrera Infante è morto a Londra nel 2005. In Italia è uscito adesso (novembre 2012), riportando in auge un grande scrittore, Premio Cervantes, molto amato da Mario vargas Llosa.

La ninfa incostante – di Guillermo Cabrera Infante
Minimum Fax/Sur, 2012 - Pag. 300 – Euro 15 - 978-88-97505-14-3
Un romanzo geniale: Letteratura, con la L maiuscola (El País). Estela Morris, la conturbante ninfa del titolo di questa storia nostalgica e spassosa, solare e rocambolesca, ha appena sedici anni quando il protagonista del romanzo (dichiaratamente autobiografico) la incontra sulla calle 23 dell’Avana e si lascia convincere per amore a diventare suo complice in un delitto... Nelle parole dello stesso Cabrera Infante, «Estela è il sogno della mia Avana di tanti anni fa, quando credevo in un mondo migliore. Era il mio sogno d’amore, che rivivo ogni notte quando ripenso alla mia Cuba, isola incantata di cui ero esploratore e guida. In quel periodo L’Avana era il centro del mio universo, percorrerla era un viaggio intergalattico tra due soli, ed Estela era una bambina vestita da eroina francese». Il romanzo postumo di un grande narratore, una pirotecnia di calembour e gag comiche, uno scrittore da riscoprire. Con un saggio di Mario Vargas Llosa. Traduzione di Gordiano Lupi.

Riforme linguistiche

di Yoani Sanchez


Non ti preoccupare, lettore. Questo testo non riguarda quel che credi. Non è un invito rivolto alla Reale Accademia della Lingua Spagnola perché velocizzi il processo di accettazione di nuovi termini e non è neppure un reclamo per togliere complessità all’ortografia castigliana. Niente di tutto questo. Mi sono tolta da tempo l’abito da filologa, adesso m’interesso più di bytes e tweets che di sillabe e coniugazioni. Mi riferisco, invece, a quelle espressioni peculiari che si utilizzano a Cuba per indicare i fenomeni economici, politici e sociali. Le “riforme” che ci riguardano sembrano verificarsi più nel campo della linguistica e della semantica che nella realtà concreta. Farò alcuni esempi… non disperare.

Nel nostro paese misure che si limitano ad aggiungere elementi di economia di mercato al sistema sono state chiamate “attualizzazione del modello socialista”. Viene definito “lavoro per conto proprio” ciò che in ogni altra parte del mondo è noto come “settore privato”. I disoccupati non sono catalogati con la parola corrispondente ma vengono definiti “lavoratori disponibili”, una maniera più dolce per descrivere il dramma del licenziamento. Negli ospedali, quando vengono compiuti tagli sostanziosi al numero di radiografie e di ultrasuoni si dice che si sta dando un’opportunità per “potenziare le diagnosi cliniche”. Tradotto nel linguaggio reale, significa che il medico deve scoprire con i suoi occhi e con le sue mani sia una frattura che un’emorragia interna.

Per la retorica ufficiale, la frustrazione popolare dopo le riforme è soltanto indice di “incomprensioni e indisciplina”. Se la non conformità sfocia in una protesta di strada, in quel caso i partecipanti non sono né “indignati”, né “proletari che reclamano i loro diritti”, ma “mercenari” e “controrivoluzionari”. Il questa Isola, l’espressione “il popolo” è uno dei tanti pseudonimi sfoggiati dal potere, quindi si può immaginare la confusione che regna. Quando si legge “per decisione del popolo sovrano…” o “con la partecipazione di tutto il popolo”, si potrebbe sostituire il soggetto di ognuna di queste frasi con “il Partito Comunista”. Neppure il virus del colera può essere nominato con le sue sei lettere, perché il quotidiano Granma ha già coniato la frase “malattia diarroica acuta”. E stai ben attento a non chiamare favelas o borghi miseri quei quartieri poverissimi che si estendono alla periferia della città! Sono, per la distorta semantica che ci circonda, “comunità con basse risorse”.

Io non comprendo e tu neppure. Un metalinguaggio si è impadronito delle nostre vite e nessuna parola è quel che sembra. Ma dammi retta, lettore, e “non ti preoccupare”, che è proprio il modo con il quale diciamo ogni giorno che “la situazione è preoccupante”.

Traduzione di Gordiano Lupi
 www.infol.it/lupi

martedì 27 novembre 2012

LIBERATO ANTONIO RODILES DOPO 19 GIORNI DI DETENZIONE


L'Avana, 27 novembre 2012 - La polizia cubana ha messo in libertà ieri sera (lunedì 26 novembre), il noto dissidente Antonio G. Rodiles, 19 giorni dopo il suo arresto, avvenuto nel corso di una violenta repressione che ha prodotto una battaglia legale per abusi di polizia, intrapresa da avvocati dissidenti.

