di Yoani Sánchez
da Generacion Y - La Stampa
Se la realtà potesse personificarsi, entrare in un
corpo, avere contorni fisici, se una società potesse essere rappresentata come
un essere vivente, la nostra sarebbe un adolescente nel periodo della crescita.
Una persona che si vede allungare braccia e gambe, che desidera scrollarsi di
dosso il paternalismo e diventare adulto. Ma quel ragazzo imberbe, indossa un
vestito così stretto che non riesce quasi a respirare. La nostra quotidianità è
rimasta schiacciata dal corsetto di una legalità fatta di eccessive proibizioni
e di un’ideologia antiquata e poco funzionale. Dipingerei così la Cuba di oggi,
perché una forma di pubertà repressa, rappresenta bene il contesto in cui vivo.
Il governo non pare propenso a riconoscere le nostre
necessità di espansione economica e politica. Al contrario, tenta di costringerci
in forme assurde. Basti vedere il caso del limitato numero di occupazioni
consentite per il lavoro “per conto proprio”, quel settore che in qualunque
altro paese sarebbe definito “privato”.
Invece di ampliare il numero di licenze per includere molte altre
attività di produzione e servizi, le autorità pretendono di ritagliare la
realtà in maniera tale da farla ricadere nell’elenco delle cose consentite. La
legge non cerca di incentivare creatività e talento, ma è come una briglia
stretta che limita il campo di azione individuale.
L’ultimo esempio di questa contraddizione lo vediamo
con le azioni di polizia contro chi vende vestiti importati, che provengono
fondamentalmente da Ecuador e Panama.
Secondo i media ufficiali
molti di questi mercanti hanno utilizzato una licenza da “Sarto” che consentiva
di commercializzare gli articoli prodotti con le loro macchine da cucire, per
offrire invece camicie, pantaloni e borse di confezione industriale. I
trasgressori sono stati puniti con il sequestro della mercanzia e con multe
esorbitanti. In questo modo gli ispettori pretendono di far indossare alla nostra
realtà la camicia di forza di quanto stabilito dalla Gazzetta Ufficiale.
Invece di tanta persecuzione sarebbe opportuno
autorizzare il lavoro del “commerciante”. Comprare, trasportare e rivendere
articoli molto richiesti non dovrebbe essere considerato un delitto, ma
un’attività regolata da contribuzione fiscale tramite imposte. Negare questo meccanismo strategico dell’ingranaggio
di ogni società significa ignorare la struttura economica sociale. L’apparato
legale di una società non esiste per condannarla all’infanzia del piccolo
chiosco, della manifattura e della vendita di frittelle, ma per aiutarla a
progredire professionalmente e materialmente. Fino a quando il governo cubano
non accetterà queste regole elementari dello sviluppo, la nostra realtà dovrà
crescere allungando le braccia verso illegalità e clandestinità.
Traduzione
di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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