domenica 25 settembre 2011

Intervista a Yoani Sánchez


Yoani Sánchez: “Possono reprimermi, minacciarmi, ma non togliermi il sorriso”
“La repressione consiste nell’esercitare una forte pressione psicologica senza lasciare tracce”

di Carol A. Jardim
http://www.novemesesemmadri.blogspot.com/
24 settembre 2011


Sedute davanti all’oceano, due cubane di 18 anni guardano la linea misteriosa dell’orizzonte e parlano dell’incerto futuro del paese. Gli studenti di Storia non sono mai usciti dall’isola, conoscono il mondo grazie ai racconti delle persone che visitano Cuba e di alcuni programmi televisivi. Nel primo anno di corso devono attendere il permesso della loro università per disporre di un indirizzo di posta elettronica e devono frequentare il terzo anno per poter accedere ad altri contenuti della Rete. “Non ho mai visto una pagina web. Internet a Cuba è un lusso”, racconta una di loro.
Nel frattempo, nella parte opposta della capitale cubana, un’altra donna riflette sui giorni che verranno, ma di fronte alle onde elettromagnetiche di un computer. Yoani Sánchez scrive un altro testo per il suo blog Generación Y, che verrà letto da milioni di persone di tutto il mondo.
Le universitarie non conoscono la Sánchez. Non hanno mai sentito parlare di questa cubana seguita da 160.000 persone su Twitter, che è diventata una delle 100 persone più influenti al mondo, secondo la rivista Time (2008), e che ha vinto diversi premi come l’Ortega y Gasset di Giornalismo Digitale e il María Moors Cabot, assegnato dalla Columbia University.
L’anonimato della Sánchez è giustificato. Si stima che solo il 3% dei cubani possa avere accesso diretto a Internet. Chi la conosce, perché può pagare l’uso della Rete o perché ne ha sentito parlare in una campagna mediatica governativa costruita per denigrarla, ha opinioni diverse. Alcuni la ammirano, altri la disprezzano. Tutto questo riflette la profonda divisione politica del paese comunista.
“Sánchez? Quella ragazza che dice un sacco di menzogne? È una controrivoluzionaria”, commenta una signora che tiene in casa un altarino, come lo definisce lei stessa, composto da sculture e immagini di Fidel Castro, José Martí, Che Guevara e Lenin.


Dall’anonimato alla fama

Yoani Sánchez ha dato il via al blog Generación Y ad aprile 2007 per smettere di tacere. Il blog è diventato un fenomeno culturale, uno spazio di idee, riflessioni e storie che oggi vengono tradotte in 22 lingue da volontari di diversi paesi. Riceve dieci milioni di visite al mese e, come minimo, mille commenti per ogni post. Nel suo spazio virtuale, scrive come si vive in un “regime totalitario”.
“Mi sentivo soffocare, avevo necessità di cambiare vita. Il mio blog è un diario personale, non è un libretto politico. Nei miei testi, scrivo sul mio paese con uno sguardo civico, intimo ed emotivo”, afferma con serenità questa cubana di 33 anni, come se i suoi sentimenti fossero contenuti nei post del blog.
La blogger è inserita nell’elenco della rivista Time, a fianco di leader come George W. Bush, Hu Jintao e Dalai Lama.
“Sono una persona minuscola, non possiedo un’auto, non ho un conto in banca, sono priva del diritto di uscire dal mio paese. Certo, il fatto di essere in una lista che comprende celebrità come Angelina Jolie mi rende orgogliosa e mi fa piacere. È forse il segnale che il regno dei grandi sta per finire”, scherza.


Yoani vive in un appartamento di 52 metri quadrati, al quattordicesimo piano di un edificio costruito dal marito, il giornalista Reinaldo Escobar. Per incontrarla, bisogna prendere un minimo di precauzioni.
“Tranquillità non è la parola giusta per definire la mia vita. Mi accadono cose terribili ogni giorno. Mi controllano ovunque. Non posso avere un minimo di privacy in un luogo pubblico con mio marito, perché uomini della Sicurezza di Stato mi fotografano e registrano quello che faccio e cosa dico”, racconta.
Tuttavia, la persecuzione non le toglie il buon umore.
“Nonostante tutto sono ottimista. Come dice mio marito, che è un filosofo naturale, le cose non sono come ti accadono ma come le prendi. Il Governo mi può tagliare i fili al telefono, reprimermi, minacciarmi, picchiarmi, ma non può togliermi il sorriso, la mia principale arma di difesa. È una terapia personale”, dice la blogger, che in passato è stata minacciata, detenuta e percossa dalla polizia cubana.