"Adesso dobbiamo andare avanti con maggior forza", ha detto Rodiles al blog spagnolo Diario de Cuba. "Le cose devono cambiare e la violenza deve finire".

Rodiles ha dovuto pagare una multa di 800 pesos cubani - circa 32 dollari, due mesi di salario medio a Cuba -, anche se non ha potuto conoscere le accuse a suo carico. Alcuni agenti della Sicurezza di Stato arrestarono e picchiarono Rodiles mentre si trovava insieme ad altri dissidenti davanti a una stazione di polizia dell'Avana, il 7 novembre, per chiedere la liberazione dell'avvocata Yaremis Flores, arrestata un mese prima. Una foto scattata in carcere con un cellulare ha dimostrato come Rodiles sia stato percosso, perchè aveva un livido a un occhio.

La prolungata detenzione di Rodiles è stata condannata dal governo degli Stati Uniti, da alcuni leader dell'esilio e da gruppi internazionali per i diritti umani. Rodiles è promotore di due progetti: Estado de Sats, per le libertà intellettuali e culturali, e Domanda Civica per un'altra Cuba, focalizzata sui diritti umani.

I legali di Rodiles hanno denunciato gli agenti della Sicurezza di Stato, perchè non si identificarono, agirono con violenza inutile e non informarono i familiari dei detenuti sul luogo della carcerazione. Si tratta di un modo per creare un poco di attenzione sul problema, visto che nessuno si attende che il regime condanni se stesso, o meglio, il suo braccio esecutivo.

mercoledì 14 novembre 2012

Possiamo svegliarci?

di Yoani Sanchez
www.lastampa.it/generaciony



A volte, quando sono nervosa sogno di traslocare, di cambiare casa diverse volte senza riuscire mai a sfruttare un'abitazione. In quell’incubo ricorrente, la mia vita si disarma e le foto dell'infanzia si perdono in qualche camion da trasloco. Tutto questo mi accade soltanto nelle notti caratterizzate da una modesta inquietudine. Questa settimana è stata ben diversa. Le prime ore del mattino fuggono verso un cammino lunghissimo e oscuro. Metto la testa sul guanciale e mi ritrovo in un sentiero circondato da alte erbe con il canto delle cicale che mi perfora l'udito. Non sono sola, accanto a me vedo volti conosciuti: i miei amici di risate e prigione, di abbracci e spaventi. Conversiamo, ma le frasi restano a mezzo perché loro spariscono nella sterpaglia, se ne vanno... se li portano via. Ogni notte, non appena chiudo gli occhi, una fitta vegetazione torna a inghiottire i miei compagni.

Mi alzo la mattina e mi dico: "Tutto è finito, è stato solo un sogno". Ma dopo un istante suona il telefono e qualcuno mi racconta che Antonio Rodiles è ancora detenuto, accusato di aver resistito a un arresto tanto arbitrario quanto ingiusto. Vado al bagno ancora con le palpebre socchiuse e mi rendo conto che soltanto poche ore fa Ángel Santiesteban è stato liberato dopo essere stato fatto salire a botte in un auto della polizia. Il caffè del mattino borbotta sui fornelli mentre controllo il mio telefono mobile, zeppo di denunce sui soprusi patiti dalle Damas de Blanco in diverse zone del paese. Il mattino ha ancora il colore rosso dell'alba mentre comprendo che il lungo percorso dei miei sogni si prolunga nella realtà.

Non è la sterpaglia, ma l'intolleranza; non è il canto delle cicale ma sono le grida degli autoritari; non è la notte ma la mancanza di libertà. Quando arriva mezzogiorno ho la netta sensazione che non posso fuggire dai miei incubi, che non servono i pizzicotti negli avambracci ed è inutile mettere la testa sotto l'acqua fredda. Resta il fatto che questi amici "portati via" sono una realtà concreta, non un delirio notturno. Mentre avanza la sera comprendo che il mio incubo è ovunque, finisco per tornare a quel campo circondato da alte erbe. Ma questa volta resto soltanto io e parlo con me stessa perché l'oscurità non mi terrorizzi completamente. Qualcuno - che non vedo - mi afferra e mi trascina con forza tra le sterpaglie. Tra tre ore mi desterò al suono della sveglia.

Traduzione di Gordiano Lupi

martedì 13 novembre 2012

El otro paredon a Miami


EL OTRO PAREDON
DISTRUZIONE DELLA REPUTAZIONE A CUBA

Il libro El otro paredón. Asesinatos de la reputación en Cuba (L’altro muro. Distruzione della reputazione a Cuba) sarà presentato ufficialmente sabato 17 novembre alle 10 del mattino, presso la Fiera Internazionale del Libro a Miami. Edificio 8. Salone 8502.

