Non accetto più articoli impostati su luoghi comuni, della
serie "A Cuba non sta cambiando niente", "Tutto va avanti come
prima". Forse non sta cambiando il cubano medio (ma l'italiano medio non è
migliore), interessato soltanto al benessere materiale e non curante della
libertà, ma il mondo culturale cubano è in fermento e approfitta di inediti
spazi di libertà. Prendiamo il cinema. Da martedì scorso il cinema Chaplin dell'Avana - il più importante,
non una sala di terza visione, né un cinema provinciale - proietta Conducta,
ultimo lavoro del regista cubano Ernesto Daranas. Non solo, il film è uscito
anche nella programmazione dell'altrettanto centrale e conosciuto cinema Yara
(il vecchio Radiocentro che Cabrera infante cita ne La ninfa
incostante). Daranas l'abbiamo apprezzato nella sua pellicola d'esordio -
purtroppo inedita in Italia, ma visibile in rete per chi mastica un po' di
spagnolo - con una notevole opera prima: Los dioses rotos. Ne
parleremo in seguito, magari dedicando un scheda particolareggiata a regista e
film, ché lo meritano. Si tratta di un film che racconta la prostituzione e il
suo sfruttamento come modo per sopravvivere nella Cuba attuale. Mica male come
trasgressione. Adesso fa un passo avanti. Conducta si avvicina
ai problema dei giovani che crescono in una società che garantisce un sistema
scolastico gratuito ma inefficiente. Il film narra la storia di un
"ragazzo problematico" e di una vecchia maestra - interpretata da
Alina Rodríguez - che crede nella sua professione e la difende come una
missione. Sono molti i momenti interessanti e marcatamente politici della
pellicola. A un certo punto la maestra afferma: "chi dirige il paese è da
troppo tempo al potere". Nessuno ha censurato il passaggio. Reporter
indipendenti sostengono che il pubblico in sala applaude non appena termina la
battuta. Non è importante stabilire se sia vero, forse si tratta solo di
leggende metropolitane, visto il coraggio dei cubani residenti sull'Isola, la
cosa importante è la libera circolazione di un film neppure troppo velatamente
contestatario. Daranas inserisce persino la figura di un prigioniero politico,
ed è la prima volta in un film cubano prodotto da ICAIC (ente pubblico per
eccellenza che sorveglia e promuove la cultura), quando la maestra dice che il
padre di uno dei suoi ragazzi è "prigioniero per problemi politici".
Il padre del ragazzo compare in un momento successivo del film, ma quel che è
importante non è mai demonizzato come un controrivoluzionario. Darans affronta
il tema dell'apartheid legalizzato all'Avana, dove i cubani nati a Oriente sono
relegati nei quartieri più poveri e marginali della capitale. Il regista
analizza con dovizia di particolari la dura realtà della sopravvivenza nei
quartieri poveri dell'Avana, ma anche l'incapacità di chi governa nel trovare
soluzioni efficaci a certi problemi esistenziali. Gli interpreti del film - a
parte la maestra - sono ragazzi presi dalla strada, privi di esperienze
cinematografiche, che interpretano loro stessi, all'interno della realtà
sociale che vivono. Un esperimento neorealista, per non dire pasoliniano.
Tra gli attori professionisti ricordiamo: Alina Rodríguez, Yuliet Cruz, Silvia
Águila e Aramis Delgado. Ci dicono amici blogger e corrispondenti indipendenti
che le file di pubblico in attesa di vedere il film sono interminabili. Daranas
sta riscuotendo un grande successo e - soprattutto - nessuno si è sognato di
censurare la pellicola, come spesso accadeva in Italia negli anni Settanta in
presenza di lavori giudicati troppo estremi. La novità importante, a mio
modesto avviso, non è tanto l'interesse della popolazione avanera nei confronti
di un cinema politico e di protesta, quanto la permissività di un governo che
pare assumere contorni sempre meno dittatoriali.
Gordiano
Lupi
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