martedì 23 ottobre 2012

L’arte narrativa

di Fernando Sorrentino (Buenos Aires, 1942)
Traduzione dallo spagnolo di Federico Guerrini

il libro di Sorrentino più famoso in Italia

Cogliendo per caso al volo alcune parole che, in una libreria, scambiai, attraverso il bancone, con una venditrice, quell’uomo basso e grasso seppe — per modo di dire — chi ero.

Mi diede solo il tempo di lasciare il negozio e attraversare la carreggiata. Quindi mi abbordò con decisione, mi assediò, mi costrinse a spostarmi quasi sul bordo del marciapiede, disse:

— A lei, che è solito scrivere questi racconti ridicoli, senza capo né coda, le verrà utile conoscere un episodio che mi è capitato da poco. Può utilizzarlo per scrivere un racconto che valga la pena…

La mia esperienza, la faccia di quell’uomo e le sue parole irritanti mi dissero che il suo episodio non mi sarebbe servito per scrivere alcunché.

L’impazienza è congenita in me e con il passar degli anni si è andata perfezionando, fino ad arrivare a limiti intollerabili. Per di più, avevo i minuti contati; eravamo in calle Viamonte e io avevo solo un ambizione: attraversare per Callao, alla massima velocità delle mie gambe, i tre isolati che mi separavano da Corrientes e tuffarmi nella metropolitana a Chacarita. Da qui sarei schizzato fuori verso il caffè nel quale dovevo consegnare, con la mia solita maniacale puntualità, un certo lavoro letterario a una persona forse tanto impaziente quanto lo ero io.

Cercai di dirglielo. L’uomo, al di sopra dei miei farfugliamenti, disse:

— È noto che io possiedo un gran senso dell’umorismo. O, per meglio dire, ho il senso dell’umorismo molto sviluppato…

— È lo stesso — lo interruppi.

— Mi permetta, signor scrittore, mi permetta: non è lo stesso. Lei, proprio in virtù della sua attività letteraria, dovrebbe essere il primo a conoscere e adoperare in modo adeguato la differenza di sfumature esistente fra i diversi concetti che arricchiscono la nostra lingua castigliana. O spagnola, per essere preciso, giacché, come lei certo saprà (o forse non lo sa, e, in tal caso, glielo dico adesso, non è mai tardi per imparare), don Amado Alonso provò, a un certo punto, che lingua spagnola e non lingua castigliana è il nome più appropriato per il nostro bel ed eufonico idioma. Bello, eufonico… e ricco aggiungo ora. In effetti, la vasta ricchezza del suo vocabolario colloca al nostro bel ed eufonico idioma fra i più opulenti, non so se del mondo, però perlomeno delle varie lingue che compongono il comune tronco indoeuropeo, tre o quattro delle quali (lo dico senza iattanza) padroneggio con sufficiente perfezione.

Lanciai un ostentato sbuffo di impazienza.

Fernando Sorrentino

— Molto bene. Come le dicevo, io possiedo un senso dell’umorismo molto sviluppato. Beh, in effetti, io credo che tutti nasciamo con un certo senso dell’umorismo. Poi, con il passare degli anni (è un’idea mia), alcune persone lo sviluppano di più e, altre, meno. Io, in tutta modestia, credo di annoverarmi nel primo gruppo, ossia, in quello delle persone che sviluppano con più forza il senso dell’umorismo con il quale tutti nasciamo, senso dell’umorismo che alcune persone sviluppano con più forza e, altre, con meno forza. Mi spiego ? Il fatto è che passo la vita a fare scherzi. A scopo di esempio, le confesserò che nella casa editrice… Lavoro in una casa editrice (il cui nome preferisco, per il momento, non menzionare), come revisore di traduzioni: da qui la mia grande padronanza delle lingue indoeuropee. Rettifico: la mia grande padronanza delle lingue indoeuropee non è dovuta al fatto di lavorare come revisore di traduzioni in una casa editrice (il cui nome preferisco, per il momento, non menzionare), ma, in realtà è il contrario; voglio dire, il fatto di lavorare come revisore di traduzioni in una casa editrice (il cui nome preferisco, per il momento, non menzionare) si deve alla mia grande padronanza delle lingue indoeuropee, giacché, grazie a questa, ottenni il posto di revisore di traduzioni in una casa editrice (il cui nome preferisco, per il momento, non menzionare, poiché proprio ora sono in trattative con una seconda casa editrice, il cui nome, per il momento, neppure preferisco menzionare…). Spero che lei sappia perdonarmi questa riserva: lei sa che bisogna muoversi con prudenza. Lei si offende se taccio il nome delle due case editrici ? O perlomeno di una ?

— Non mi doveva raccontare un aneddoto ? — il sudore mi correva per il collo.

— Ci stavo arrivando. Il fatto è che, nella prima di quelle case editrici (il nome delle quali preferisco, per il momento, non menzionare), mi diverto a fare scherzi. Scherzi di buon gusto, si intende. Perché io detesto gli scherzi di basso livello, le battute sporche… Siccome mi diverto a fare scherzi, i colleghi della casa editrice (il cui nome, se lei non si offende, preferisco tacere), i colleghi della casa editrice, dicevo, mi chiamano, con affetto e senza cattiveria, il pagliaccio. E non voglio incorrere in altre digressioni, vado direttamente all’aneddoto… A proposito, molta gente, in maniera sbagliata, dice e scrive digresioni invece di digressioni, come sarebbe giusto… Per la sua tranquillità, le dico che lei non fa parte del numero di questi deformatori del linguaggio, del nostro bel, eufonico e ricco idioma spagnolo, che si chiama così e non castigliano, come credono in molti…

Diedi in un brusco scalpitio di irritazione.