Che importanza ha la deliberata distruzione dell’onore di una persona, gruppo sociale o istituzione? Quali implicazioni possono avere certe azioni quando rispondono a iniziative di un governo con sufficienti risorse per esercitare un vero e proprio terrorismo di Stato? El otro paredón esamina questo tema alla luce dell’esperienza cubana durante gli ultimi cinquant’anni.

Perché affrontare proprio adesso il problema della distruzione della reputazione fomentata dal governo cubano? Perché parlare di Cuba e non di quel che accade in altre parti del mondo?

Perché non sempre i processi di trasformazione sociale si verificano in maniera rapida e completa. L’esperienza ci dice che le società chiuse a volte giungono a trasformare con rapidità aspetti simbolici che si trovano in superficie, ma l’antico regime resiste nelle strutture più profonde, come le mentalità, i pregiudizi e i concetti, che hanno germogliato nel subcosciente, persino in quello dei suoi oppositori


DISTRUZIONE DELLA REPUTAZIONE

La distruzione della reputazione (character assassination) è un processo deliberato e sostenuto, diretto a demolire la credibilità e la reputazione di una persona, istituzione, gruppo sociale o nazione.

I promotori della distruzione della reputazione per raggiungere i loro scopi impiegano una combinazione di metodi aperti e scoperti come la formulazione di accuse false, la diffusione di voci e la manipolazione di informazioni.

IL LIBRO EL OTRO PAREDÓN

La distruzione della reputazione descritta in questo libro non è equivalente a ciò che può sviluppare un partito politico d’opposizione contro il governo o un gruppo di consumatori insoddisfatti contro un ristorante. Non stiamo parlando di diffamazioni personali o critiche istituzionali. Ci riferiamo a una forma organizzata di terrorismo statale orientato verso la deliberata e completa distruzione della credibilità di una persona, gruppo o istituzione

A Cuba il disegno di queste distruzioni della reputazione prende la forma di anelli concentrici di disinformazione, che si costruiscono artificialmente per moltiplicare un messaggio prefabbricato e diffonderlo su Internet, come se fosse una palla di neve virtuale.

 

Gli AUTORI

Rafael Rojas, noto intellettuale e storico delle idee cubane più rilevanti della sua generazione, centra la sua analisi sul fatto che il regime cubano si è sempre impegnato a fondo per costruire una storiografia ufficiale che contribuisca a legittimarlo.

Uva de Aragón, importante scrittrice dell’esilio storico cubano, impegnata in una politica di riconciliazione, analizza il modo in cui la classe politica precedente alla rivoluzione sia stata demonizzata e l’arbitrarietà dei giudizi che hanno infangato la reputazione di uomini come suo padre, il Dr. Carlos Márquez Sterling, presidente dell’Assemblea Costituente nel 1940.

Juan Antonio Blanco, storico, incentra il suo lavoro sull’impresario Amadeo Barletta e mostra come il governo cubano sia riuscito a demolire la sua reputazione, in primo luogo per confiscare arbitrariamente i suoi beni, quindi per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale quando, nel 1989, le strutture militari cubane sono state coinvolte in uno scandalo per operazioni di narcotraffico.

Altri due autori, Ana Julia Faya e Carlos Alberto Montaner, espongono come anche partendo da prospettive opposte (marxista e liberale), entrambi siano stati vittime di questa sorta di terrorismo di Stato che è la demolizione della reputazione.

Gordiano Lupi, scrittore italiano e giornalista specializzato in Cuba, espone le campagne di demolizione della reputazione della blogger cubana Yoani Sánchez in Italia. Il suo contributo stigmatizza il comportamento di certa stampa di una cosiddetta sinistra che appoggia un regime che sui autodefinisce socialista e dissemina menzogne sui giornalisti indipendenti cubani.

Gli storici devono fare uso di una metodologia rigorosa e imparziale per determinare il comportamento di ogni persona. I fatti vanno contestualizzati per poter capire bene le rispettive posizioni. La riconciliazione tra cubani reclama un rispetto della storia e dei comportamenti dei singoli protagonisti.

Per ottenere copie a scopo recensione:


Marlene Moleon - marlene.moleon@gmail.com

Eriginal Books LLC

Casa editorial de libros digitales



Lo stand della casa editrice

IN SPAGNOLO

EL OTRO PAREDON

ASESINATOS DE LA REPUTACIÓN EN CUBA

El libro “El otro paredón. Asesinatos de la reputación en Cuba” será presentado oficialmente el sábado 17 de noviembre a las 10:00 am en la Feria Internacional del Libro en Miami. Edificio 8. Salón 8502

¿Qué trascendencia tiene el asesinato deliberado del honor de una persona, grupo social o institución? ¿Qué implicaciones pueden llegar a tener esas acciones cuando responden a iniciativas de un gobierno con suficientes recursos para ejercer ese tipo de terrorismo de estado? El otro paredón examina este tema a la luz de la experiencia cubana durante las últimas cinco décadas.

