di Claudia Cadelo
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La mia unica certezza è che non sono comunista, per il resto non ho ancora le idee chiare. Mi costa fatica definirmi politicamente. Forse perché sono nata in un sistema diverso da quello vigente nel resto del mondo - fuori dai confini delle destre e delle sinistre di altri luoghi - basato sul potere di un solo uomo e retto dai suoi capricci. Mi piace ascoltare le persone quando spiegano le loro posizioni politiche (anche se pensano in maniera ortodossa), però mi sconcerta non sentirmi attratta da nessuna. A parte i diritti e la libertà dell’essere umano, non vedo altre cause per cui valga la pena di lottare.
Ma uno legge, si informa e si sforza di comprendere il mondo, soprattutto le ideologie che lo fanno muovere. Invece di salire su un aereo, le quattrocento pagine di un libro consumato da un gran numero di lettori o un documentario registrato in una memory card mi raccontano la storia dell’umanità che vive oltre il mare. In generale ho deciso di stabilire margini di comparazione minimi per non diventare pazza. Serve a poco, dal mio punto di vista, cercare di paragonare una democrazia con un capitalismo di Stato, o una dittatura con un paese in via di sviluppo. Posso confrontare gli Stati Uniti con l’Europa, il Messico con l’Argentina, il Cile o Haiti; Cuba con i vecchi paesi dell’Unione Sovietica, con l’Iran, con il Cile di Pnochet, con la Spagna di Franco e persino con la Corea del Nord. Qualunque altro paragone, Cuba con l’Uruguay, per esempio, risulta segnato da un antagonismo primario: Società totalitaria contro Stato di diritto.
Per questo quando un sindacalista europeo mi cerca di convincere in merito ai “risultati della rivoluzione cubana”, mi viene voglia di piangere. Per prima cosa devo cercare di fargli capire che a Cuba non esiste un sindacato, almeno non quello storicamente noto come sindacato dei lavoratori, che serve a far valere i diritti dei lavoratori nei confronti di padrone, impresa o Stato. Sarebbe importante andare alla radice del concetto, rispettare il significato dei sostantivi per non cadere nelle ambiguità, come dice il mio amico Reinaldo Escobar: “Pane al pane, dittatura alla dittatura”.
Su questo punti le idee di certa sinistra, sfortunatamente, tendono parecchio a confondermi. Incontro persone che condannano tutte le dittature dell’universo ma salvano il mio piccolo paese, si offendono quando sentono parlare di Franco con rispetto mentre venerano Fidel Castro. Altre odiano la stampa occidentale perché troppo sensazionalista ma non criticano la linea fissata dal partito unico nei confronti dei nostri periodici. Altri assicurano che la politica degli Stati Uniti è interventista ed egemonica, ma hanno combattuto in Nicaragua, Angola ed Etiopia. Altri ancora protestano per le strade di New York contro la guerra in Iraq brandendo un cartello raffigurante Ernesto Guevara grande un metro per un metro. Infine conosco persone che definiscono il governo del mio paese “Rivoluzione”.
Non voglio dare una mano a una sinistra che è diventata filosoficamente crudele. Tuttavia non posso accettare che certi risultati (educazione e salute suppongo) vengano raggiunti a detrimento delle mie libertà e dei miei diritti. Non posso essere obbligata a ringraziare eternamente una giunta militare al potere da oltre mezzo secolo perché c’è un medico di famiglia che mi garantisce un pap test gratuito ogni due anni. Non posso rischiare una condanna a vent’anni di galera per aver scritto quello che penso solo perché sono andata a scuola senza pagare. Non esiste niente di più spietato e di più crudo di questo “fine che giustifica i mezzi”.
Forse sono io che mi confondo, ma in questa situazione credo che ci sia qualcosa di poco chiaro. Persone di sinistra che difendono i diritti dei senza diritti, i pacifisti, i liberatori del pensiero, gli emancipati radicali del denaro, gli ultra utopici di un mondo sociale e benefico, parlano della mia isola senza usare mai vocaboli come autocrazia, militarizzazione, socialismo di Stato, stampa reazionaria, monopolio di Stato o, semplicemente, dittatura. Potrebbero non utilizzare quest’ultimo termine se pensano che sia troppo forte, ma sostituirlo con “rivoluzione” è un’iperbole eccessivamente violenta.
Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi
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