di Yoani Sanchez
www.lastampa.it/generaciony
Tra tutte le cose che si sono dette e che si diranno su
Nelson Mandela, sono le piccole storie a emozionare di più. Le sue lunghissime
giornate nel carcere di Roben Island (http://www.robben-island.org.za/), dove
il rancore cedette il passo alla lucidità. Una grata che scorreva, una
piccolissima finestra da dove filtrava uno spiraglio di luce, alcuni uccellini
che cantavano fuori. In quel luogo, Madiba vinse i suoi demoni e riuscì a
rinunciare a quella violenza che aveva fatto parte della sua vita. Fu un lungo
percorso dalla formazione del braccio armato “Umkhonto we Sizwe”, fino a diventare
un paladino della lotta pacifica. Fu una conversione autentica, non dettata da
convenienza e opportunismo, ma scaturì dal suo intimo, come avrebbe dimostrato
la successiva attività politica.
Nato nel 1918, Mandela visse un secolo convulso, caratterizzato
da guerra fredda e leader a caccia di protagonismo, anche a danno dei loro
popoli. Visse un’era di grandi nomi e di piccoli cittadini, nella quale a volte
fu più importante stabilire chi faceva una determinata cosa, piuttosto che il
motivo per cui veniva compiuta. Fu classificato terrorista non solo dal regime
razzista sudafricano di quel periodo, ma anche dalla stessa ONU. Una volta in
prigione, il recluso 466 dedicò molto tempo a meditare su ciò che aveva fatto e
su quale avrebbe potuto essere il percorso migliore per far uscire il suo paese
dalla segregazione razziale e dall’odio. La sua trasformazione personale influì
in modo determinante su come si riuscì a smantellare l’Apartheid.
Tanti statisti cercavano di restare ben saldi al
potere per diversi mandati e parecchi decenni, invece Mandela fu Presidente del
Sudafrica soltanto per un lustro. L’uomo nato nel villaggio di Mvezo fu
talmente saggio da rendersi conto che il dialogo e la negoziazione erano la via
giusta per cambiare una nazione così ferita. Tra tutte le istantanee della sua
vita, i sorrisi accennati e gli abbracci dispensati, io preferisco l’immagine
di un prigioniero che tra le sbarre incontrò se stesso. Il Premio Nobel della
Pace consegnato nelle sue mani non è così commovente come immaginarlo affamato,
addolorato, impaurito e, nonostante tutto, immerso nei suoi pensieri di perdono,
pace e riconciliazione.
Alla tua memoria, Madiba!
Traduzione
di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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