¿Por qué incursionar ahora en el tópico de los asesinatos estatales de reputación fomentados por el gobierno cubano? ¿Por qué hablar de Cuba y no sobre lo que sucede en relación con este tema en otra parte?

Porque no siempre los procesos de transformación social ocurren de manera rápida y completa. La experiencia nos dice que las sociedades cerradas a veces llegan a transformar con rapidez aspectos simbólicos que están en la superficie, pero el antiguo régimen subsiste en estructuras más profundas, como las mentalidades, prejuicios y conceptos, que quedaron sembradas en el subconsciente, incluso en el de sus opositores.

ASESINATO DE LA REPUTACIÓN

El asesinato de reputación (character assassination) es un proceso deliberado y sostenido, dirigido a destruir la credibilidad y reputación de una persona, institución, grupo social o nación.

Los promotores del asesinato de reputaciones para lograr sus fines emplean una combinación de métodos abiertos y encubiertos como son la formulación de acusaciones falsas, fomento de rumores y la manipulación de informaciones.

SOBRE EL LIBRO EL OTRO PAREDÓN

El asesinato de reputaciones descrito en este libro no es equivalente al que pueda desarrollar un partido político de oposición contra el gobierno o un grupo de consumidores insatisfechos contra un restaurante. No estamos hablando de difamaciones personales o críticas institucionales. Nos referimos a una forma organizada de terrorismo estatal orientado hacia la deliberada y completa destrucción de la credibilidad de una persona, grupo o institución.

En Cuba el diseño de estos asesinatos de reputación toma a menudo la forma de anillos concéntricos de desinformación, que se construyen artificialmente para multiplicar un mensaje manu-facturado por la maquinaria de propaganda y diseminarlo por Internet, como si fuera una bola de nieve virtual.

LOS AUTORES

Rafael Rojas, destacado intelectual y el historiador de las ideas cubanas más descollante de su generación, centra su análisis en la manera en que el régimen cuba-no ha desplegado desde temprano un esfuerzo deliberado por construir una historiografía oficial que contribuya a legitimarlo.

Uva de Aragón, reconocida escritora del exilio histórico cubano analiza el modo en que la clase política pre revolucionaria fue demonizada, incluso antes de 1959, y el modo arbitrario en que sus reputaciones, incluida la de su segundo padre, el Dr. Carlos Márquez Sterling, quien presidiera honorablemente y con gran equidad la Asamblea Constituyente en 1940.

Otros dos autores, Ana Julia Faya y Carlos Alberto Montaner, exponen el modo en que, aun partiendo desde tradiciones intelectuales opuestas, marxista y liberal, ambos han sido acosados por esta modalidad de terrorismo de estado que es el asesinato de reputaciones.

El renombrado periodista Gordiano Lupi explica como un sector de la izquierda italiana extiende su incondicionalidad a cuanto régimen se declare socialista y acusan a blogueros y periodistas independientes cubanos de mercenarios, como Yoani Sánchez y sus colegas. Eso no es una nimiedad en un país donde existe la pena de muerte para delitos de esa naturaleza y brillan por su ausencia las normas del debido proceso legal.

El historiador Juan Antonio Blanco expone los ataques infundados, pero bien organizados contra el empresario italiano Amadeo Barletta. El análisis de los ataques patrocinados por el estado cubano contra Amadeo Barletta es una deconstrucción útil de la metodología estándar del gobierno para asesinar la reputación de aquellos que disienten o se oponen al régimen de Cuba.

giovedì 8 novembre 2012

Le urna a novanta miglia

di Yoani Sánchez – dal blog Cuba libreEl País
8 novembre 2012


Venerdì scorso, la stampa cubana si è scagliata, con una violenta nota del Ministro delle Relazioni Estere, contro l’Officina di Interessi degli Stati Uniti all’Avana (SINA). La tradizionale aggressione verbale rivolta al vicino del Nord questa volta aveva come tema polemico il funzionamento nella sua sede consolare di una sala Internet aperta al pubblico. Il luogo esiste da alcuni anni ed è frequentato da diverse tipologie di persone: studenti che vogliono fare ricerche, giornalisti indipendenti che tentano di pubblicare i loro articoli, familiari di esiliati che desiderano contattarli tramite posta elettronica. In un paese dove l’accesso al ciberspazio è un lusso riservato a pochi, le lunghe file per accedere al centro Internet della SINA infastidiscono il governo.

