domenica 21 ottobre 2012

Il cappello bianco


di Perla DÍAZ VELASCO

 
Il rumore incessante del treno, assordante e monotono, mi conciliava il sonno. Quando c’è tanta confusione arriva un momento in cui si smette di ascoltare e tutto si annulla per diventare una musica si sottofondo …

Nella prima parte della tratta ero stato da solo e furono sei ore in cui dormii come un ghiro; so di russare perché io stesso mi sveglio e il fatto di non avere compagnia mi aiutò a riposare senza patemi né sussulti. Ero stanco. Avevo passato le due settimane precedenti nelle missioni di Veracruz inondata da un uragano; come sacerdote avrei potuto continuare a dedicarmi esclusivamente all’opera di confessione ma non essendo una persona sedentaria volli dare una mano e prestare le mie braccia ancora forti. Questo, alla mia età, è stancante.

Passata l’emergenza ero di ritorno e a onor del vero fu una benedizione ritrovarsi in quel piccolo spazio adibito a giaciglio per viaggiatori esausti. Nel dormiveglia pensavo se la casualità può in qualche modo trasformare le nostre vite e se tutto questo è ciò che ci ostiniamo a chiamare Dio; e, di conseguenza, mi chiedevo se la mia vita aveva quel senso che io mi ostinavo a dargli.

Alla stazione di Puebla il mio riposo fu interrotto. Un anziano si affacciò alla porta vetrata tra i due vagoni, mi guardò con diffidenza ed entrò senza bussare.

-Buongiorno- disse con voce roca

-Buongiorno- risposi io alzandomi a malincuore.

Quel signore portava un abito dal quale si poteva indovinare un’estrazione sociale agiata. Il cappello bianco che indossava, costava, secondo i miei calcoli, più di quanto io potessi avere con me.

 
Si sedette adagiando il cappello a fianco a sé e mi fissò sfidandomi con lo sguardo.

-Va in Messico?-

-Sì- dissi.

-Anch'io. Lei è un sacerdote, affermò.

-Sì- risposi senza dare importanza al tono di voce. Mi squadrò dall’alto in basso e si voltò verso il paesaggio che scorreva dietro il finestrino. Passarono due ore di silenzio imbarazzante prima che mi rivolgesse la parola.

-Io sono un generale.

-Ah!- Esclamai senza scompormi. Di nuovo silenzio, poi inchiodò i suoi occhi dentro i miei.

-Ero generale ai tempi di Calles …

In quel momento mi fu chiara la situazione. Era un generale che aveva combattuto i Cristeros; mi trovavo di fronte a un assassino di sacerdoti.

Mi accorsi della smorfia che stavo assumendo e questa volta fui io quello che distolse lo sguardo verso l’esterno.

Un’altra ora di silenzio, sempre più imbarazzante secondo dopo secondo.

-E dorme sonni tranquilli?- tornai a parlare. L’uomo mi guardò con sorpresa.

-Non sono un assassino …

-No? Risposi incredulo ma senza alcuna ironia.

-No! Disse categorico. Ho soltanto interpretato la parte che mi è stata imposta.

-E che lei ha accettato.

-Qualcuno doveva farlo; e io ho fatto del mio meglio.

Notai che l’anziano signore, anche se non proprio in maniera diretta, cercava una giustificazione al suo operato. Mi chiesi se fosse per l’abito che portavo.

-Iniziai molto giovane- prese a narrare per me o forse per se stesso visto che mi guardò di rado per tutto il resto del viaggio. Raccontava con pause di minuti e talvolta di ore tra un’esposizione e l’altra.

-Sono nato in paese dove la religione è parte fondamentale della vita, avevo tre zii sacerdoti e quattro zie religiose. Un posto dove è la fede in Dio che ti cresce, dove le persone non si fanno domande. Un posto dove si nasce con la fede.

Mi chiesi se non mi volesse far capire che credeva in Dio.

-I miei genitori mi fecero studiare e quando venne il momento non fu difficile trovare un buon posto nel palazzo. Dopo le cose cominciarono a mettersi male. Calles non se la faceva con i buoni a nulla, le cose dovevano andare per il verso giusto e io ero lì, non c’era altro da fare. D’altronde, con quei figli di buona donna della capitale, dei veri e propri senzadio, sarebbe stato peggio, molto peggio.

L’uomo sprofondava nei suoi ricordi.

-Certo che ci furono cose brutte, imboscate, un numero imprecisato di morti, tutti eventi che mi passano davanti agli occhi ogni sera prima di prendere sonno.

-Spesso mi sono chiesto perché Dio mi volle lì, sono un uomo forte ma mai ho pensato che dovessi spargere il mio sangue per compiere …

-“Non c’è autorità che non venga da Dio”-pensai ad alta voce. Mi guardò con gli occhi umidi e con prontezza disse:

-Lettera ai Romani, 13, 1. “Non avresti nessun potere su di me se non l’avessi ricevuto dall’alto”, dove Paolo cita i vangeli di Giovanni capitolo 19, versetto 11.

Provai a immaginare quanti anni avesse cercato nella Bibbia un modo di giustificare il suo operato e le sue decisioni.

-Molte volte ho rischiato tutto, perfino i coglioni-affermò ridendo- e sa che cosa mi ha salvato?

Pendevo dalle sue labbra. L’uomo toccò il cappello che aveva vicino.

-Il cappello?- chiesi stupito.

-Le cose non sono sempre quello che sembrano. Questo cappello bianco è stato il mio salvacondotto nelle sparatorie. C’ero sempre io di fronte a ogni reggimento mandato dalla capitale e mi chiedo, non siamo tutti figli di Dio? E quindi? Cosa è più peccato? Uccidere fratelli o persone sconosciute?

Da fuori vidi che stavamo arrivando alla capitale. Dato che taceva ormai da qualche tempo mi alzai per andare al bagno cercando di non disturbare i suoi pensieri. Al mio ritorno pareva dormisse.

Al capolinea mi permisi di toccargli la spalla.

-Siamo arrivati, non scende?-

Cadde su un lato. In silenzio lo coricai, gli chiusi gli occhi ancora semiaperti e gli detti l’estrema unzione.

La sera stessa, nella solitudine della mia abitazione, compresi che non esisteva casualità. Dio mi aveva fatto incontrare quel generale per dare una risposta a entrambi; per mostrarci il cammino verso la luce.


Perla DÍAZ VELASCO
México DF, México

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