giovedì 16 settembre 2010

RIFORME CUBANE E CAPITALISMO DI STATO

1. Campi da golf, multinazionali e lavoratori in esubero

Il primo agosto 2010 il Parlamento cubano ha approvato la costruzione di sedici campi da golf, ha ridotto le trattenute bancarie alle multinazionali e ha annunciato la soppressione di un milione di posti di lavoro statali. Il regime parla di socialismo e di “difesa della rivoluzione”, ma approva un lungo elenco di lavori privati (cuentrapropistas) tra i quali si legge il deprecabile ritorno dei domestici e dei lustrascarpe, costruisce campi da golf, vende case agli stranieri, riduce le tasse alle multinazionali, sopprime posti di lavoro statali. Il governo dice che sta modernizzando il socialismo per affrontare la crisi economica mondiale e l’embargo, ma queste misure sembrano un piano di riforme di stampo capitalista, ideato per far pagare la crisi ai lavoratori. Si tratta di misure volte a potenziare il capitalismo di Stato, come lo definisce la blogger Yoani Sánchez, da tempo unico modello economico cubano. Disuguaglianza e diversità di opportunità sono all’ordine del giorno nella Cuba castrista, ma adesso lo saranno ancora di più, perché le misure annunciate andranno soltanto a beneficio delle imprese straniere che operano sull’Isola.

Raúl Castro ha ripetuto spesso che “il socialismo è irrevocabile”. Il Ministro dell’Economia ha affermato che Cuba non sta copiando né la Cina né il Vietnam, perché “Il modello cubano ha una caratteristica ben precisa: la difesa della rivoluzione e la scelta socialista”, visto che “è stato scartato “ogni tipo di riforma in senso capitalista”. Si tratta soltanto di menzogne sostenute dai fratelli Castro e dal partito Comunista Cubano, perché il cambiamento in senso capitalistico è sempre più netto. Spagna, Brasile e persino Stati Uniti stanno approvando il corso degli eventi.

Il cancelliere spagnolo ha lavorato insieme alla chiesa cubana per la scarcerazione dei prigionieri politici, pur dichiarando di “non aver suggerito a Raúl Castro nessun tipo di riforme, ma che il progetto di cambiamento economico è un’idea del presidente cubano”. Il cancelliere brasiliano, Celso Amorín, ha affermato al Clarin: “Cuba è uno stato in evoluzione, il suo sistema politico cambierà, così come si sta modernizzando il sistema economico, come dimostrano le nostre imprese che investono in quel paese”.

La statunitense Sarah Stephens, direttrice del Centro per la Democrazia nelle Americhe, a luglio era a Cuba per parlare di energia e problemi ambientali. Ha criticato l’embargo del suo paese contro Cuba e ha detto al Clarin che “Raúl Castro liberando i prigionieri politici sta lanciando un messaggio al governo degli Stati Uniti per dire che è disposto a portare avanti riforme economiche in senso capitalista”.

La Camera di Commercio degli Stati Uniti e altri gruppi nordamericani contrari all’embargo stanno facendo pressione perché tale misura impopolare venga tolta. Myron Brillant ha detto al Congresso: “L’isolamento non aiuta il rinnovamento politico. Il cammino più rapido per migliorare il tenore di vita sull’Isola è intessere relazioni commerciali, turistiche e politiche. Stiamo perdendo occasioni di lavoro nei confronti di impresari canadesi e brasiliani. Il governo cubano è ormai una reliquia storica”.


2. Socialismo o capitalismo di Stato?

Il regime giura sul socialismo, ma nella realtà segue altre strade. Governi e imprese discutono con naturalezza di nuove relazioni commerciali e di investimenti a Cuba. Molti impresari e parlamentari nordamericani chiedono a Obama di poter partecipare alla spartizione della torta cubana. Nessuno si preoccupa, invece, per le dichiarazioni ufficiali di rifiuto del capitalismo e della riaffermazione del socialismo.

Il modello economico cubano si fonda da tempo sul capitalismo delle multinazionali, sulle imprese miste e sullo sfruttamento dei lavoratori, diretto da una burocrazia corrotta, dittatoriale e menzognera. Il popolo cubano perde anche quel poco che doveva essere salvaguardato, l’eredità sociale della rivoluzione, rassegnandosi alle disuguaglianze, alla disoccupazione e ai miseri salari che non servono per sopravvivere. Adesso nuove misure economiche annunciano il licenziamento di un gran numero di impiegati statali e l’ampliamento del lavoro privato. Non dimentichiamo che i grandi affari sono da tempo nelle mani delle multinazionali e delle imprese miste.