— Arriviamo subito all’aneddoto. Mi diverto a fare scherzi. E nella casa editrice…

— Il cui nome preferisce, per il momento non menzionare… — pensai che questa impertinenza gli facesse cambiare stile.

— In effetti, signore: il cui nome preferisco, per il momento, non menzionare — replicò offeso — E la prego di rispettare le ragioni che mi portano ad adoperare questa riservatezza in un affare così delicato. Però debbo dirle, inoltre, che non pensavo di ripetere ora questo concetto, perché ero dell’idea, che ora vedo errata, che il suddetto concetto era stato chiarito a sufficienza. Perciò, benché la mia concezione dello stile letterario sia agile e veloce, ragion per cui odio le ripetizioni, le circonvoluzioni e le digressioni (che la gente poco avezza alle questioni grammaticali chiama digresioni), ora non ho altra scelta che reiterare quel concetto: è così, mio stimato signor Sorrentino, preferisco, per il momento, non menzionare il nome della casa editrice in cui svolgo, oso pensare efficacemente, il ruolo di revisore di traduzioni, grazie alla mia grande padronanza di diverse lingue indoeuropee.

In questi casi, adotto atteggiamenti teatrali:

— Se è necessario — gemetti —, glielo chiederò in ginocchio e con le lacrime agli occhi: per quello che ha di più caro, mi racconti una buona volta il famoso aneddoto.

— È quello che farò immediatamente. Non parlerò più della casa editrice, non dirò che preferisco non menzionare il suo nome, non dirò che svolgo con efficacia il mio ruolo di revisore di traduzioni grazie alla mia grande padronanza delle diverse lingue indoeuropee e ancor più mi asterrò dal dire che i miei colleghi, con affetto e senza cattiveria, mi chiamano il pagliaccio. Tutte queste utili informazioni le lascierò, a malincuore, nel calamaio (metafora, d’altra parte, nient’affatto originale, però che può impiegarsi, legittimamente benché in maniera paradossale, nella lingua orale). E riferirò, senza permettermi la minima riflessione mordace, né il minimo giudizio lapidario, l’aneddoto che le verrà utile per scrivere un bel racconto.

Ritenni prudente rimanere in silenzio.

— Io mi diverto a fare scherzi. Di questa mia passione sono testimoni i miei colleghi della casa editrice (casa editrice sul cui nome abbiamo già concordato in maniera tacita, se vogliamo, un patto fra gentiluomini, la più importante delle cui clausole è superfluo citare e che consiste nel non menzionare il nome della casa editrice dove svolgo con efficacia il mio ruolo di revisore di traduzioni grazie alla mia grande conoscenza di diverse lingue indoeuropee e nella quale i miei colleghi mi chiamano, con affetto e senza cattiveria, il pagliaccio). Anche mia moglie va matta per i miei scherzi; mia moglie si chiama Laura (nome di origine latina, che evoca l’alloro); ma il suo cognome (palindromo) è tedesco: Renner, e significa cavallo veloce o cavallo da corsa: vede che buffo che risulta che una donna si chiami cavallo veloce o cavallo da corsa e non giumenta veloce o giumenta da corsa !

E proruppe in una serie di risate stentoree. Ricorsi all’atteggiamento istrionico di strapparmi i capelli per la disperazione.

L’uomo era passato dall’ilarità alla tosse. Dopo essersi schiarito la gola, continuò:

— E qui entriamo in pieno nel cuore dell’aneddotto. Questo occorse, si verificò, successe, accadde, ebbe luogo, o si svolse in uno dei sette giorni che composero, costituirono o formarono la settimana scorsa. Per essere più preciso, il giovedì, giorno che i romani consacravano a Giove… Io sono molto appassionato di studi mitologici e potrei parlarle ore intere sulla mitologia greco-romana alle cui fonti mi sono abbeverato, giacché fra le diverse lingue indoeuropee, la cui padronanza mi ha permesso di svolgere efficacemente il ruolo di revisore di traduzioni in una casa editrice (il cui nome preferisco, per il momento, non menzionare), non è da disprezzare l’esaustiva conoscenza che mi fa adorna di queste lingue morte, il greco e il latino, il cui studio si va trascurando, ed è un peccato, nelle ultime decadi. Non accadeva così, di certo, nei secoli XVI e XVII; si ricordi che don Miguel de Cervantes, il glorioso Monco di Lepanto, il Principe degli Ingegni, autore del Don Chisciotte, il cui titolo completo è La storia di don Chisciotte della Mancia, delle Novelle esemplari e di tante opere che hanno arricchito la letteratura occidentale, abbondava in citazioni latine nelle quali…

In quell’istante, si fermò di fronte a noi un autobus 29. Scese qualche persona. Aspettai che si mettesse in marcia e salii a bordo con un balzo.

— Fino a Pacifico — dissi, con errore deliberato.

— Deve prenderlo all’inverso, capo — rispose l’autista — Quello che torna verso Córdoba.

Scesi in Viamonte e Montevideo. Guardai indietro e immaginai quanto fosse contrariato e offeso quell’uomo basso e grasso che non aveva potuto trasmettermi l’argomento di un racconto memorabile.

Immediatamente, mi lanciai a tutta velocità verso l’avenida Corrientes.


Título español: “El arte narrativo”. Cuento incluido en el volumen Existe un hombre que tiene la costumbre de pegarme con un paraguas en la cabeza, Barcelona, Carena, 2005, 356 págs.

Fernando Sorrentino = fersorrentino@yahoo.com.ar
Per saperne di più:

Il traduttore: Federico Guerrini

• Registrado en la Dirección Nacional del Derecho de Autor de la República Argentina con el número 260.452

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