martedì 21 giugno 2011

Segreto di Stato

di Yoani Sánchez


In merito alle condizioni di salute del presidente cubano per decenni è stato mantenuto il massimo riserbo. Era l’argomento meno trasparente della vita nazionale, che veniva affrontato solo se era proprio necessario dare notizie sullo stato fisico del governante. A un certo punto, il 31 luglio 2006, è stato diffuso un comunicato che annunciava la malattia fulminante di Fidel Castro. Ricordo che quella sera il mio telefono fu sul punto di andare in tilt, perché tutti gli amici chiamavano per verificare se avevano sentito davvero la notizia. Il giorno successivo la malattia era di dominio pubblico, tutti parlavano sussurrando, i viali erano sorprendentemente vuoti e la gente evitava di guardasi direttamente negli occhi. Molte persone, nate e cresciute sotto il potere interminabile di uno stesso uomo, erano costernate. Si vedevano espressioni tristi, ma devo confessare che la maggior parte dei cubani sembrava tirare un sospiro di sollievo.

Dopo abbiamo passato una fase durante la quale ci somministravano a piccole dosi i referti medici e solo gli ospiti stranieri affermavano di aver visto il Comandante in Capo, mentre a noi non lo mostravano. All’Avana fu organizzato un Vertice dei Paesi Non Allineati, nel quale il convalescente in divisa verde oliva venne nominato leader temporaneo del movimento, nonostante la sua assenza. Si continuavano a fare molte congetture sulla sorte di Fidel Castro. Respirava ancora o era andato a rimpinguare il panteon delle figure storiche? La stampa ufficiale manteneva il silenzio, alternandolo con espressioni trionfalistiche sui miglioramenti di salute. Pochi coraggiosi osavano dire a voce alta che la salute di un governante non poteva essere considerata un segreto di Stato ed erano in numero ancora minore coloro che pretendevano la rinuncia al potere, visto che non poteva più adempiere alle sue funzioni. Sono dovuti passare quasi tre anni perché fosse proprio il paziente a confessare in una delle riflessioni pubblicate su Granma, di essere stato in fin di vita. Abbiamo finalmente scoperto che quando le persone ammesse al suo cospetto riferivano: “Sta percorrendo campagne e paesi”, “Vivrà fino a 120 anni”, “Ha una condizione fisica invidiabile”, in realtà mentivano. Forse si trattava di una macchinazione politica, per continuare a farci dominare dal suo carisma paralizzante. Siamo stati imbrogliati ancora una volta.

Abituati a leggere i bollettini medici al contrario e a non fidarci delle diagnosi benigne, non è passata inosservata la convalescenza di Hugo Chávez nel nostro pese. Anche con lui, come fecero a suo tempo con Fidel Castro, hanno cercato di dissipare tutte le preoccupazioni e non sono stati resi pubblici i dettagli sulla malattia. Il segreto in merito all’operazione chirurgica praticata sul presidente venezuelano, fa pensare che ci stanno nascondendo qualche informazione. Come in quella estate di quattro anni fa, manca la chiarezza, perché gli scarni comunicati ufficiali cercano soltanto di distrarre l’attenzione delle persone. Pare di rivivere la paranoia di quei giorni in cui calò una vera e propria cortina di silenzio sulle condizioni di salute di una persona anziana, sul fatto che un dirigente potesse continuare o meno a guidare la “sua truppa”.

La convalescenza di Chávez presenta per noi anche altre implicazioni. Mette in evidenza la fragilità dell’uomo, il lato umanamente vulnerabile che si nasconde sotto la giacca rossa. Per questo motivo la dipendenza economica che unisce Piazza della Rivoluzione a Palazzo Miraflores, da alcune settimane sembra meno solida. Le previsioni a lungo termine sono state modificate inserendo una variabile prima trascurata: neppure l’altro comandante sarà eterno. Si diffonde il panico tra i grassi burocrati, tra i funzionari che fondano il potere sui sussidi che arrivano da Caracas e tra gli impresari che rivendono parte dei centomila barili giornalieri di petrolio inviati dal nostro “nuovo Cremlino”. Queste persone trattengono il fiato in attesa che quanto prima Chávez torni a firmare accordi, a parlare davanti a telecamere e microfoni, a governare a colpi di decreti presidenziali.

Anche se la stringata nota pubblicata sui mezzi di comunicazione ufficiali ha cercato di fermare le speculazioni sulle condizioni attuali di Hugo Chávez, in realtà è servito solo a incentivarle. Noto una certa malsana morbosità, un gusto per il pettegolezzo gratuito in tutte queste chiacchiere che si diffondono per le nostre strade. Non è colpa soltanto della nostra natura estroversa e impertinente, quanto del silenzio che per troppo tempo ha circondato la questione. Quando un argomento, qualunque esso sia, diventa un tabù per l’opinione pubblica, allora niente è più affascinante che mormorare e inventare particolari sul tema proibito. Per cinquant’anni ci hanno fatto credere che eravamo governati da una persona che non sapeva cosa fossero le malattie, il dolore e la stanchezza. Quando la bolla di sapone dell’“invulnerabilità” del Comandante in Capo è svanita davanti ai nostri occhi, siamo diventati scettici di fronte alle notizie sulla salute di chi ci governa. Per questo motivo anche Chávez è oggetto della stessa incredulità e le sue condizioni di salute sono al centro dei nostri discorsi. È il modo personale che abbiamo trovato per renderci conto che lui - come Fidel Castro -, paragonato con il tempo della storia, è un personaggio mortale, effimero e passeggero.


Traduzione di Gordiano Lupi


La vignetta di Omar Santana mostra Hugo Chávez conalescente in un ospedale cubano, intento a studiare frasi dal contenuto rivoluzionario scritte da Evo Morales Ayma.

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