Controllata dal Governo

Da quando ha creato Generación Y, nell’aprile 2007, la vita della blogger è cambiata radicalmente. Gli amici della Sánchez dicevano che aveva il dono dell’invisibilità. “Mi piaceva nascondermi e amavo l’anonimato. Sono passata da essere una persona che nessuno conosceva a trovarmi in mezzo a un sacco di cose. Non mi dispiace. Si tratta di un sacrificio civico che ho scelto di fare”.
Il prezzo che paga per stare sotto i riflettori è alto: “Mi spiace molto quando vedo che lo Stato usa tutto il suo apparato mediatico per distruggere una persona. La settimana scorsa hanno mostrato il mio volto in televisione, definendolo con i peggiori aggettivi. In un governo totalitario, questo equivale alla morte sociale, è una vera e propria lapidazione pubblica”.
Secondo la blogger, il problema non è solo la diffusione di un’immagine in maniera aggressiva dai teleschermi. Pure le intimidazioni che subiscono i suoi amici sono dolorose. Le persone che si recano a casa sua, possono ricevere minacce e fastidi di ogni tipo.
“Molte volte quando fisso un appuntamento per telefono con una persona in un luogo determinato, mi rendo conto che la polizia mi anticipa per controllare. In questo modo mi vogliono dire che stanno archiviando ogni istante della mia vita. Sto perdendo molti amici. Non so se una persona smette di salutarmi perché si trova male con me o perché è stata minacciata”, aggiunge.


Yoani dice che la repressione non è diminuita con il passaggio del potere da Fidel Castro al fratello Raúl.
“Ha soltanto cambiato stile. Nel governo di Fidel, una persona poteva scontare una lunga pena detentiva. Adesso, la polizia arresta un dissidente per un paio d’ore, ma esercita su di lui una violenza psicologica e una pressione molto forte, senza lasciare né segni né tracce”, sottolinea.


Resistenza

Yoani Sánchez si trova al centro di polemiche e accuse. C’è chi non crede al fatto che sia stata arrestata e percossa dalla polizia cubana. Altri ritengono che la blogger sia finanziata dal governo degli Stati Uniti per parlare male del regime cubano. Altri ancora pensano che sia Fidel Castro a pagarla per dimostrare che esiste libertà di espressione nel suo paese.
Yoani sta imparando ad affrontare le critiche.
“Quando due estremisti ti criticano in maniera contraddittoria, significa che sei una moderata. Molta gente si limita a informarsi seguendo i mezzi di comunicazione governativi. Io non l’ho mai fatto. Ho sempre cercato di andare oltre. La gente che vuole davvero conoscermi, legga quel che scrivo”, risponde.


Yoani non è preoccupata per le cose che dicono sul suo conto. Pensa che una persona pubblica debba essere preparata alle critiche, per quanto ingiuste siano.
“Il prossimo presidente cubano dovrà abituarsi al fuoco incrociato della pubblica opinione. Se non sopportano una caricatura in un giornale o una critica, vuol dire che non sono preparati a fare politica”. La blogger si definisce una “cittadina inquieta”, senza un’ideologia definita. “Non sono né di destra né di sinistra, sono una post-moderna. Sono un frutto di questo sistema, ma sono anche un frutto corrotto da questo sistema. Sono una democratica autodidatta che si è formata nella polemica e nel dialogo. Mi sono resa conto che le accuse sono direttamente proporzionali all’importanza di Generación Y. Mano a mano che la gente conosce sempre di più il blog, la propaganda ufficiale si fa più aggressiva. Ogni volta che vedo il mio volto in televisione o un’aggressione penso che sto raggiungendo più persone”.