Tuttavia, dopo aver letto l’altisonante dichiarazione, un interrogativo si fa pressante: perché proprio adesso? Se quelle sale con servizio web funzionano da quasi un decennio perché compaiono in questo momento nella prima pagina del Granma? La risposta sta in quel che è accaduto questo martedì nelle urne nordamericane. Era una mossa preventiva in funzione delle elezioni statunitensi. Il divario tra Barack Obama e Mitt Romney era stretto e il governo di Raúl Castro lo sapeva bene. Per questo, da alcuni mesi, aveva cominciato a indirizzare proiettili verbali contro i due candidati. La propaganda ufficiale definiva il rieletto presidente statunitense come l’uomo che “ha inasprito il blocco imperialista”, mentre il suo avversario repubblicano era “la politica anticubana”. Di male in peggio, ribadiva con insistenza.


All’interno dell’Isola erano palpabili curiosità e interesse per le elezioni del vicino del Nord. Troppe cose erano in gioco all’altro lato dello Stretto della Florida. La politica di Piazza della Rivoluzione si caratterizza soltanto per contraddire Washington, cosa che stabilisce una peculiare forma di dipendenza. Raúl Castro lancia una timida riforma migratoria e spiega che non è stato possibile fare di più perché siamo “una piazza assediata dall’Impero”. Non si può neanche concedere il permesso di legalizzare altri partiti perché “lo Zio Sam minaccia”, mentre l’accesso a Internet deve essere graduale e selettivo, perché “la guerra mediatica del Pentagono” non colpisca duro. Se analizziamo questa perenne rivalità, dovremo concludere che mai come adesso i destini dei cubani sono dipesi così tanto dagli Stati Uniti. Mai il nostro quotidiano è stato così soggetto a ciò che decide l’inquilino dell’ufficio ovale.

L’acerrimo discorso antimperialista del governo cubano ha finito per mordersi la coda. Per settimane, nei mezzi di comunicazione ufficiali si è parlato più dei comizi statunitensi che delle nostre elezioni per rinnovare il Potere Popolare. Chiamati a mettere in evidenza ogni elemento negativo delle presidenziali nordamericane, i commentatori televisivi hanno dimenticato la massima secondo cui “niente è più attraente delle cose proibite”. E così ogni aggettivo aggressivo, ogni burla, ogni diatriba contro Obama e Romney, hanno provocato un’insolita aspettativa intorno a questo primo martedì di novembre.

Tutto questo segnato, inoltre, dalla progressiva perdita d’importanza di Cuba nella politica degli Stati Uniti. La marcata irrilevanza di questa Isola è stata messa in evidenza da una campagna presidenziale che le ha dedicato scarsa attenzione. Sono ben lontani i giorni di quell’ottobre del 1962 quando i missili nucleari obbligarono il mondo a prestare attenzione alla maggiore delle Antille. Adesso lo sguardo di Obama è diretto verso altri paesi e diverse problematiche, durante il secondo mandato questa tendenza sarà ancora più evidente. In primo luogo dovrà occuparsi dei problemi di economia interna degli Stati Uniti e cercherà di mettere in sesto la situazione finanziaria. La crisi in Europa occuperà buona parte della sua attenzione e così la situazione di Iraq, Afghanistan, Iran e Siria.

Raúl Castro ha bisogno di tornare a guadagnare protagonismo nell’agenda del suo eterno nemico, perché quella è la base del suo potere. La sua politica dentro e fuori Cuba si basa su quella rivalità, senza non può esistere. Per questo motivo notiamo i primi i sintomi di una scalata diplomatica che obbligherà a una presa di posizione da parte del neoeletto presidente nordamericano. Si affila il linguaggio politico, si intensificano gli insulti, si cerca lo scontro frontale per fare in modo che il presidente reagisca. È il momento di cercare di diventare una delle priorità del vicino del Nord, costi quel che costi… anche se quella strategia non è più vincente.


Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

Yoani Sánchez: “Cuba mai così dipendente dagli Stati Uniti”

L’Avana preferisce la politica belligerante dei repubblicani e contrasta le aperture democratiche di Obama



“Il governo cubano dice che la rivoluzione ha trasformato Cuba in un paese sovrano, in realtà l’isola non è mai stata così dipendente dagli Stati Uniti come adesso”, ha dichiarato la blogger Yoani Sánchez al periodico digitale Global Post.


