Non sono un dissidente! Voglio che si sappia in giro, mamma. E mica perché
ho paura. No davvero. Non sono un dissidente, perché non ho mai preso un aereo
per volare nella vecchia Europa. Mi sento più vicino al vecchio Alarcón che a
certa gente, guarda. Ché io c’ho persino paura
di volare e mica nel senso di Erica Jong. No, nel senso vero. Brava Yoani
che svolazzi in qua e in là come una farfalla. Tu che ci riesci fai bene ad aver le tasche piene e non solo i
coglioni, come cantava un italiano un po’ di tempo fa. Lo so che voi cubani
non lo conoscete, tu mamma ancora meno, lo so. Non lo dire al babbo, mi
raccomando, se no lui pensa d’avere un figlio comunista e si mette in capo idee
strane, non lo dire a lui, ma credimi, non sono un dissidente. Non voglio sentirmi
confondere con gente simile, ché se il governo non rappresenta il popolo, loro
ancor meno, guarda.
L’Unione Europea annuncia un’apertura di relazioni con Cuba e i nostri
dissidenti volano a Madrid. Con quali cazzo di soldi, dico io? Vanno a Madrid -
novemila chilometri di distanza - per unire le forze di venti associazioni in
un progetto comune. Pare di stare in discoteca, quando il disk-jockey grida: dove c’è un cubano che si alzi la mano! In
Europa no, dove c’è un cubano, ecco un partito politico. Pare che convenga.
Pare che qualcuno finanzi. Non dico chi. Non voglio nemmeno saperlo, ché in
fondo m’interessa un cazzo. E allora leggo che i nostri dissidenti da diporto chiedono il riconoscimento della società civile cubana e la liberazione
dei prigionieri politici, oltre alla ratifica della Carta dei Diritti Umani. In
teoria hanno ragione, nessuno lo nega, se solo esistesse una società civile cubana e se loro
rappresentassero davvero qualcuno. Perché questi dissidenti in volata libera
(mi pare che escano da Cuba un paio di volte al mese) non sono tutti in galera
se nel nostro paese la situazione dei diritti umani è così tragica?
Siamo tra l’uscio e il muro, cara mamma. Il partito comunista - castrista da
una parte, questi dissidenti un tanto al chilo che ragionano col culo e sparano
cazzate in convention internazionali
dall’altra. C’erano proprio tutti nella Casa
de América di Madrid: Yoani Sánchez, Berta Soler (Damas de Blanco), Elizardo Sánchez (Commissione per i Diritti Umani). Mancavano solo Guillermo Fariñas
(Unión Patriótica de Cuba) e Manuel
Cuesta Morúa (Arco Progresista), ma
hanno fatto sapere di pensarla come chi era presente. Peccato, erano tanto
dispiaciuti per non aver potuto partecipare a una bella rimpatriata coloniale a
base di graspacho andaluso e paella valenciana. Si sono riuniti a
Madrid, dicono, perché a Cuba è proibito. Se fossi al vostro posto (ma al
vostro posto non ci so stare) la prossima volta mi riunirei in Madagascar, ché
magari fa più caldo, è un’isola, sentite meno la nostalgia, mangiate banane
fritte, aragosta e avocado.
Parla pure Reinaldo Escobar, dice che non tutta l’opposizione è
rappresentata nel documento e che esperimenti simili fatti in passato sono
sempre falliti. Forse sarebbe il caso di chiederselo, qualche volta, il triste
motivo. Capita, Reinaldo, quando il rimedio è peggiore del male. E allora, in attesa
che i nostri dissidenti a piede libero tornino nella patria matrigna - dove nessuno
torce loro un capello - io mi dissocio con forza da questo documento del cazzo.
Vorrei una Cuba diversa, cara mamma, vorrei una Cuba libera, ma non sono un
dissidente. O meglio: non sono come loro!
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