L’appoggio del pubblico serve per ricaricare le batterie. Molti cubani dimostrano la loro ammirazione per una persona che è riuscita a far sentire la sua voce in un paese dove manca la libertà di espressione.
“Leggo il blog della Sánchez quando accedo a Internet da un hotel. Mi sembra una ragazza coraggiosa, come le Damas de Blanco [le donne che lottano per la liberazione dei loro familiari incarcerati dal regime]”, dice una cubana di 44 anni che preferisce restare anonima, dopo essersi lamentata per la mancanza di libertà e per il degrado economico del paese. “Lei ci racconta storie che non vengono pubblicate dalla stampa ufficiale, argomenti che ci piacerebbe affrontare, ma che vengono tenuti nascosti. Stiamo perdendo la nostra identità. Viviamo in un sistema dove impera la doppia morale".


Yoani Sánchez incontra molte persone all’Avana che le fanno forza e la incoraggiano. Racconta che ogni volta che passeggia almeno 3 persone la identificano. “La gente si avvicina e dice a voce bassa: Ti leggo, resisti”. E lei resiste. Negli ultimi 4 anni ha chiesto per 17 volte al Governo il permesso di uscire dal paese, per ricevere premi, per presentare il suo Cuba libre, per partecipare a congressi e conferenze. Non l’ha mai ottenuto.
“Il fatto che il Governo non mi faccia uscire per ritirare i premi, mi aiuta a mettere da parte denaro per realizzare il mio sogno: fondare un giornale libero nel mio paese”, rivela la blogger. “Voglio avere una mia rivista, insegnare come si lavora con Internet, collaborare con altre persone per diffondere le conoscenze in tema di tecnologia digitale”, conclude.


Dall’Isola al vecchio continente

Era il 13 agosto del 2001, Yoani Sánchez accese la radio cubana nel giorno del compleanno di Fidel Castro e ascoltò una frase che si ripeteva ogni anno: “Oggi è il compleanno della patria”. La propaganda ufficiale fece imprimere alla sua esistenza un grande cambiamento. “Non ce la facevo più. Decisi di cambiare vita”.
Yoani si era laureata in Filologia. Aveva lavorato in una casa editrice e come professoressa di spagnolo per stranieri. In quel periodo aveva impartito lezioni a persone di tutto il mondo. “Molti dei miei alunni mi aiutarono a espatriare”. Comprò un biglietto ed emigrò in Svizzera, uno dei paesi più ricchi del mondo, dove restò due anni. “Me ne andai intenzionata a non tornare mai più a Cuba”, racconta. Abbandonò L’Avana Vecchia, una città rimasta indietro nel tempo, per vivere a Zurigo, uno dei luoghi al mondo con miglior qualità della vita. Lavorò in bar, ristoranti, ma il lavoro che più le piacque fu quello in una libreria latinoamericana.
“Ho avuto modo di studiare a fondo la letteratura cubana e dell’America Latina. Ho avuto l’opportunità di leggere molte opere proibite a Cuba, come testi di Guillermo Cabrera Infante, Reinaldo Arenas e Mario Vargas Llosa", racconta.


A causa di una malattia del padre, Yoani decise di tornare alla sua isola caraibica correndo tutti i rischi del caso, perché dopo 11 mesi che un cubano esce dal paese, viene considerato emigrante definitivo e non può tornare a risiedere a Cuba.
“Sono molto attaccata alla mia famiglia e qualcosa mi diceva che dovevo tornare. Presi un aereo come turista e, quando arrivai a Cuba, strappai il mio passaporto. Il governo cubano non avrebbe potuto espellermi dal mio paese e inviarmi con la forza in un altro luogo”, spiega Yoani, che al tempo stesso dice di rimpiangere la nazione europea che ha lasciato. “In Svizzera ho lasciato molti bei ricordi. Stavo molto bene in quel paese, ma a Cuba ho tante cose da fare e voglio restare qui”, conclude.


