Paolo Ghezzi
Pupi Avati - Sotto le stelle di un film
Il Margine – Euro 16 – Pag. 180
www.il-margine.it – editrice@il-margine.it
Il
Margine è un editore di Trento che fa bene il suo mestiere, non abdicando al
ruolo culturale e pubblicando piccoli libri agili e utili di saggistica
popolare e divulgativa. Pupi Avati -
Sotto le stelle di un film è una sorta di libro - confessione che Paolo
Ghezzi raccoglie dialogando di cinema con i fratelli Avati, dalle prime incerte prove dei tempi di Thomas e Balsamus, fino a Gli amici
del Bar Margherita, al tempo ancora in lavorazione. Il libro ha avuto ben
due edizioni: agosto e novembre 2008, ed è ancora molto attuale e interessante,
nonostante lo stesso Avati abbia voluto scrivere in tempi più recenti una
corposa autobiografia (La grande
invenzione, euro 18 - Rizzoli 2013, dal 2014 anche in economica BUR).
Pupi
Avati (Bologna, 3 novembre 1938), figlio di un antiquario bolognese e fratello
del produttore Antonio, si chiamerebbe Giuseppe ma da sempre porta quel
nomignolo affettuoso che - da buon bugiardo - ha tentato di spiegare in modi diversi.
Il suo sogno sarebbe quello di diventare jazzista, ma Lucio Dalla fa naufragare le speranze del
futuro regista, depresso dalla bravura come clarinettista dell’amico, che entra
a far parte della stesa band. Pupi abbandona sconfortato, ma il ricordo del
jazz, torna spesso sotto forma di cinema e di miniserie televisive, a
dimostrazione che un grande amore non si scorda mai. Nella vita di Pupi Avati
c’è anche un lavoro come rappresentante Findus, ma di indimenticabile resta il
cinema, un amore eterno, la passione per Fellini e la visione di un capolavoro
come 8 ½ che indicano la strada da percorrere. I primi
due film sono Balsamus, l’uomo di Satana
(1968) e Thomas (Gli indemoniati) (1969),
due lavori grotteschi finanziati da un misterioso imprenditore, il cui nome viene
rivelato soltanto dopo la morte. Avati scrive anche la sceneggiatura di Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975)
di Pierpaolo Pasolini, per la quale viene pagato ma non accreditato. Cifra
stilistica dei primi lavori sono - per dirla con Roberto Poppi - grottesco ridanciano, esagerazione
goliardica, voler a tutti i costi sorprendere con storie inusuali, fantastiche,
strampalate. Prime commedie in carriera che lasciano il segno: La mazurka del barone, della santa e del
fico fiorone (1974) e Bordella
(1975). Due film che anticipano tre lavori importanti come La casa dalle finestre che ridono (1976), Tutti defunti… tranne i morti (1977) e Le strelle nel fosso (1978). Il vero capolavoro giovanile è La casa dalle finestre che ridono,
horror padano di una sorprendente originalità, scritto dal fratello Antonio e
interpretato da un ispirato Lino Capolicchio. Pupi Avati è un regista del tutto
fuori dalle regole, unico nel senso più alto del termine, non definibile né
inquadrabile in un genere, centra l’obiettivo sia come autore di commedie che
come autore di film fantastici, intimisti, storici, grotteschi, biografici e
parodistici. Il suo cinema parla per lui, sembra realizzato da una squadra di
registi, tanta è la varietà di idee che costella sua carriera. Tratto unitario è
lo stile. Un film di Pupi Avati si riconosce tra mille. Ed è questo che
qualifica un autore. Ben vengano libri come Sotto
le stelle di un film che ci portano a conoscere un nostro grande cineasta negli
anfratti più reconditi della sua intimità.
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