mercoledì 29 maggio 2013

Appunti su Virgilio Piñera - 2


Seconda e ultima puntata

I romanzi di Piñera

La carne di René raccoglie molti temi tipici di Piñera. René è il figlio di Ramón, leader di una cospirazione mondiale che vorrebbe sconfiggere il capo in carica di un imprecisato paese. La causa per cui i seguaci di Ramón si battono è il diritto di bere e mangiare cioccolato. René si trova - suo malgrado - a dover continuare la lotta di suo padre, per farlo deve dedicarsi al culto della sua carne, ma, paradossalmente, per questo motivo deve infliggere al corpo indicibili torture, deve allenarlo all’arte della sofferenza. René rifiuta il ruolo assegnato, non vuole soffrire in silenzio, si ribella a una lotta per una causa in cui non crede e che considera irrazionale. Vero e proprio anti - leader della causa della carne (o del cioccolato, che poi è lo stesso), detesta tutto ciò che è in relazione con il corpo, persino un possibile contatto sessuale con la signora Perez, la vicina che trova la carne di René (un ragazzo di 26 anni) molto appetitosa. René combatte le idee del padre e desidera conservare intatta la sua carne. A un certo punto Ramón viene assassinato per motivi politici e René deve prendere il suo posto. In un primo tempo si nasconde per evitare di assumere le responsabilità che ha ereditato, ma poi accetta il ruolo e il lettore si rende contro che la vita di René sarà dedicata al costante martirio del suo corpo, sino al momento del sacrificio finale. Il romanzo ci ricorda, nella maniera in cui tratta l’assurdo, Il processo di Kafka. L’assurdo di Piñera, come in altre opere, è di una logica sconcertante, pur restando assurdo. Una volta che la finzione è convenientemente stabilita dal narratore, quest’ultimo conduce il lettore alla scoperta di un mondo che è la realtà filtrata attraverso l’irrealtà inventata. La carne di René presenta una chiara allegoria: le persecuzioni di cui soffre il protagonista e che lo distraggono dalla volontà di fare una vita comune - vorrebbe essere normale, ricevere un’educazione, trovare un lavoro… - sono come incidenti inattesi nel corso di un’esistenza intrisi di conseguenze distruttive. Piñera sembra dire che la vita è una valle di lacrime e chi cerca di fuggire dai dolori dovrà pagare con la sua stessa carne. Secondo Piñera, il culto della carne si oppone alla libertà dello spirito umano, che non ha alcuna possibilità di salvezza, mentre la carne governa il mondo. L’uomo può solo abituare il corpo all’ultima rinuncia, alla distruzione definitiva, il cui proposito è quello di compiacere un Dio assurdo come il pezzo di cioccolato per cui combattono i personaggi del romanzo.
In Pequeñas maniobras, il protagonista si nasconde non da un gruppo o partito politico, ma dai suoi stessi amici che pretenderebbero da lui una vita più attiva. Per sfuggire ai persecutori, il protagonista cambia continuamente casa e lavoro. Ogni occupazione è più umiliante della precedente. Finisce per guadagnarsi da vivere impiegandosi in una società di spiritisti. Presiones y diamantes presenta una società dove i beni materiali perdono valore, mentre cospirazioni segrete organizzate da un governo misterioso cominciano a dirigere la vita di tutti, eccetto quella del ribelle protagonista. In questo clima di repressione - o meglio di pressioni imposte da un oppressore - le persone smettono di parlare tra loro e arrivano a nascondersi per evitare gli altri. Il desiderio di isolarsi è tale che molti cominciano a sottomettersi a un nuovo sistema temporale di congelamento: la morte in vita che permette di liberarsi dalle “pressioni” senza dover ricorrere al suicidio. Alla fine tutti gli abitanti della città scompaiono senza che gli scienziati di altri paesi riescano a scoprire che cosa sia accaduto. Come nei due romanzi precedenti, l’uomo è invariabilmente perseguitato da forze di cui ignora l’origine, ma che in ogni caso finiscono per dominare la sua vita. Il protagonista inizialmente non si lascia intimidire, ma alla fine cade in trappola, perché tutti quelli che lo circondano fanno parte di una cospirazione che finisce per coinvolgerlo, qualunque cosa faccia, ovunque si nasconda. Il protagonista non può lottare da solo contro il resto del mondo: il suo destino è quello di soccombere, come tutti.

