di Chiara
De Luca
Samuele Editore – Pag. 150 - Euro 12
www.samueleeditore.it – info@samueleeditore.it
Chiara De Luca è traduttrice, poetessa,
scrittrice, manda avanti una casa editrice di traduzioni letterarie come
Kolibris, l’ottima rivista Iris, su traduzione poetica, bilinguismo e
letteratura di migrazione. Tutti argomenti che mi sono cari, visto il mio
rapporto ventennale con la letteratura cubana della diaspora (e non solo). Alfabeto dell’invisibile è una raccolta
divisa in quattro sezioni così diverse tra loro da farle apparire come libri
autonomi: Ritorno, Stazioni, Volti e Mare. Filo
conduttore è il ripercorrere le antiche strade, tornare sui propri passi che ti ha già visto ad occhi bassi, - come
canta Guccini -, immergersi nella nostalgia proustiana
del tempo perduto. Temi a me carissimi, ci ho scritto due romanzi su questa
cosa del tempo che passa e nasconde i sapori (Calcio e acciaio e Miracolo a
Piombino), va da sé che tocchi le corde della mia sensibilità trovare
identiche ispirazioni nelle liriche di Chiara De Luca. La poesia - quando è
vera poesia, non una serie di frasi con degli a capo messi a casaccio - è il modo migliore per trasmettere
sensazioni ed emozioni, scava nelle ferite della vita, non ha bisogno
d’inventarsi trame per raggiungere lo scopo. Leggi i versi di Chiara De Luca e
ti cali nei panni della donna che rivede con nostalgia le strade della città
natale dopo aver vagato a lungo per il mondo. Ferrara, piovosa e nebbiosa,
malinconica come il cuore del poeta - perché piove sulla città come piove nel
suo cuore -, è specchio di ogni nostalgia e di ogni ritorno. Viene a mente L’ora di Barga di pascoliana memoria e quel cantuccio
d’ombra romita dove piangere sulla mia vita, leggendo tutta la prima parte,
composta di poesie musicali, costruite con rime classiche. Tra i temi portanti
non solo il ritorno, ma anche l’incomunicabilità, la solitudine, la difficoltà
ad accettare la realtà dopo troppi sogni, la difficile vita di un artista alle
prese con il quotidiano. Aver bisogno di un amico che ti chiami, o di uno
sconosciuto che ti venga a cercare, non perché ha bisogno di te ma soltanto per
amore. E poi ricordi di volti sofferenti, di uomini e donne che non ci sono
più, di malattie atroci, di nonne che tornano dal passato, di una madre
onnipresente. Chiara chiude con il mare, così lontano dalla sua Ferrara, ma
così vicino a un cuore di poetessa innamorata di versi e silenzi, di rime e
assonanze. Non siamo nati per avere
sempre/ le stesse foglie ampie sulle spalle,/ ma per spiovere l’acqua dei
giorni/ in tempeste che scemano ricordi. Ricordi e rimpianti. Si cambia,
dice il poeta in uno dei suoi versi più felici, ma se vivere di ricordi fa
morire in fretta, vivere con i ricordi è bellissimo, ti fa fremere il cuore
d’una struggente nostalgia. Termino estasiato la lettura di un libro che d’ora
in poi terrò in biblioteca tra le cose più care, perché quando incontri la vera
poesia non puoi abbandonarla. Volo, Moccia, Mazzantini, le scrittrici erotiche
a caccia di successo a base d’improbabili sfumature e tutta l’inutile
letteratura italiana smerciata nei supermercati la cedo in blocco ai recensori
paludati che pontificano dalle tribune di Rai Tre. Preferisco pensare e
meditare la profondità di liriche struggenti. E per invitarvi a condividere vi
lascio con un assaggio poetico.
NIDO
Tu che hai sempre avuto il cielo
della tua città natale a raccontarti
se solo alzavi gli occhi per guardarti
ti chiedi perché mai ho smesso di
viaggiare
– oppure di collezionare case e strade,
e il futuro bianco di non avere un forse
questo è il posto giusto per planare –
ti pare certo sia rinuncia al volo
stringermi attorno le ali per restare,
se è vero che mi mancano le storie
raccolte sul muretto alla stazione,
i posti che un istante ho nominato
miei quando già erano sgusciati
fuori dall’oblò del finestrino
mentre il regionale proseguiva
incerto la sua corsa verso la deriva,
perfino quelle notti sui binari
contando e ricontando i passi per tenermi
dall’impietrire solitaria nella neve...
Ma vedi anche gli uccelli migratori
se volano è per fame o per cercare
un nido sconosciuto cui tornare;
io qui ho portato la paglia dei miei
giorni
il fango delle fughe, le foglie degli
affanni,
uno dopo l’altro i ramoscelli dei ricordi
piume rapprese
dall’acqua degli sguardi
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