In
post produzione il docu-letterario di Stefano Simone
Soggetto
e Sceneggiatura di Gordiano Lupi
È in fase di post produzione il
documentario letterario di Stefano Simone intitolato Il
cielo sopra Piombino, basato su testi di Gordiano Lupi (alcuni originali, altri tratti da Calcio e
acciaio e Miracolo a Piombino), musiche di Federico
Botti, fotografie di Riccardo Marchionni,
voce narrante di Federico Guerri. Dargys Ciberio è l’unica attrice del film, rigorosamente non
professionista, calata in un ruolo di muto Virgilio al femminile per
accompagnare lo spettatore nel percorso poetico. La vera protagonista del film
è Piombino.
Un documentario insolito, che si pone come
punto di riferimento Pier Paolo Pasolini e i documentari poetici su
Roma, Ostia, la periferia decadente, la spiaggia proletaria, i ragazzi di
vita, l’alternarsi (in perfetto equilibrio) di bellezza e decadenza. Il
cielo sopra Piombino - il titolo è un chiaro omaggio
a Wim Wenders - prende per mano lo spettatore e lo porta a conoscere splendore
e degrado, calette rocciose nascoste in anfratti di mare, ferrovie
abbandonate, porto industriale e tombe etrusche, porticciolo mediceo, un
vecchio stadio dove un tempo fu sconfitta la Roma, golfo di Baratti e altiforni
spenti. Regista e sceneggiatore fanno pulsare l’anima di una cittadina
industriale e marinara, riescono a far affiorare tra le pieghe delle
immagini il tempo perduto di proustiana
memoria. Un documentario non turistico, come molti ne sono stati fatti per
illustrare la bellezza di una città di mare, ma letterario, scritto e
girato per mostrare il vero volto di Piombino, cartina di tornasole di una
provincia vitale, mai doma e abbandonata a se stessa. Un volto poetico e
disperato, sognante e realista, ambizioso e decadente, languido e intrepido,
memore del passato ma proteso verso il futuro. Gli autori sono convinti che dal
contrasto nascano arte e letteratura, ma anche che la vita pulsi ogni giorni
per strade di contraddizioni insolubili. La musica suggestiva e melodica di
Federico Botti contribuisce a creare un clima di ricordi e sogni, un sottofondo
di parole poetiche che introducono e chiudono una passeggiata nei luoghi più
significativi di una provincia che non deve essere dimenticata. Il
cielo sopra Piombino inaugura la sezione Fogliocinema, che proseguirà con il nuovo film di Roger Fratter e
con una collana dedicata alla ristampa anastatica di tutte le opere del regista
indipendente bresciano.
Le bocche di
leone
(tratto dal soggetto del film)
Fare colazione con le bocche
di leone, nome che ricorda una pianta di primavera e che in quest’angolo di
Maremma indica un dolce da forno del passato. Ho scoperto che vendono ancora le
bocche di leone in una panetteria del centro, in Piazza Gramsci, vicino
all’orribile fontana in marmo disegnata da chissà quale artista che getta
scrosci d’acqua in una pozza stagnante circondata da bambini. In alto ci sono
ancora tre orologi disposti ad angolo, che ricordano il vecchio nome della
piazza, prima della liberazione. Le bocche di leone sono le mie madeleines, meno nobili, certo, ma
contengono un passato di bambino che fa colazione a scuola dopo aver scartato
l’involucro giallastro e morde un dolce prelibato. Pasta reale modellata a
forma di brioche, farcita di burro e panna, schizzata di alchermes, divisa in
due, aperta come la bocca di un leone che sorride e mostra la dentatura.
Alchermes fatto con acqua di rose, come ai tempi di Caterina de’ Medici alla
corte di Francia, cannella, vaniglia, cocciniglia, cardamomo, chiodi di
garofano, alcol e zucchero. Le mie bocche di leone hanno un sapore dolciastro e
lieve, ricordano l’infanzia, morso dopo morso. Ti senti pervadere dal profumo
del passato addentando la sostanza burrosa che si fonde con la pasta reale e il
liquore rosso, rivedi la Pasticceria Pastori all’angolo del corso, dove si
radunavano i ragazzi dopo la scuola per tirare tardi al pomeriggio, vasca dopo
vasca. Ripensi a tua madre in un piccolo negozio Coop che non esiste più, alle
prese con i conti da far tornare, mentre compra la merenda per scuola e ti dà
un bacio quando oltrepassi il grande cancello in ferro battuto. Ritrovi un
forno del centro dove una signora tastava pani da un chilo prima di servirli,
incurante delle regole di igiene, come se li avesse dovuti mangiare lei. “Un
bel pane cotto a legna per questo bimbo”, diceva. La bocca di leone veniva
dopo, la incartava a parte, avendo cura di non far appiccicare il prezioso
contenuto nella confezione.
Non hanno più il sapore d’un
tempo le mie bocche di leone, proprio come i semi di zucca che ogni tanto provo
a comprare, non sono gli stessi che vendevano al cinema Sempione prima del
doppio spettacolo domenicale. Il tempo passa e i sapori cambiano, oppure siamo
noi che cambiamo e cerchiamo le madeleines
della nostra vita per fermare il tempo, sapori e odori che non torneranno,
ricordi confusi nella memoria, sogni di bambino. E allora addento quella pasta
dolciastra acquistata nella panetteria di Piazza Gramsci, gusto lo sciroppo
rossastro confuso tra panna, burro e pasta reale, trovo un sapore amaro che non
ricordavo, un sapore strano, come di tempo che scorre tra le dita come sabbia e
non lo puoi fermare, un sapore di rimpianto.
Nessun commento:
Posta un commento