La narrativa breve

I racconti di Piñera seguono la stessa direzione dei tre romanzi: il comune denominatore è un marcato scetticismo che prende la forma di una perversa ingenuità e di una sorridente ironia. Le esagerazioni macabre impressionano il lettore più per il lato ridicolo che per l’aspetto orrorifico. I racconti di Piñera, come tema di fondo, ricordano gli scheletri giocherelloni del pittore messicano José Guadalupe Posada. Gli elementi di narrativa dell’assurdo che caratterizzano i romanzi sono presenti anche nella narrativa breve e pure qui - una volta che si è stabilita la situazione surreale - il lettore viene preso per mano e condotto verso la speculazione metafisica. Il tono che prevale - come accade in molte opere di Ionesco e Beckett - è quello di un’ineluttabile fatalità. La morte come fenomeno, o l’esistenza di una vita ultraterrena, sono trattati da Piñera in modo singolare.
Nel racconto En el insomnio, un uomo che non può dormire, dopo aver provato ogni rimedio possibile, finisce per farsi saltare il cervello sparandosi con un colpo di revolver. Piñera conclude che l’uomo è morto ma che non è riuscito ad addormentarsi e che l’insonnia - interpretabile come metafora della sofferenza umana - è davvero persistente. El infierno rivela la rara qualità dello scrittore di non ambire a un modus vivendi più prospero. Piñera vuol dimostrare che l’uomo è un essere capace di adattarsi alle sofferenze più grandi e persino al dolore fisico. Dopo una lunga permanenza all’inferno (il racconto è narrato da un io collettivo mediante l’uso della prima persona plurale) arriva il giorno in cui ci viene concesso di lasciarlo, ma finiamo per rifiutare l’offerta perché non è possibile abbandonare una “piacevole abitudine”. Il racconto rivela l’idea che Piñera ha dell’eternità, non come possibile Paradiso, ma come inevitabile Inferno. Molti racconti abbondano di “umorismo nero” a base di mutilazioni, occhi strappati, lingue tagliate e membra divelte. Basti citare, tra i tanti: Las partes, La carne, La caída, El cambio, Como viví y como morí (la storia di un uomo che teme i contatti con il resto del mondo e finisce per rinchiudersi in una stanza piena di scarafaggi, embrione del romanzo Pequeñas maniobras). Il racconto ricorda La metamorfosi di Kafka, perché alla fine, quando le autorità irrompono nella stanza, trovano un gigantesco scarafaggio, “lo scarafaggio più grande sulla faccia della terra”. La circostanza sociale, l’impossibilità di guadagnarsi la vita come scrittore indipendente (da politica e mercantilismo), senza dubbio, sono elementi imprescindibili dell’arte di Piñera. L’artista, lo scrittore disposto a lavorare in mezzo a una manifesta indigenza intellettuale e spirituale, finirà per sentirsi “scarafaggio”, come il personaggio del racconto. La visione dell’autore, pessimista, disincantata, che mostra dietro ogni cosa, ogni gesto, ogni istituzione, il vuoto, deve molto a quella società indifferente ed edonista in cui si è formato, come a una certa naturale tendenza a prendere le distanze, a mettere le cose al loro posto, ad analizzare e ad auto analizzarsi.