In una breve intervista rilasciata al giornale la nota attivista per i diritti umani ha aggiunto: “Quando la Casa Bianca dice sì, L’Avana dice no (...), se dice rosso, L’Avana dice verde (...), se dice est, L’Avana dice ovest (...), abbiamo l’ossessione di fare il contrario”. Sánchez ha sottolineato che ai cubani non è permesso di fare nessuna domanda sulle elezioni nel loro paese, perchè i comizi sull’isola non sono argomento di discussione. “Malgrado ciò - ha precisato - facciamo molta attenzione alle elezioni che si tengono negli altri paesi, come in Venezuela e negli Stati Uniti”. Secondo la blogger, il governo dell’Avana si sente più a suo agio con il discorso dei repubblicani, più aggressivo e belligerante. “Il governo (cubano) vive per lo scontro - ha detto -. Tutto si spiega meglio con lo scontro. Persino se non si trovano le patate al mercato, è colpa degli Stati Uniti”, ha detto. A suo giudizio “quando c’è un presidente repubblicano alla Casa Bianca, il gioco è perfetto”. Sánchez ha detto che il governo dell’Avana “combatte la disponibilità di Barack Obama, lotta contro i suoi ponti accademici e culturali (tesi verso l’isola) e contro la sua politica aperta, per esempio per quel che riguarda le rimesse di denaro da parte dei cubani residenti negli Stati Uniti”.


Gordiano Lupi

martedì 6 novembre 2012

Mai più una crisi d’ottobre


di Yoani Sanchez


Mia madre era soltanto una bambina di cinque anni che viveva in un quartiere di Centro Avana, mentre io ero appena un ovulo tra i tanti che sonnecchiavano nel suo ventre. In mezzo al trambusto quotidiano e ai primi sintomi delle mancanze che si cominciavano a notare nella società cubana, mia nonna non si rese conto di quanto fossimo vicini all’olocausto in quel mese di ottobre del 1962. La famiglia percepiva l’esasperazione, il trionfalismo e il nervosismo collettivo perché stava accadendo qualcosa di delicato, ma non poteva immaginare quanto fosse grave la situazione. Chi visse quel mese così crudele, fu al tempo stesso complice ed estraneo, disinformato e disposto al sacrificio, entusiasta e volgare.

La cosiddetta Crisi dei Missili, conosciuta all’interno di Cuba come Crisi di Ottobre, colpì in svariati modi diverse generazioni di cubani. Se alcuni ricordano il terrore del momento, ad altri restò la costante esasperazione della trincea, la maschera antigas, lo spavento di un allarme che poteva suonare a notte fonda, l’Isola che sprofondava nel mare come metafora di discorsi e temi musicali. Nessuno tornò alla normalità dopo quel mese di ottobre. Noi che non l’abbiamo vissuto sulla nostra pelle, in ogni caso abbiamo ereditato il suo malessere, la fragilità di trovarsi sospesi sull’orlo dell’abisso.

Una vignetta di Garrincha

Forse ciò che adesso richiama maggiormente la nostra attenzione è l’enorme capacità di decisione che ebbero alcuni individui su materie così importanti. Se in un momento di debolezza i sovietici avessero ceduto alla tentazione di lasciare il bottone rosso vicino al dito di Fidel Castro, come lui avrebbe desiderato, probabilmente nessuno avrebbe mai letto questo articolo. Non solo, questo articolo non sarebbe neppure esistito. Per fortuna, far decollare e posizionare un missile nucleare è operazione molto più complessa di quel che ci hanno fatto credere alcune pellicole catastrofiste. Soprattutto nel 1962, quando i comandi elettronici dovevano essere distribuiti in enormi e complicati contenitori metallici sistemati in cabine ermetiche.

Le parole d’ordine che in quei giorni venivano gridate nelle piazze cubane sarebbero mal viste secondo il senso comune che cerca di prevalere in questi primi anni del secolo XXI. Suonerebbero parecchio irrazionali, assurdamente sproporzionate… contrarie alla vita. Mentre le madri europee mettevano a letto i loro figli con il timore che avrebbe potuto non esserci un domani, sul lungomare avanero sfilavano comparse che ripetevano il ritornello “Se vengono restano”. Mentre in tutto il mondo si calcolava con pessimistica precisione quel che sarebbe andato perduto e ciò che sarebbe rimasto in piedi, in questa Isola si ripeteva fino allo sfinimento che eravamo disposti a scomparire “prima di accettare di essere schiavi di qualcuno”. Quando l’URSS decise di ritirare i missili, la gente irresponsabilmente canticchiava per strada: Nikita, mariquita, lo que se da no se quita (Nikita, frocetto, quel che si dà non si toglie, ndt).

Ancora Garrincha

Pochi giorni fa, lo stesso Fidel Castro ha ripreso quella puerile alterigia affermando in un suo articolo che “non chiederemo mai scusa a nessuno per quel che abbiamo fatto”. Le sue parole cercavano di dispensare gloria sull’atteggiamento intransigente del governo cubano durante quei giorni che sconvolsero il mondo. Adesso, ci resta almeno il sollievo che questo vecchio testone di 86 anni si trovi sempre più lontano dal bottone rosso in grado di scatenare il disastro. Ogni giorno ha sempre meno possibilità di influire sui destini mondiali. Avremo davanti a noi ancora molti mesi di ottobre, ma sono sicura che su questa Isola non sentiremo più parlare di una crisi dei missili.