Il deterioramento della situazione economica cubana è dovuto alla riduzione del turismo, alla caduta del prezzo del nichel, al pessimo raccolto della canna da zucchero e a un piano di sviluppo agricolo che stenta a partire. La maggior parte della popolazione riscuote salari da fame che si aggirano sull’equivalente di dieci - quindici dollari al mese. Raúl Castro sostiene che “sono state approvate importanti misure che costituiscono un cambiamento strutturale per consentire lo sviluppo del nostro sistema sociale e renderlo sostenibile per il futuro”. Nonostante tutto dichiara che “il socialismo è irrevocabile”.

A Cuba esistono da tempo piccole attività private. Per esempio nella gastronomia abbiamo i paladares, ristoranti a conduzione familiare, gli affittacamere, i gestori di piccole case private che lavorano nel turismo e gli agricoltori che vendono direttamente i loro prodotti. Per non parlare del mercato nero e delle attività clandestine di ogni tipo che da anni prosperano a Cuba, come taxi illegali, compravendita di pezzi di ricambio, registrazione di CD e di pellicole… Adesso vengono legalizzate molte attività e i nuovi imprenditori potranno assumere impiegati e retribuirli, pagando le relative imposte allo Stato. Come prima iniziativa sono stati autorizzati sia i taxi privati che i parrucchieri.

Al tempo stesso è stato dato il via ai lavori per costruire sedici campi da golf, mentre sull’Isola adesso se ne contano soltanto due, il tutto ricorrendo a capitali internazionali. Il governo ha autorizzato la vendita di case agli stranieri, aperta negli anni Novanta e subito dopo congelata. Il governo ha rinegoziato le obbligazioni del debito estero con creditori internazionali (circa un milione di dollari) e la riduzione delle ritenute bancarie alle imprese straniere. In ogni caso l’annuncio più preoccupante è quello relativo alla drastica riduzione dell’impiego pubblico di oltre un milione di lavoratori. La ricomparsa di Fidel Castro è servita per sostenere le scelte di Raúl, che ha negato qualsiasi tipo di lotta tra ortodossi e riformisti all’interno del Partito Comunista.

3. Un milione di posti di lavoro in meno

Da aprile 2009 il governo cubano ha intrapreso una politica di riforme. Sono stati ritardati o sospesi i pagamenti ai fornitori e sono tornate le misure di razionamento dell’energia, che non si vedevano dai tempi del periodo speciale, dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Raúl Castro aveva messo in allerta gli impiegati statali con il discorso del 4 aprile 2010, tenuto al Congresso della Gioventù Comunista. In tale sede aveva affermato che esisteva “un esubero” di oltre un milione di lavoratori e che “il problema andava affrontato con fermezza e senso politico”. Al tempo stesso si era lamentato della mancanza cronica “di costruttori, operai agricoli e industriali, maestri, poliziotti e altri mestieri indispensabili che poco a poco stanno sparendo”.

Raúl Castro ha detto in Parlamento che “dopo mesi di studio, il Consiglio dei Ministri ha deciso di ridurre gradualmente la pianta organica del settore statale”. Sarà un processo drastico e di portata epocale, la cui prima fase si concluderà nel primo trimestre del 2011 e avrà come scopo quello di licenziare oltre un milione di lavoratori statali “inutili” o “improduttivi”.

Raúl ha affermato con forza: “Va cancellata per sempre l’idea che Cuba sia il solo paese al mondo dove si possa vivere senza lavorare”. Il Presidente cubano ha inserito nel suo discorso retorico una grave menzogna, offensiva per milioni di cubani che lavorano, purtroppo senza riscuotere adeguata retribuzione.

Operai specializzati, medici, maestri e infermiere ricevono stipendi che oscillano tra i 10 e i 15 dollari, mentre soltanto chi ricopre posti direttivi negli ospedali e nelle scuole raggiunge cifre di 35 o 40 dollari. Raúl Castro dice che mancano i maestri, ma molti vanno a lavorare all’estero, soprattutto in Venezuela, così fanno i medici, per poter inviare denaro ai familiari e risparmiare qualcosa. A Cuba restano i peggiori maestri e i medici meno preparati, mal pagati e sfruttati, sia nella scuola che nella sanità. I salari che i cubani riscuotono in pesos nazionali non hanno un potere d’acquisto in un’economia retta dal peso convertibile, una sorta di dollaro mascherato. Questo è il volto capitalista di Cuba.

