sabato 29 dicembre 2012

Virgilio Piñera: due inediti

Un parto insospettato
di Virgilio Piñera - da El que vino a salvarme (1957)

 
Mia madre, che ha settant’anni, è stata chiamata con la massima urgenza da mio fratello minore. Mi sta accadendo qualcosa di singolare. Ho la testa incastrata tra i piedi. Ho fatto quanto umanamente possibile per liberarmi da una posizione così sgraziata. Per ore mi sono rigirato sul letto divincolandomi così tanto che ho finito per ruzzolare sul tappeto. Mio fratello ha sentito il rumore ed è subito accorso. Con voce soffocata, che uscendo dalla bocca finiva per morirmi dentro, gli ho detto di sciogliermi. Lui ha fatto i miei stessi tentativi: mi ha preso i piedi e ha cominciato a tirare forte. Vedendo che i suoi sforzi erano vani, ha abbandonato le mie estremità e ha cominciato a darsi da fare con la testa. Ma invano; è rimasta attaccata ai piedi come se fosse incollata.

Allora abbiamo chiamato il medico. Dovevamo cominciare dal medico. Il dottore ha fatto quattro o cinque giri intorno al misterioso intreccio. Ogni giro che faceva diventava sempre più pallido. Visto che non apriva bocca per fare una diagnosi, mio fratello l’ha preso per la giacca intimandogli di parlare.

Ed è così che ha parlato. Per questo mia madre è appena arrivata dal paese dove vive da almeno cinquant’anni. Pronta, coraggiosa, mi dice di avere pazienza, passandomi la mano sulla fronte ardente, assicurandomi che le mie sofferenze e la mia umiliazione stanno per finire. Nonostante sia molto stanca dopo lunghe ore di treno, incita il medico a cominciare prima possibile.

Alla fine sono di nuovo nel ventre di mia madre. Da lì posso sentire quel che dice ai miei amici: “Questo bambino avrà fortuna nella vita, comincia a dare calci molto presto… Del resto, bisognerà solo avere pazienza per nove mesi. Speriamo che sia un parto felice”.


L’interrogatorio (1945)
di Virgilio Piñera – da Un fogonazo


Come si chiama?
- Porfirio.
Chi sono i suoi genitori?
- Antonio e Margherita.
Dov’è nato?
- In America.
Quanti anni ha?
- Trentatre anni.
Scapolo o sposato?
- Scapolo.
Professione?
- Muratore.
Sa che è accusato di aver ucciso la figlia della sua padrona?
- Si, lo so.
Ha altro da dichiarare?
- Che sono innocente.
A quel punto il giudice guarda distrattamente l’accusato e gli dice:
- Lei non si chiama Porfirio; i suoi genitori non si chiamano Antonio e Margherita; lei non è nato in America; lei non ha trentatre anni; lei non è scapolo; lei non è muratore; lei non ha ucciso la figlia del suo padrone; lei non è innocente.
- Che cosa sono, allora? - chiede l’accusato.
E il giudice, che continua a guardarlo distrattamente, risponde:
- Un uomo che crede di chiamarsi Porfirio; che i suoi genitori si chiamano Antonio e Margherita; che è nato in America; che ha trentatre anni; che è scapolo; che è muratore; che ha ucciso la figlia della sua padrona; che è innocente.
- Però sono accusato - obietta il muratore -. Fino a quando i fatti non saranno provati rischio una condanna a morte.
- Questo non ha importa - risponde il giudice, sempre con la sua tipica indifferenza -. Quella stessa accusa non è forse inesistente come tutte le sue risposte all’interrogatorio? Come il medesimo interrogatorio?
- E la sentenza?
- Quando sarà emessa, per lei svanirà l’ultima opportunità di comprendere ogni cosa - dice il giudice; e la sua voce sembra uscire da un megafono.
- Quindi, sono condannato a morte? - piagnucola il muratore -. Giuro che sono innocente.
- No; lei è stato appena assolto. Ma vedo con infinito orrore che lei si chiama Porfirio; che i suoi genitori sono Antonio e Margherita; che è nato in America; che ha trentatre anni; che è scapolo; che è muratore; che è accusato di aver ucciso la figlia della sua padrona; che è innocente; che è stato assolto, e che, finalmente, lei è perduto.

Traduzioni di Gordiano Lupi

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