Il teatro di Piñera

La produzione drammatica di Piñera è il tipico “teatro dell’assurdo”, a parte la già citata Electra Garrigó e, fino a un certo punto, Aire frío. Dobbiamo subito sgombrare il campo da un possibile errore di interpretazione: Piñera non è un imitatore. Prendiamo Jesús, opera magistrale in cui l’autore si mostra come un talentuoso drammaturgo, indipendente da scuole letterarie e da precise influenze. La pièce è scritta molti anni prima che a Cuba si conosca Ionesco, così come Falsa alarma. Quando Piñera conosce Ionesco - il suo doppio europeo - apprezza le similitudini di stile, ma non può fare a meno di seguire i suoi passi.
Vediamo in rapida sintesi alcune opere teatrali di Piñera.
Jesús racconta le vicissitudini di un barbiere, figlio di María e José, scambiato per un nuovo Messia capace di compiere miracoli. Jesús cerca di chiarire la sua posizione, assume il ruolo di anti - Messia, imita il vero Jesús, lo mette in ridicolo cambiando burlescamente frasi evangeliche o fatti narrati nelle Sacre Scritture. Alcuni esempi. Invece di resuscitare Lazzaro, Jesús vede un cane morto e subito dopo afferma: “Questo cane è morto, e morto resterà!”. Quando qualcuno gli dà uno schiaffo, non porge l’altra guancia come Cristo, ma restituisce il ceffone. Durante una simbolica “ultima cena”, prima di essere assassinato, Jesús brinda alla “morte eterna”.
Falsa alarma presenta un omicida, un giudice e la vedova dell’uomo che è stato assassinato. L’assurda conversazione tra il giudice e la vedova occupa quasi tutta la pièce. Alla fine i due se ne vanno e il criminale resta in scena, in sospeso, con il peso sulla coscienza di dover decidere da solo sulla propria colpevolezza. Il sipario cala mentre l’assassino, condotto alla follia per la scomparsa degli altri due personaggi, balla sulle note del Danubio Blu.
La boda è la storia di una coppia prossima al matrimonio che rompe la promessa quando la ragazza sente il fidanzato confidare a un amico che lei ha i seni cadenti. La pièce è una divertente e giocosa ricostruzione dei fatti. Va da sé che il difetto di Flora (la donna) dà vita ai dialoghi più paradossali.
El flaco y el gordo si svolge in un stanza di ospedale, dove un magro (flaco), povero e oppresso da un ricco grasso (gordo), per vendicarsi delle torture alle quali quest’ultimo lo sottomette, se lo mangia e così facendo si trasforma in un nuovo grasso. Il magro diventato grasso prende posto nel letto del grasso appena divorato. Il letto vuoto dell’ex magro, intanto, è occupato da un nuovo magro. Il ciclo ricomincia.
El filantropo analizza ancora una volta il tema del potente che opprime il debole. Coco, il protagonista, un consumato misantropo, si diverte ad assumere gente che svolga i compiti più degradanti: scrivere centinaia di volte frasi senza senso, mettersi a quattro zampe e abbaiare come cani.
Aire frío è la pièce più razionale di Piñera. Vediamo la famiglia Romaguera - padre, madre, figlia e due figli - in diversi periodi della storia cubana contemporanea. Il desiderio di Luz Marina, la figlia, di possedere un ventilatore elettrico è il leitmotiv che concatena le diverse scene. La famiglia non supera mai la crisi economica. Oscar, proprio come Piñera, emigra in Argentina. Alla fine Enrique, il fratello maggiore, che gode di un certo benessere, regala alla famiglia un ventilatore usato. L’aria fredda (aire frío) simboleggia le cose alle quali i Romaguera non possono assolutamente aspirare. Nel soffocante calore tropicale, ottengono solo l’aria tiepida che adesso circola nella stanza grazie a un ventilatore usato ottenuto per un atto di carità.
Estudio en blanco y negro è un breve dialogo che vede protagonisti due uomini che discutono in un parco, indicando la loro preferenza sul colore bianco o nero. Una giovane coppia, che si trova vicino, viene coinvolta nella discussione e giunge al punto di rompere il fidanzamento. Finalmente entra in scena un personaggio insolito - come tutti gli altri - che grida la parola giallo. L’assurdo è il tema dominante: bianco, nero o giallo sono, per loro natura, identici alla causa del cioccolato (La carne di René) per la quale lottano e si uccidono gli uomini.

Una scatola da scarpe vuota

Una caja de zapatos vacía è un gioco drammatico che rappresenta un rituale in tre parti: la tortura, l’interrogatorio e l’immolazione. Nel primo atto, Carlos prende a pedate un’insignificante e indifesa scatola da scarpe vuota, dopo interroga Berta, perché non può interpellare una scatola inanimata, infine distrugge la scatola come se stesse compiendo un’esecuzione. Il gioco non è un mero passatempo, ma il modo di addestrarsi nei meccanismi della crudeltà che a Carlos, nel secondo atto (dove incarna la scatola di cartone), toccherà subire. Perché Carlos, prima torturatore, inquisitore, capo tirannico ed esecutore della scatola, si trasformerà nella vittima che nel secondo atto dovrà sopportare le pedate di un nuovo capo, Angelito, personificazione del tiranno oppressore. I personaggi che ne El flaco y el gordo sono meri simboli del debole politicamente oppresso che si ribella al despota per poi prenderne il posto, si presentano in modo più realistico. Il secondo atto fa parte dell’artificio, fin quasi al finale della pièce, quando le risorse che hanno guidato i personaggi per controllare le regole del gioco, cominciano a mancare e gli stessi sembrano cadere in mano di forze soprannaturali che decidono il destino. Le pedate e le vessazioni di cui Carlos è oggetto si propongono di abituarlo alle sofferenze e alle torture che prima o poi arriveranno nella società dispotica in cui vive. A ben vedere, come in tutta l’opera di Piñera, tra morti, mutilazioni, sofferenze e ostracismo, quel che davvero conta è l’insistente riaffermazione della propria vita. Qui, come in Dos viejos pánicos, i giochi che hanno per tema la morte si prefiggono solo di scacciarla, ridurla a una circostanza casuale che non dovrà spaventare quando arriverà il momento. Virgilio Piñera passa in rassegna tutte le possibilità dolorose nella mente dei suoi personaggi affinché la sofferenza di vivere e la fine della vita, ormai esperimentate molte volte, non finiscano per sorprendere. Il finale di Una scatola da scarpe vuota è molto diverso rispetto a quello di altre opere di Piñera. Nella pièce, il coro, che obbedisce sempre al più forte, al capo, con un imprevedibile cambio di prospettiva, ignora i comandi di Angelito e acclama Carlos, che, dopo essere morto simbolicamente per mano del primo, rinasce tra le gambe di Berta. Carlos, alla fine, sventola una camicia rossa, simbolo del trionfo dei deboli sui forti. In ogni caso guadagna la libertà (o il potere) ma non vince la codardia.
Il lettore, o lo spettatore, distratto, che non faccia attenzione agli abbondanti commenti filosofico - morali del secondo atto, non capirà fino in fondo il motivo per cui gli dei (rappresentati dal coro) prendano posizione e favoriscano Carlos, anche se non è riuscito a vincere la paura che lo domina. La pièce sembra avere un finale arbitrario, ingiustificato, ma per comprendere l’epilogo dobbiamo considerare che la rinascita di Carlos, il suo impegno per imporsi e vincere la morte, è un glorioso atto di follia.