Traduzione di Gordiano Lupi

venerdì 2 novembre 2012

Miguel Iturria non può lasciare Cuba

Miguel Iturria

Yoani Sanchez scrive su Twitter: "Autoridades cubanas niegan al periodista Miguel Iturria permiso para salir del pais. Su blog vocescubanas.com/anclainsular". Traduco: "Le autorità cubane negano al giornalista Miguel Iturria il permesso di uscita dal paese. Il suo blog vocescubanas.com/anclainsular".
Miguel Iturria (L'Avana, 1956), laureato in Storia, specializzato in Arte, Letteratura, Giornalismo ed Etnologia. Ha pubblicato diversi libri, risiede a Cuba, svolge attività di giornalista indipendente. Come volevasi dimostrare a Cuba non sta cambiando niente e la nuova legge migratoria non modificherà l'atteggiamento nei confronti delle persone non conformi alle idee governative.
Che tutto cambi, perchè niente cambi. Gattopardescamente.

Gordiano Lupi

giovedì 1 novembre 2012

Scoprire gli autoritari


dal Twitter di Yoani Sánchez

Fidel Castro, secondo Garrincha

Per scoprire un autoritario ditegli che il mondo è esistito prima di lui, che la patria era la patria prima che lui nascesse: non lo crederà. Per scoprire un autoritario potente ditegli che nonostante tutto amate, sorridete, giocate. Non gli farà per niente piacere. Apprendete a scoprire gli autoritari, perché accumulano potere, si proteggono con le leggi, hanno la capacità di annientare il diverso. Per scoprire un autoritario cercate di ricordare l’ultima volta che l’avete visto dibattere, accettare un errore, elogiare un avversario: MAI. Apprendete a scoprire gli autoritari perché possono trasformarsi in fanatici. Per scoprire un autoritario ditegli che in questo mondo c’è spazio per tutti e lui risponderà che c’è posto solo per lui e per i suoi simili. Per scoprire un autoritario ditegli che presto o tardi ci sarà un cambiamento e vedrete che gli uscirà schiuma dalla bocca, metterà subito mano alla cintura, alle armi. Per scoprire un autoritario offrite un abbraccio e lo trasformerà in schiaffo, insulto, indifferenza. Per scoprire un autoritario cubano ditegli che l’arcobaleno è composta da sette colori, lui negherà e sosterrà che è solo rosso e verde oliva. Per scoprire un autoritario basta che vi diciate preoccupati per le sorti della patria e lui verrà subito fuori per ritirarvi la nazionalità. Per scoprire un autoritario cubano basta analizzare il suo linguaggio. Dice tradimento, invece di pluralismo, usa il termine aggressione al posto di dibattito. Per scoprire un autoritario basta che gli proponiate di dialogare, fuggirà spaventato, sorpreso, e si nasconderà. Per scoprire un autoritario fate caso agli aggettivi che usa contro chi ha un pensiero non conformista, riveleranno i suoi demoni, le sue paure. Per scoprire un autoritario dovete solo notare la sua inclinazione all’insulto, la sua paura del dibattito e quella mano alzata pronta a colpire.

Traduzione di Gordiano Lupi

Mettere da parte l’orgoglio


di Yoani Sánchez – da El País (Blog Cuba libre)

Foto scattata da un telefono cellulare


L’uragano Sandy ha devastato la città di Santiago de Cuba, provocando gravi danni in diverse località della zona orientale del paese. Le immagini di distruzione parlano da sole, ma le macchine fotografiche riescono a catturare soltanto una piccola parte del dramma. La tragedia più grande scorre su un piano difficile da fotografare e da descrivere con le parole. Il peggio non può essere narrato. Si tratta di un mix di sentimenti che passano da tristezza e impotenza, dolore e disperazione, costernazione e paura. Migliaia di persone si sono svegliate una mattina in paesi distrutti, tra strade collassate e abitazioni prive di tetto, rendendosi conto che i venti si erano portati via buona parte delle loro vite, consapevoli che per recuperare quel che avevano non sarebbe bastato il resto della loro esistenza.

Sandy ha attraversato per cinque ore l’oriente cubano, distruggendo abitazioni, infrastrutture e oggetti. Serviranno anni per rimettere in sesto un tale sfacelo. Le perdite di vite umane sono stare l’aspetto più tragico, ma anche la natura ha sofferto abbastanza. Le intense raffiche di vento si sono scagliate su abitazioni deteriorate da decenni: la forza di un uragano di categoria due è caduta su una popolazione priva di riserve alimentari per affrontare i giorni di collasso che sono arrivati subito dopo. Come se la distruzione fosse stata poco, le inondazioni che ha provocato nella zona centrale del paese hanno reso più evidente il disastro agricolo, complicando le capacità di recupero della nazione. Cuba vive oggi una situazione di calamità, anche se il trionfalismo dei mezzi di comunicazione ufficiali cerca di sostituire il lamento con le parole d’ordine e la valutazione obiettiva con l’illusione.

