venerdì 11 novembre 2011

A tu per tu con Yoani Sánchez


La morte di Laura Pollán, la cattura di Gheddafi, la polemica tra Pablo Milanés e Edmundo García e il suo recente scontro con la figlia del generale Raúl Castro su Twitter sono i temi di questa intervista concessa a martinoticias.com.

La filologa - blogger cubana Yoani Sánchez confessa di essere ogni giorno “più informatica e meno filologa”, ma non è così vero. Basta leggere (nel suo blog Generación Y) i bozzetti di una vita quotidiana - grigia e monotona - che molti lettori apprezzano come racconti di viaggio e altri come il sincero e poetico diario di una donna di 36 anni, cresciuta con “i cartoni animati russi” e con l’idea che nel suo paese è quasi tutto vietato.

Yoani è una donna minuta ma molto determinata. In questi giorni è tornata a far parlare di sé per uno scontro su Twitter con Mariela Castro, la figlia del generale Raúl Castro, dopo averle detto: “Qui nessuno mi può far tacere, negarmi il permesso di viaggiare, né impedirmi l’ingresso”. Un atto coraggioso, senza dubbio.

Hai dato il benvenuto a Mariela Castro su Twitter, ma la figlia del generale ha debuttato sul social network insultando invece di partecipare al dibattito. Che cosa puoi dirci in proposito?

Mariela Castro ha aperto questa settimana uno spazio su Twitter, rete sociale caratterizzata dal fatto che i cittadini parlano tra loro liberamente. Qui un presidente e un uomo politico non sono più importanti di chi li segue e chiede informazioni sul loro conto. Mariela Castro ha fatto una cosa buona a entrare su Twitter, ma purtroppo ha portato l’atteggiamento tipico della famiglia autoritaria che governa Cuba. Abbiamo avuto uno scambio di messaggi perché mi è venuto in mente di chiederle quando noi cubani potremo uscire dagli altri armadi, visto che Mariela Castro è una donna che si batte per il rispetto delle libere scelte sessuali, mentre a me interessa anche che si rispettino le differenze politiche e ideologiche che esistono in questa nazione. La mia domanda ha provocato una reazione molto dura, ma spero che in futuro il suo modo di fare migliori ed evolva verso una maggior tolleranza.

Quando parli di altri armadi ti riferisci alle libertà individuali?

Esattamente. Penso che la tolleranza non deve essere a settori e in una sola area della società, ma bisogna chiedere con forza che a Cuba venga depenalizzata la diversità ideologica e che sia possibile mostrare pubblicamente la propria preferenza politica senza essere puniti. Non dobbiamo essere condannati al partito unico, chi ha idee liberali e socialdemocratiche deve poterle esprimere liberamente e senza paura.

Mariela Castro dice nella sua risposta: “Il tuo concetto di tolleranza riproduce i vecchi meccanismi di potere”. Cosa avrà voluto dire?

Ti fai la stessa domanda che mi sto ponendo da ore. Cosa avrà mai voluto dire con queste parole Mariela Castro, proprio a me che sono una cittadina e non ho nessun potere? E poi, da quale pulpito viene la predica! Mariela è nata in quella che possiamo definire “la famiglia reale cubana”, che ha mantenuto il potere per oltre cinquant’anni… una frase così le si ritorce contro, è come un boomerang lanciato che finisce per cadere sulla sua fronte. “Vecchi meccanismi di potere”, come tutti possono vedere, è il sistema tenuto in piedi da Fidel e Raúl. Io non c’entro.

Questo scontro con la figlia del generale, un presidente al potere senza essere stato eletto democraticamente, non potrebbe causarti problemi? Non hai paura?

La paura c’è sempre. Ogni giorno temo che la polizia bussi alla mia porta, per portarmi via, giudicarmi e condannarmi a una lunga pena detentiva, come hanno fatto con altri. Ma questa rete sociale (Twitter), il mio blog e la mia voce che si fa sentire all’esterno, mi proteggono. La mia visibilità è il mio scudo protettivo, ma è anche un modo per essere nel mirino del governo e degli organi repressivi, che è una cosa molto pericolosa. Ho paura, ma la paura può avere tanti effetti: ti può paralizzare e farti nascondere sotto il letto, ma anche spingerti a correre proprio contro la fonte che produce questa paura, come capita a me.

Come ha accolto la dissidenza cubana la cattura e la successiva esecuzione del dittatore Gheddafi?

La cattura di Gheddafi e la sua morte è stata letta a Cuba in due modi. La prima è stata fatta dai cittadini. Ci siamo detti: è possibile farla finita con un governo autocratico, dittatoriale e invasivo che dura da decenni. Gheddafi cade, perché non potrebbe cadere anche il castrismo? Raúl Castro ha letto i fatti in altro modo. Si è detto che deve aumentare il controllo, la militarizzazione, la presenza della polizia nelle strade, nelle case, nei gruppi di opposizione, perché teme di fare la stessa fine di Gheddafi. Noi cubani viviamo tra la speranza che ci possa essere una fine e le misure profilattiche del governo, perché questa fine non arrivi.