Angelito: Adesso più che morto è pazzo. Dovremo spedirlo all’ospedale dei dementi dell’inferno.

Berta: Se è pazzo può fare qualcosa. Solo impazzendo si possono fare grandi cose.

Solo così l’esorcismo funziona. Ormai in preda alla follia, l’uomo si getta senza timore nella battaglia per la libertà. Certo, può essere sconfitto, ma almeno ha una possibilità di vittoria, che non lottando, non avrebbe. Carlos, come el flaco de El flaco y el gordo, lotta per raggiungere una vita migliore, e in un attacco di follia si ribella e trionfa. Il trionfo è la sola cosa che conta, non il modo in cui si ottiene. Una nota positiva che giunge a conclusione di un corpus teatrale importante redatto da Piñera.
Diciamo, en passant, che Dos viejos pánicos, Estudio en blanco y negro e Una caja de zapatos vacía, tutte scritte dopo il trionfo della Rivoluzione Cubana, portano avanti la poetica del teatro dell’assurdo. La Rivoluzione non cambia gli argomenti fondamentali di Piñera, né il senso profondo della sua opera. Va da sé che il suo messaggio non può avere interesse per il nuovo regime cubano, per le sue implicazioni politiche e perché gli obiettivi centrali dello scrittore non sono finalizzati a demonizzare la vecchia realtà dell’Isola, né a propugnare la redenzione dell’uomo, secondo le richieste di Fidel Castro agli scrittori cubani nelle Parole agli intellettuali del 1961. L’opera di Piñera per molti anni viene studiata più fuori di Cuba che all’interno dell’Isola. In ogni caso molti narratori e drammaturghi sono influenzati dalla produzione di Virgilio, al punto che la sua opera crea una vera e propria scuola che i giovani scrittori cubani continuano a seguire. Nel centenario della nascita (1912 - 2012), Cuba proclama l’anno piñerano, caratterizzato da ristampe, recuperi, studi critici, approfondimenti, convegni e rappresentazioni di opere teatrali mai messe in scena. Encomiabile, non c’è che dire, anche se pare evidente il tentativo maldestro di appropriarsi post mortem di uno scrittore scomodo che in vita non si adatta a vestire i panni del poeta cortigiano. La regola tracciata dalla frase di Fidel - Dentro de la Revolución todo; contra la Revolución nada - non fa per lui. Gli scrittori servono alle dittature solo quando possono manipolarne il pensiero.

Gordiano Lupi

Yoani incontra Lech Walesa


Nelle foto pubblicate registriamo un momento storico: Yoani Sánchez incontra Lech Walesa, in Polonia, a Varsavia, ultima tappa del suo giro del mondo in 80 giorni. Adesso posso rivelare un'impressione che ho avuto nel corso dei tre giorni che ho passato accanto a Yoani, in Italia. Lo scrivo, perché non riesco a tacere oltre. Yoani Sanchez non ha riportato un'impressione positiva della sua visita italiana. Ovunque è stata ricevuta da personalità internazionali, ministri, parlamenti in seduta comune, politici eminenti. In Italia è stata accolta da venti deficienti con le bandiere rosse durante il Festival del Giornalismo di Perugia, manifestazione di per sé contraddittoria, visto che lo scorso anno aveva ospitato Gianni Minà e quest'anno un certo Carotenuto. Ci mancava che invitassero Salim Lamrani ed eravamo tutti.


Ricordo che lo scorso anno invitarono anche me a parlare, insieme ad Amnesty Internacional. Rifiutai sdegnosamente quando seppi che era ospite Gianni Minà. A parte questo, dopo la indegna gazzarra di Perugia, i nostri politici non hanno fato come in Brasile, non sono corsi ai ripari, invitando l'ospite internazionale per scusarsi. Niente di tutto questo. La contestazione ha prodotto solo curiosità e una ridda di ridicoli giornalisti affamati di interviste che hanno costretto Yoani a ripetere per cento volte le stesse cose. A Torino c'è stato il ricevimento privato da Piero Fassino, ma informale, per accoglierla come ospite della città, come giornalista de La Stampa in visita. Niente di più. In compenso la sera, al Circolo dei Lettori, non sono mancati gli idioti foraggiati dall'ambasciata cubana a gridare: gusana, mercenaria, traditrice... Infine Monza: lo squallore di un teatro immenso con quattro gatti a sentirla, ma tra questi tanti comunisti alle porte con le bandiere rosse bene in vista e diversi guastatori in sala a sostenere il governo. E i giornalisti lombardi? Meglio stendere un pietoso velo. Yoani se n'è andata dall'Italia con una pessima opinione del nostro paese. Possiamo darle torto? Con tutta la buona volontà, non riusciamo a farlo.