Solo riconoscendo la gravità della situazione potremo trovare vere soluzioni. Il governo ha la grande responsabilità di affrontare con trasparenza e umiltà questa situazione di emergenza. In questi frangenti dobbiamo mettere da parte l’orgoglio e sollecitare aiuti da parte degli organismi internazionali che solitamente si occupano di queste tragedie. Noi cubani speriamo che le autorità facilitino l’ingresso della Croce Rossa Internazionale e altre organizzazioni umanitarie, per verificare le zone colpite e contribuire con risorse e solidarietà nei confronti di chi ha perduto quasi tutto. Le minacce di una nuova epidemia di colera e la possibile propagazione del dengue sono elementi che sottolineano quanto sia urgente prendere decisioni. Non è possibile attendere oltre.

Non è neppure raccomandabile continuare con le strutture centralizzate e verticali nella distribuzione degli aiuti. Esempi precedenti dimostrano che quando lo Stato vuole occuparsi di tutto, incluso la ripartizione di chiodi o la distribuzione di un po’ di zucchero, questi meccanismi sono rapidamente permeati dalla mancanza di controllo, dalla corruzione e dalla sottrazione di risorse, un problema costante nel nostro paese. Abbiamo già notizia che viene impedito ad attivisti e giornalisti indipendenti di raggiungere le zone colpite, perché il governo non vuole che sia raccontata in dettaglio la gravità degli eventi, né che si stabiliscano percorsi paralleli per far confluire gli aiuti. Dobbiamo ricordare che nessun partito può avere il monopolio della solidarietà e che non è questo il momento di fare politica né proselitismo sulle disgrazie di molti.

Durante questi ultimi anni sono nate diverse iniziative provenienti dalla rete civica, dall’esilio, dalla chiesa e da altri gruppi della società civile, per contribuire ad attenuare il dramma provocato dall’uragano Sandy nell’Oriente del paese. Un movimento di solidarietà ha coinvolto diversi cittadini che hanno stabilito punti di raccolta di prodotti essenziali nella capitale e in altre regioni del paese. Nessuna di queste iniziative è sotto l’egida di un partito politico né di un gruppo specifico, ma si basa sul sentimento umanitario e sul fatto che gli aiuti arrivano in maniera orizzontale. Alla fine di questa settimana, le risorse raccolte saranno trasferite verso Santiago de Cuba e là distribuite tramite Padre José Conrado - sacerdote della Chiesa di Santa Teresita di Santiago de Cuba - e altri attivisti della società civile. Saranno privilegiati i danneggiati più gravi e le zone più devastate.

Indico alcune cose importanti, per chi vive dentro o fuori del territorio nazionale.

Beni che si stanno cercando:

- Alimenti in scatola, latte in polvere, alimenti disidratati.

- Articoli di igiene personale (sapone, detergente, deodorante).

- Candele e batterie. Pigiami, asciugamani, indumenti intimi.

- Medicinali (analgesici, antidolorifici, sali idratanti, aspirine, vitamine, medicine contro la diarrea, creme per i dolori muscolari, ecc.).

- Pastiglie o gocce di cloro per disinfettare l’acqua,.

- Pannolini usa e getta e cuscinetti sanitari.


I luoghi dove inviare il materiale:

- Municipio Habana del Este: Barriada de Alamar: Edificio B-17 apto. 21 Zona 5. Alina Guzmán o Nilo Julián, tel: +5353862111

- Municipio Plaza: Factor no. 821, apto 14B entre Conill y Santa Ana. Yoani Sánchez y Reinaldo Escobar Tel: +5352708611 y +5352896812

- Municipio 10 de Octubre, La Víbora: Saco no. 457 apto 6 entre Carmen y Patrocinio. Esperanza Rodríguez y Wilfredo Vallín, tel: +5353149664

- Municipio Centro Habana: Sede delle Damas de Blanco, Calle Neptuno no. 963 entre Aramburu y Soledad. Berta Soler Tel: +5352906820

- Municipio Playa: Avenida 1ra no. 4606 entre 46 y 60, Miramar. Ailer González +5353233726

Per chi non vive sul territorio nazionale e vuole far arrivare aiuti, suggeriamo di comprare alimenti nei seguenti siti web:


Raccomandiamo di non comprare alimenti che abbiano bisogno di refrigerazione, né eccesiva cottura prima di essere ingeriti. L’invio si può fare a nome di una delle persone indicate prima e agli indirizzi menzionati, a qualunque amico o conoscente sull’Isola. Molte grazie in anticipo!

Traduzione di Gordiano Lupi