C’è chi dice che Laura Pollán (leader delle Damas de Blanco) possa essere stata avvelenata. Cosa ne pensi?

Non ho conoscenze mediche tali da poter essere sicura di un fatto così grave. Ero presente in ospedale e posso dirti solo che i dottori non avevano le idee chiare sulla malattia di Laura. Per diagnosticare il dengue (che a Cuba è una malattia endemica) c’è voluto molto tempo, oltre cinque giorni per capire che si trattava di un dengue emorragico. Tutto questo pare incredibile in un sistema sanitario come quello cubano. Ma di qui a essere certa che sia stata avvelenata la strada è lunga e non me la sento di avvalorare questa tesi. Forse non è stato fatto tutto il possibile per salvarla…

In un certo senso ti consideri erede della lotta che Laura non ha potuto portare a termine?

Senza dubbio le Damas de Blanco e soprattutto la figura carismatica di Laura, hanno aperto una breccia dalla quale siamo passati in molti, non soltanto donne. Le Damas de Blanco sono riuscite a sottrarre al governo, per la prima volta in 50 anni, un pezzo di città, sono riuscite a dire ogni domenica, intorno alla Chiesa di Santa Rita: Percorriamo questa strada e non abbandoniamo questo spazio. Tutti siamo un poco debitori ed eredi di Laura. E adesso che è morta la sua figura è diventata una sorta di “luce guida”.

Come vedi il caso della detenzione di Nila Hernández, la sposa del presentatore Tony Cortés? C’è chi parla di un bluff…

Ho conosciuto Nila quando è venuta a settembre e mi sembra una persona energica, desiderosa di fare. Non me la sento di speculare sulle sue intenzioni e non ho niente in mano per accusarla. Posso dirti che molti attivisti sono indignati a Cuba per la sua lunga detenzione a Villa Marista. Ritengono che non abbia commesso i crimini dei quali è accusata: attentato alla sicurezza nazionale, trasmissione di notizie false e tendenziose. Siamo di fronte alla domanda di sempre. Fa parte della Sicurezza di Stato oppure no? Sono stanca di farmi queste domande. Ho 36 anni e ho vissuto con persone che passano la vita a chiedersi se il vicino è della CIA o della Sicurezza di Stato. Questa donna sta soffrendo, è detenuta, la sua famiglia è in difficoltà. Non abbiamo elementi per fare altre congetture.

Cosa pensi della famosa lettera di Pablo Milanés a Edmundo García?

Pablo è un uomo di grande caratura etica, molto più solida di Edmundo García. Parlo di un uomo (Milanés) che ha commesso molti errori, ma è stato capace di superarli e di cambiare; credo che sia una cosa importante. Un tempo è stata cantore del castrismo ma adesso è su posizioni molto critiche. Nel caso di Edmundo, si tratta di un “giornalista”, definiamolo così, che si dedica ad aggredire, a ripetere slogan e ad assecondare il discorso governativo. Sono stata molto contenta quando Pablo ha inviato a Edmundo García una lettera dura e sincera. Se lo meritava da molto tempo.

Hai detto: “Appartengo a una generazione che ha sempre pensato che quasi tutto è proibito”. Come fare per superare la paura, se tutto è vietato?

Ogni giorno bisogna alzarsi e scrollarsi di dosso l’autocensura. Frasi come “non me lo lasceranno fare” e “tanto è proibito”, non si devono pronunciare, perché servono solo a impedirci di andare avanti. Più della censura istituzionale e del controllo statale, c’è qualcosa dentro di noi che dobbiamo eliminare. Per questo dico sempre ai miei amici - tra il serio e il faceto - che sto già vivendo il post castrismo, perché non mi pongo limiti per esprimermi. Mi alzo e dico: “Oggi voglio essere un poco più libera”.

Mariela Castro ti ha mandato a studiare. Tu dove la manderesti?

Io sono un’eterna apprendista. A me piace molto studiare. Voglio passare il resto della mia vita studiando. Ma mi sembra molto arrogante quando due persone stanno cercando di fare un dialogo che una squalifichi l’altra dicendole che deve studiare. Un atteggiamento che mostra “una regina indignata perché una plebea ha osato rivolgerle la parola”. Certo che andrò a studiare, ma al tempo steso consiglierei a lei di studiare il modo di parlare, di comportarsi e di discutere nei social network. In rete non esistono gerarchie e nessuno pretende di impartire lezioni agli altri.


Gordiano Lupi

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