 
Gordiano Lupi

martedì 28 maggio 2013

Appunti su Virgilio Piñera - 1

Note biografiche
Virgilio Piñera (Cardenas, Cuba, 4 agosto 1912 - L’Avana, 19 ottobre 1979), figlio di Juan Manuel Piñera, ingegnere ferroviario, e di María Cristina Llera, maestra. La famiglia vive a Camagüey dal 1924 al 1940, dove il ragazzo segue gli studi liceali. Dal 1937 al 1941 frequenta la facoltà di lettere e filosofia dell’Università dell’Avana, si laurea con una tesi sulla poesia di Gertrudis Gómez De Avellaneda, uno straordinario studio critico. Virgilio è un individualista ribelle, magro, povero, persino eccentrico, se si vuole, vive per tutta la vita in una situazione di instabilità economica, senza un impiego fisso, incapace di scindersi dalla sua stessa opera e dai suoi conflitti interiori. Indigente al punto di dipendere dalla carità di parenti e amici, ma così orgoglioso da non scendere mai a compromessi con il suo modo essere scrittore. In gioventù si unisce al gruppo della rivista Origines, diretta da José Lezama Lima. Pubblica il primo libro nel 1941 - Las furias - una raccolta di poesie. Ha già scritto due opere teatrali: Clamor en el penal e En esa helada zona, inedite quando l’autore era in vita e - pare - mai rappresentate. Nel 1943 esce La isla en peso, una lunga opera poetica che adesso dà il titolo alla raccolta completa delle sue poesie, uscita postuma, che ho tradotto in italiano per Il Foglio Letterario (scaricabile gratis su Amazon come e-book intitolato Il peso di un’isola). Nello stesso anno termina Electra Garrigó, una delle opere teatrali più note e di maggior successo. Nel 1944 esce Poesía y Prosa, un quaderno di poesie e racconti. Nel 1948 termina le opere teatrali Jesús e Falsa alarma. Nel 1950, Piñera, frustrato per la paralisi letteraria del paese, decide di emigrare in Argentina, dove, nel 1953, esce, per Ediciones Siglo Veinte di Buenos Aires, il suo primo romanzo: La carne di René (unico lavoro di narrativa edito in Italia, ma ormai introvabile). Nel 1954 torna a Cuba per un anno, per poi rientrare a Buenos Aires. Segretario della rivista letteraria Ciclón, fondata dal suo vecchio amico e mecenate José Rodríguez Feo. Nel 1956 esce, per Editorial Losada di Buenos Aires, Cuentos fríos, una delle sue opere fondamentali, apprezzata anche da Jorge Luis Borges. Alla fine del 1956, Piñera torna a Cuba per rimanerci tutta la vita. Durante il periodo rivoluzionario, cominciato nel 1959, Piñera lavora al giornale Revolución (presto chiuso per problemi politici) e dirige per diversi anni le Ediciones Erre. Rivoluzionario entusiasta, come si può leggere nel prologo al suo Teatro completo (1960), il suo ardore si raffredda nel 1961, quando viene arrestato a Guanabo (località marina nei pressi dell’Avana) per ragioni politico - morali. Il secondo evento negativo è di portata più vasta e determina il futuro di tutti gli scrittori cubani quando Fidel Castro, nel corso delle tristemente note Parole agli intellettuali, avverte scrittori e artisti. “All’interno della Rivoluzione tutto è ammesso. Contro la Rivoluzione niente”. Secondo questo motto, in realtà, tutto ciò che non fa parte della Rivoluzione deve considerarsi, inevitabilmente, contro. La letteratura fuori dalla Rivoluzione deve considerarsi proscritta. Virgilio ascolta le parole di Castro nella sala della Biblioteca Nazionale, a un certo punto si alza e dice: “Io ho paura. Molta paura”. Poi siede nuovamente. La sua paura non è infondata perché negli anni Settanta cadrà in definitiva disgrazia con il regime.
La prima opera di narrativa di Piñera, La carne di René, ha come protagonista una persona pervasa dalla “paura di soffrire”. I personaggi drammatici di Dos viejos panícos (premiato da La Casa de Las Americas nel 1968) hanno paura di morire. Il loro timore è così grande da spingerli a giocare alla morte per esorcizzare il terrore di soccombere. Una scatola da scarpe vuota presenta una tematica simile. Piñera ha trascorso tutta l’esistenza in una situazione di paura perpetua che paradossalmente gli è servita da stimolo, infatti dal 1961 al 1970 scrive molte opere nuove, traduce e pubblica saggi critici. Pequeñas maniobras è un romanzo del 1963, Cuentos esce nel 1964, il romanzo Presiones y diamantes nel 1967, l’opera teatrale Estudio en blanco y negro nel 1970 (nel volume Teatro breve ispanoamericano). Alla sua morte, avvenuta il 19 ottobre 1979, per un repentino arresto cardiaco, Virgilio lascia molte altre opere complete, per lo più inedite, la maggior parte delle quali perdute irrimediabilmente. Piñera passa molto tempo riscrivendo La carne di René e perfeziona alcune opere teatrali. Titoli: El no, La niña querida, Siempre se olvida algo e altre ancora. Molte le poesie inedite, adesso uscite ne La isla en peso, curato dal fedele amico Antón Arrufat, un’opera drammatica in versi come Un arropamiento sartorial en la caverna platonica e Una scatola da scarpe vuota, giunta nelle mani di Luis F. Gonzáles Cruz, a Miami, nel 1968.
Temi e motivi dell’opera di Piñera
L’opera di Piñera è estremamente coerente. Dalle prime poesie fino all’ultimo lavoro teatrale pubblicato si nota una marcata regolarità di stile e di temi letterari. Il motivo dominante in Piñera è la vita, vista come un susseguirsi ineluttabile di terribili traumi. Lo scrittore afferma che il percorso umano non porta a raggiungere una forma superiore di esistenza, ma è solo un percorso di dolore e miseria. Nell’opera di Piñera l’individuo segue sempre un impulso suicida, a suo modo salvifico, optando per alienazione e degradazione. Piñera crea una narrativa dell’assurdo dai risvolti fantastici ricca di sarcasmo e di umorismo nero. Tra le sue opere soltanto due possono definirsi moderate o atipiche. Electra Garrigó, basata sul mito greco classico, e Aire frío, ritratto più o meno realista basato sulla vita della sua famiglia. Piñera aborrisce ogni tipo di manierismo, in narrativa presenta uno stile scarno, scevro da barocchismi. La sua poesia è semplice e colloquiale, sia come linguaggio che come struttura. La sua espressione letteraria preferita è il teatro, ma anche i suoi racconti sono potenti, perché Piñera è dotato di grande immaginazione ed è capace in poche partole di ripulire lo stile e di metterlo al servizio esclusivo della narrazione. A Piñera non interessano minimamente i virtuosismi stilistici, ma è il racconto, l’esposizione dei fatti, la metafora surreale, il suo scopo principale. La sua tecnica funziona meno nei romanzi, soprattutto ne La carne di René, opera molto immaginifica, ma scritta con abbondanza di ripetizioni e con stile poco coinvolgente. Piñera riscrive il romanzo giovanile negli ultimi anni della sua vita, forse consapevole di una perfettibilità, anche alla luce dei migliori risultati raggiunti con i romanzi successivi. 
Fine della Prima Puntata
Gordiano Lupi

