giovedì 25 luglio 2013

Il catechismo secondo Mujica



Il linguaggio diplomatico, anche se distante e calcolato, lascia intravedere tutti i cambiamenti di un’epoca. Ricordo che per anni è stato possibile prevedere ogni parola che i presidenti stranieri avrebbero detto una volta giunti a Cuba. Nel copione dei loro discorsi non poteva mancare il riferimento alla “inossidabile amicizia tra i nostri popoli…”. Inoltre veniva sempre messa in evidenza la piena sintonia tra i progetti politici del capo di Stato ospite e la sua controparte cubana. Il percorso era uno, i compagni di rotta non potevano allontanarsi di un millimetro, come appariva chiaro dalle loro dichiarazioni. Erano tempi in cui dovevamo apparire come un blocco compatto, privo di sfumature e differenze.
Tuttavia, da alcuni anni, le dichiarazioni di chi giunge sull’Isola su invito governativo non sono più le stesse. Si sentono pronunciare frasi come: “alcune cose ci dividono, ma preferiamo cercare ciò che ci unisce”. Le nuove dichiarazioni sostengono che “rappresentiamo una molteplicità” e che “lavoriamo a un progetto unitario, mantenendo le rispettive differenze”. Evidentemente, le relazioni bilaterali del ventunesimo secolo non possono più essere caratterizzate da un discorso unanime e monocromatico. È ormai di moda esibire la diversità, anche se nella pratica viene messa in atto una strategia di esclusione e di negazione delle differenze.
José Mujica ha compiuto un altro passo in avanti rispetto ai discorsi dei presidenti ricevuti nel Palazzo della Rivoluzione. Ha sottolineato che “prima dovevamo recitare lo stesso catechismo per essere uniti, mentre adesso, nonostante le differenze, riusciamo ugualmente a essere compatti”. Noi che ascoltavamo increduli il programma diffuso dalla televisione nazionale ci siamo chiesti immediatamente se la dottrina alla quale si riferiva il capo di Stato uruguayano fosse il marxismo o il comunismo. Secondo quel che adesso viene affermato, due presidenti possono stringersi la mano, cooperare, farsi fotografare insieme sorridenti, anche se hanno ideologie diverse o contrastanti. Una lezione di maturità, senza dubbio. Il problema - il grave problema - è che certe parole vengono pronunciate e pubblicate in una nazione dove i cittadini non possono avere altro “catechismo” se non quello imposto dal partito al potere. Un paese dove in maniera sistematica viene divisa la popolazione tra “rivoluzionari” e “traditori della patria”, sulla base di considerazioni puramente ideologiche. Un’Isola dove i governanti fomentano l’odio politico tra la gente senza prendersi la responsabilità per quei semi d’intolleranza che seminano, irrigano e concimano coscientemente.
La diplomazia cubana è così. Accetta di ascoltare da un ospite straniero frasi che non farebbe mai pronunciare a una persona nata in questa terra. 

Yoani Sanchez
(da Generacion Y)

Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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