4. Lo Stato Cubano, agenzia di lavoro per le multinazionali

Il 95% dei salariati sono impiegati statali, ma non è vero che il 95% dei mezzi di produzione è nelle mani dello Stato. Tutto il contrario. L’impiego è la sola cosa statale del sistema cubano, tutto il resto viene appaltato alle multinazionali. La maggior parte della produzione, dei servizi e persino il turismo sono privati, sotto forma di imprese miste. Gli impresari si associano con lo Stato, che offre mano d’opera a basso prezzo, qualificata ma sfruttata, garantendo alti guadagni a spagnoli, canadesi, cinesi, russi, brasiliani e venezuelani. I lavoratori vengono pagati pochissimo e in moneta nazionale, mentre la maggior parte dei prodotti devono essere acquistati in CUCS (pesos convertibili - 24 pesos nazionali = 1 CUC = 1 dollaro). All’Avana le cose vanno meglio e i cubani riescono a recuperare qualcosa al margine del turismo, ma nelle zone interne del paese la situazione è peggiore. Il furto è generalizzato, la corruzione e il mercato nero sono i soli modi per resistere alla miseria. Facciamo un esempio pratico. Una guida bilingue, che lavora 12 o 14 ore al giorno, riceve un salario statale mensile di 400 pesos (17 dollari). La multinazionale che lo utilizza paga allo Stato cubano 150 dollari. Pare evidente lo sfruttamento del lavoratore e il plusvalore realizzato dallo Stato che intasca la differenza. Questo è socialismo? Questo è sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Proprio ciò contro cui si scaglia Marx nel Capitale. Per questo motivo il popolo cubano vive “inventando” e cerca di trovare il modo per ottenere moneta convertibile.

Adesso si parla di licenziare circa il 30 per cento della forza lavoro statale per obbligarla a impiegarsi nell’agricoltura e nell’edilizia, settori già in crisi e senza sbocco. Anche il turismo è in crisi e per la congiuntura economica sfavorevole molti lavoratori hanno perso l’impiego. A Varadero diversi impiegati sono stati sospesi per alcuni mesi e sono rimasti senza salario. Mentre si verificavano questi fatti incresciosi, il Ministro del Lavoro e della Sicurezza Sociale, Margarita González, con grande faccia tosta, affermava: “Cuba non licenzierà i lavoratori in maniera massiccia e non si lascerà contagiare da riforme in senso neoliberista”.


5. Un capitalismo senza diritto di sciopero e libertà sindacale

Il progetto di licenziare oltre un milione di lavoratori statali è diretto a favorire guadagni secondo lo schema capitalista che pratica il governo di Raúl Castro e il Partito Comunista Cubano. Fa parte di un pacchetto di misure in arrivo, come la riduzione e la chiusura delle mense aziendali, la revisione e il ritiro dei sussidi e delle elargizioni nelle attività culturali e sportive, ma anche nell’alimentazione degli studenti (che già si sono mobilitati reclamando per la pessima qualità del cibo). Si annuncia la scomparsa definitiva della tradizionale “tessera di razionamento”, che da tempo non basta a garantire un minimo di sussistenza

Queste riforme provocano un crescente malessere popolare. Ma a Cuba i lavoratori non dispongono per difendersi del diritto di sciopero che esiste nella maggior parte dei paesi capitalisti. I sindacati dipendono dal Ministero del Lavoro, sono succursali della dittatura del partito unico. Non esiste il diritto di organizzarsi, discutere, fare assemblee per dibattere liberamente su questa complessa situazione, su come affrontare i licenziamenti e i bassi salari. Con la giustificazione di non servire “la controrivoluzione” e “non fare il gioco del nemico”, si impedisce la democrazia operaia, si proibisce lo sciopero e la mobilitazione di piazza per chiedere aumenti di stipendio.

6. Una pentola a pressione

Nel febbraio di quest’anno, la morte di Orlando Zapata Tamayo, prigioniero in sciopero della fame, ha prodotto una crisi politica nel paese. Il giorno successivo, un altro giornalista dissidente, Guillermo Fariñas, ha cominciato in casa sua un altro sciopero della fame. Ci sono state prese di posizione di artisti e di intellettuali di altri paesi che ripudiano l’embargo e solidarizzano con il popolo cubano. Pablo Milanés si è permesso di dire che “bisogna condannare Fidel Castro, dal punto di vista umano, se il dissidente Fariñas muore di fame”, e ha definito “una farsa” le elezioni che si sono tenute ad aprile. La scrittrice Ena Lucía Portela, iscritta alla Unión Nacional de Escritores y Artistas de Cuba (UNEAC), ha levato la sua voce solitaria e critica dicendo: “Adesso basta, accada quel che accada…”.