giovedì 23 maggio 2013

Le avventure del Che secondo Garrincha


Contrariato perché Fidel non voleva raccontare la verità di quando si conobbero in casa di Maria Antonia, il comandante Guevara lancia la sua maledizione: - Avrò una figlia, la chiamerò Aleida e sarà più sanguinaria di me.  


Guevara invidiava la capigliatura di Camilo Cienfuegos. Una volta sequestrò lo stilista di Cienfuegos per vendicarsi, però...


Una possibile causa dell'insuccesso dell'avventura africana di Guevara: Pretendeva sempre che mettessero nei suoi martini una patata invece che un'oliva.



Una tesi sull'origine della frase: Fino alla vittoria sempre.
- Ti lascio. Ho scoperto l'amore.
Si chiama Vittoria ed è più rivoluzionaria di te.


Debutto de "La violetera".
Giungla boliviana.

Autore: Garrincha - Le avventure comiche del Che
Traduzione Gordiano Lupi

La FAO e Cuba



di Omar Santana
- Adesso la FAO invita a mangiare vermi per ridurre la fame
 - A Cuba è parecchio tempo che grazie ai "vermi" si riduce la fame.
Per capire la vignetta bisogna tener presente che i cubani espatriati (per motivi economici o politici) vengono definiti vermi (gusanos) dalla propaganda ufficiale. In ogni caso - come fa capire Omar Santana - è grazie alle rimesse dei cubani residenti all'estero che la popolazione residente a Cuba riesce a sopravvivere.
Gordiano Lupi

Yoani Sánchez ricevuta dal Ministro degli Esteri svedese



Gli attivisti cubani che partecipano al Freedom Forum di Stoccolma hanno avuto la possibilità di condividere esperienze con colleghi di tutto il mondo sul tema della libertà e della sicuerezza nell’era di Internet. La blogger Yoani Sánchez è stata ricevuta da Carl Bildt, Ministro degli Esteri svedese, che ha definito il colloquio come “un grande incontro”. Bildt ha definito l’autrice di Generación Y come "una donna coraggiosa che combatte in prima linea per la libertà di Cuba”. Domani, Yoani parteciperà a un dibattito sul progreso della libertà di Internet per lo sviluppo globale. Incontri di alto livello attendono la blogger: Gunilla Carlsson, Ministro svedese della Cooperazione Internazionale; Sang-yirl Nam, Istituto per lo sviluppo dell’informazione in Corea (KISDI); Andrew Wyckoff; Carlos Affonso Souza, Vice-Coordinatore del Centro per la Tecnologia e la Società (CTS/FGV)e Sylvie Coudray, capo sezione per la Libertà di Espressione dell’UNESCO.

venerdì 3 maggio 2013

Tre giorni con Yoani


Dargys (mia moglie), Yoani, Laura (mia figlia), io

Yoani Sánchez sbarca in Italia. Finalmente. Dopo tanta attesa, la nostra piccola Godot tropicale arriva all’aeroporto di Fiumicino per cominciare una tre giorni italiana che parte in salita con un ritardo del volo Milano - Roma. Yoani proviene da La Coruña, ha partecipato a un evento sui diritti umani alla Isla del Pensamiento, luogo simbolico dove Franco rinchiudeva i prigionieri politici.

Io e Yoani

Non mi sento un cronista, d’altra parte è giusto così, perché non lo sono, nessuno mi ha insegnato a dare notizie in maniera impersonale. L’emozione di vedere Yoani dal vero è forte, dopo anni di condivisione telematica e di traduzioni en la distancia. Pierantonio Micciarelli, ottimo regista e grande amico del popolo cubano, autore del film Soy la otra Cuba, sembra un bambino in attesa del grande evento. Proprio come me. Proprio come mia moglie. Soltanto mia figlia Laura non comprende che stiamo vivendo la storia, forse con la esse minuscola, ma pur sempre storia. Yoani è come l’avevamo immaginata: solare, sorridente, lunghi capelli sciolti, abito primaverile, nonostante il clima fresco, persino piovigginoso. Abbracci, baci, strette di mano, non servono troppe parole per esprimere condivisione. Sentimenti reciproci. Sentimenti importanti. Cuba e il suo destino ci uniscono, siamo lontani anni luce da chi esalta Chávez e Maduro, Abel Prieto e Raúl Castro.

Presentazione al Circolo dei Lettori

Il programma italiano di Yoani è intenso. Si comincia da Perugia. Il Festival del giornalismo sposta alle nove di sera la sua conferenza - intervista con Mario Calabresi, ma non può evitare la contestazione di un gruppo di deficienti, perché tali sono, non trovo parole migliori per definire i protagonisti di una gazzarra indegna. Lei non si scompone: “Un paese dove si può gridare che non esiste libertà di espressione è un paese dove esiste libertà di espressione”, afferma. “Vorrei che certe contestazioni potessero avere luogo anche a Cuba, mentre da noi non è concesso neppure aprire un giornale indipendente o partecipare a un dibattito televisivo”, continua. E finisce alla grande, trionfatrice del Festival del giornalismo, vedette capace di riempire la Sala de’ Notari fino all’inverosimile e di conquistare il cuore dei giovani. Yoani parla di social network, twitter, sms lanciati come grido di libertà, utopie imposte, voglia di cambiamento. “Raúl Castro è sulla strada giusta, ma le riforme devono essere più rapide e incisive. Non possiamo attendere oltre”, conclude.

Yoani, Pierantonio Micciarelli, Laura e Gordiano Lupi

I cubani partecipano all’evento, questa è una bella novità, attendono che la blogger esca dalla sala, si fanno firmare le copie del mio libro, cosa che accadrà sempre. Sì, perché “Yoani Sánchez. In attesa della primavera” (Anordest Edizioni) è un mio libro che raccoglie vita e pensieri della blogger, ma nessuno mi chiede di autografarlo. Tutti vogliono lei. Come è giusto che sia. Non sono per niente invidioso. Collaboro al progetto di Yoani da quando è nato e continuerò a farlo.

Io e Yoani a La Stampa

A cena Yoani ci sorprende. Beve vino rosso (in buona quantità), per riscaldarsi, dice, ma solo quando è in Europa. Termina il pranzo bevendo tè, insolito per un cubano. Mi ricorda Cabrera Infante: “Il caffè è la bevanda dei selvaggi. Il tè dei popoli civilizzati”. Grande Cabrera Infante, un avanero diventato londinese. Yoani, invece, è cittadina del mondo. Ma Cuba le manca, soprattutto la famiglia lontana, il marito Reinaldo, il figlio Teo che cita in continuazione. “Che cubana strana! Vero? Beve vino rosso e tè…”, sorride.