Il malessere sociale è crescente, non solo per la mancanza di libertà, ma per un sempre più basso tenore di vita, anche se la repressione soffoca il desiderio di ribellione. Ma nell’ottobre del 2009 si sono registrate proteste studentesche nell’Istituto Superiore d’Arte dell’Avana, per il cibo cattivo e la mancanza di igiene. Prima c’erano state denunce per la mancanza del diritto a viaggiare liberamente all’estero. Sono molte le espressioni di ribellione giovanile, soprattutto clandestine. Ricordiamo gruppi musicali come i Porno Para Ricardo capitanati da Gorki Aguila, rapper come Los Aldeanos ed Escuadrón Patriota, che si esprimono con canzoni contro il regime e la burocrazia, chiedendo libertà e diritti civili. I loro CD non sono ufficiali, ma vengono riprodotti clandestinamente. Un maggior acceso a Internet (i cubani possono usarlo ma la connessione costa cara ed è possibile effettuarla solo dagli hotel e da pochi punti Etecsa) allarga gli spazi informativi e di protesta. Basti pensare a Yoani Sánchez e al sito Generación Y, che commenta criticamente le difficoltà quotidiane e la burocrazia, ma non può certo essere considerata una controrivoluzionaria.

In questa situazione, nel mese di luglio il governo ha accettato la mediazione della Chiesa Cattolica e del cancelliere spagnolo per cominciare a liberare 52 prigionieri politici, molti dei quali sono già stati trasferiti in Spagna. Si tratta di un successo importante nel campo dei diritti umani. Non dimentichiamo che gli stessi governi che reclamano il rispetto dei diritti e la libertà per il popolo cubano, sono i rappresentanti delle multinazionali pronte a fare affari d’oro con la dittatura cubana e si disinteressano del fatto che milioni di persone lavorano per un salario ridicolo.

7. Una nuova rivoluzione socialista

In una delle loro canzoni, Viva Cuba Libre, il duo rapper Los Aldeanos afferma che “Ernesto Che Guevara, vero comandante, è il solo che riconosciamo”. Non è mai stato più opportuno ricordare Guevara e la battaglia contro burocrazia e privilegi che caratterizzò la sua gestione durante i primi anni di governo. Ricordiamo le critiche di Guevara alla crescente subordinazione del regine castrista nei confronti del Partito Comunista Sovietico. Il Che diceva: “Rivoluzione socialista o caricatura di rivoluzione!”. Fidel ha sempre negato una vera rivoluziona socialista, con i fatti e con le parole, ma soprattutto ha negato definitivamente il socialismo dopo la fine dell’Unione Sovietica e ha cominciato un percorso di restaurazione capitalistica. La dittatura sta imponendo un capitalismo di Stato che non tiene conto delle necessità popolari e che ha esautorato il popolo dalla proprietà dei mezzi di produzione.

I cubani hanno diritto a un salario degno di questo nome, non possono andare avanti con cifre pari a 10/15 dollari mensili che guadagnano adesso. Uno stipendio minimo deve arrivare a 200/300 CUCS (dollari) e va abolito il sistema perverso della doppia moneta. Sarebbe ora di finirla con la distinzione tra mercati e negozi riservati ai ricchi e quelli dove si servono i poveri. Non sono molto socialisti i privilegi speciali di cui gode la burocrazia al potere. A Cuba non deve più esistere il sindacato unico, ma deve affermarsi la libertà sindacale, il diritto di scioperare, dissentire e riunirsi. Non devono più esserci prigionieri politici. Non deve più esistere un partito unico, ma va dato spazio alla libera formazione dei partiti e a libere elezioni. Entrare e uscire dal paese non deve essere più soggetto a restrizioni per i cittadini. Il permesso di uscita e di entrata è un aberrante strumento di coercizione che ha fatto il suo tempo. Internet deve essere libero e alla portata di tutti. La censura non deve colpire musica, arte e informazione. I giovani devono potersi associare e poter presentare liberamente le loro proposte. Un piano economico nazionale serio deve recuperare il monopolio del commercio con l’estero, eliminare il doppio sistema monetario e aumentare i salari in maniera sostanziale. La pianificazione economica deve eliminare le differenziazioni sociali, la corruzione di chi governa e deve sovvertire la restaurazione capitalista. Devono essere recuperate le conquiste nel campo della salute e dell’educazione ottenute nei primi anni della rivoluzione dal popolo cubano.

Sono molte le cose da fare per migliorare le condizioni del popolo cubano, ma purtroppo viaggiano in direzione opposta alle prime riforme che abbiamo visto estrarre dal cilindro del governo rivoluzionario. Per ottenerle servirà un’altra rivoluzione?


Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi

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