La Stampa. Yoani, Dargys e Lupi

Il giorno dopo facciamo un viaggio interminabile sulla mia vecchia Ford Escort. Ho pure la frizione un po’ scassata. Speriamo bene. Yoani prova a riposarsi, dormicchia con la benda nera sugli occhi, racconta di Cuba. Perugia - Torino sono quasi sei ore di auto, ma passano in fretta. Nella città della Mole, il sindaco Fassino riceve la blogger con tutti gli onori, quasi come un capo di Stato, parlando uno spagnolo forbito ed elegante. Un tipo in gamba Fassino. Per me guadagna parecchi punti. Prendiamo il caffè con la giunta comunale, mentre il sindaco racconta che trent’anni prima è stato a Cuba da Fidel Castro. Yoani visita La Stampa, il suo giornale italiano. Anna Masera l’accompagna in redazione e realizza un’intervista per la giornata dei diritti umani, anche se il direttore è assente e per le stanze del periodico aleggia la triste notizia del rapimento di Domenico Quirico. Serata di gala al Circolo dei Lettori. Si presenta ancora una volta il libro, Yoani firma copie su copie, riceve compatrioti, ha una buona parola per tutti. Non si risparmia. Qualche ora prima i giornalisti l’hanno massacrata d’interviste, ma lei non dà segni di stanchezza. Va persino a Linea Notte del TG3, saltando la cena, fa un figurone rispondendo a domande su Cuba senza esitare un istante, con precisione. Che forza. Che tempra…

Yoani e Lupi a La Stampa

Terzo giorno. È la volta di Monza. Visita al Cittadino, dopo un pranzo tipico a base di polenta, ossobuco, brasato e vino rosso, poco cubano, ma ugualmente gradito. Yoani mi lascia il compito ingrato di litigare con la stampa, non è colpa sua, deve riposare e terminare Signor Campidoglio, il post che ha iniziato nella mia auto, con il portatile in braccio. “Non ce la farei mai a fare la sua vita”, mi dico. “M’incazzo con L’Eco di Bergamo. Tu pensa dover subire un atto di ripudio”, penso. Rammento che poco prima, davanti a un bicchiere di vino rosso, Yoani ha detto una cosa importante: “La Rivoluzione Cubana è morta. Resta solo da stabilire quando. Reinaldo dice dal giorno in cui Fidel approvò l’invasione sovietica in Ungheria. Mia madre cita la fucilazione del generale Ochoa. Altri dicono che il colpo finale l’ha avuto con le fughe del Mariel. Mio padre indica la Primavera Nera del 2003, con gli arresti dei 75 dissidenti e la fucilazione di tre ragazzi dopo il sequestro di un rimorchiatore. Infine c’è chi la fa morire con la caduta del muro di Berlino e con l’inizio del Periodo Speciale. Una cosa è certa: la Rivoluzione è morta. Ha esaurito i suoi effetti propulsivi. È rimasto soltanto un regime dittatoriale”.

Circolo dei Lettori. Yoani, Lupi, prof. Tricarico (Anordest)

Mentre ripenso a quelle parole spiego ai giornalisti come ho conosciuto Yoani, cerco di trasmettere il mio entusiasmo per le cose che scrive, per uno stile letterario che è una sfida rendere in un buon italiano. Faccio la stessa cosa con il pubblico del Teatro Manzoni, dove la contestazione resta fuori, espressa con civiltà e rispetto delle altrui opinioni. Pure a Monza ci sono cubani, venuti a sostenere Yoani, ma non manca la figura dell’infiltrato che qualcuno ha spedito a gridare slogan sorpassati dalla storia. Yoani non si scompone, contrappone la logica dei diritti umani e della libertà, a parole urlate ed espressioni sopra le righe.

La Stampa. Yoani, Lupi, Laura.

Sono le sette di sera quando ci saluta e parte alla volta di Ginevra per continuare il suo giro del mondo in ottanta giorni, lasciandoci tutti un po’ più soli, a meditare su parole e futuro. Il regista Micciarelli completa l’operazione nostalgia, per noi che non possiamo rivedere Cuba, macchiati del peccato originale, amici di yankees e vendipatria che osano criticare la Rivoluzione. Le immagini languide, i piani sequenza sul lungomare dell’Avana e le note di vecchi boleri ci portano indietro negli anni. Eravamo più giovani e persino idealisti. Ci credevamo. Ma abbiamo strappato una tessera conservando il volto d’una ragazza. Addio Paradiso perduto. Voglio rivederti libero, prima che sia notte.


Il libro: "In attesa della primavera"

 
Gordiano Lupi, 3 maggio 2013