Grido per la libertà

Quando è tornata al suo paese, Yoani dice di essersi fatta molte domande, ma di aver avuto una sola certezza: non voleva continuare a tacere come aveva fatto in passato. “Ormai sono a Cuba, ho messo in pericolo la mia vita, tanto vale assumere il rischio fino in fondo”. L’attivista cubana racconta di aver sofferto uno shock: “Il ritorno è stato traumatico. Mi trovavo in un paese senza accesso a Internet, priva di telefono mobile, dove non potevo leggere la vera stampa ma solo periodici controllati dal governo. In Svizzera compravo giornali, leggevo informazioni da tutto il mondo e potevo navigare senza limiti sul web”.
Yoani Sánchez ha creato un suo spazio telematico in un paese dove non esistono infrastrutture tecnologiche. Insieme ad alcuni amici ha fondato la rivista digitale Consenso, dove affrontava diversi temi - economia, politica, storia, letteratura - senza condizionamenti politici. “Non era una rivista incentrata sulla critica al regime, ma era una pubblicazione libera”.


Dopo tre anni quel contenitore di idee non bastava più. “Avevamo bisogno di uno spazio più aperto. La rivista aveva dei limiti editoriali”. Per questo motivo nacque la piattaforma digitale Desde Cuba, dove scrivono altri blogger cubani, e subito dopo Generación Y, ispirata alla generazione che ha una Y nel nome, proprio come Yoani.
Mandare avanti un blog dall’Avana non è come gestirlo da qualsiasi altra parte del mondo. Yoani aveva accumulato una buona esperienza digitale durante i due anni trascorsi in Europa e dopo aver fatto molte ricerche su Google. Certo, la sua dimestichezza con i macchinari è nel suo DNA. “Sin da piccola mi piacevano l’elettricità e i circuiti. Riparavo radio vecchie di dieci anni, televisori e persino frigoriferi. Merito di mio padre che era macchinista di treni e ci sapeva fare con le mani”, dice
Nel 1994, a 16 anni, Yoani costruì il suo primo computer. Comprò i pezzi al mercato nero e mise su una sorta di Frankenstein, che usò per scrivere il suo primo periodico letterario distribuito all’Università. Questa pratica è servita per la successiva creazione del blog, inserito dalla CNN tra i 25 migliori del mondo.


Il successo della sua pagina può essere attribuito a vari fattori. Prima di tutto l’ha lanciato un anno prima che Fidel si allontanasse dal potere per motivi di salute. “La gente voleva informarsi sul periodo di transizione che avrebbe caratterizzato l’isola”, dice la blogger. Secondo il giornalista indipendente cubano Iván García, amico intimo di Yoani, Generación Y ha il potere di “arrivare alla gente”. Yoani è stata una delle prime cubane che ha avuto il coraggio di firmare le sue storie con il suo vero nome. “C’erano altri blogger, ma lavoravano sotto pseudonimo”, ricorda. García dice che il contenuto del blog è originale: “Yoani racconta la realtà di Cuba in prima persona, con nomi, cognomi e colori, a differenza dalle agenzie di stampa che pubblicano notizie in forma molto fredda”. Secondo il giornalista, Yoani ha una sorprendente capacità di sintesi. “Con 300 parole racconta la società”, spiega Iván, che ha passato con Yoani molte notti insonni per discutere su “come cambiare il mondo”.


Ottimismo per il futuro

La salita al potere di Raúl Castro ha generato molte speranze di cambiamento per i cubani. Tuttavia, Yoani Sánchez crede che i prossimi cinque o sei anni saranno molto difficili per il suo paese. “Ci saranno repressioni se il governo sentirà di aver perso il controllo della situazione. Avremo riforme apparenti e passi indietro. Sembra che ci saranno aperture economiche, ma al tempo stesso si fanno passi in direzione contraria. Raúl è un presidente troppo legato al passato e non è la persona giusta per imprimere un nuovo corso alla storia di Cuba”.
Secondo Yoani, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha risvegliato molte speranze nei cubani, ma crede che i passi fatti sino a oggi siano insufficienti. “Ci saremmo attesi di più. Prima di tutto la fine dell’embargo, l’ultimo argomento ideologico che rimane al castrismo”. Il Governo cubano sostiene che il principale ostacolo per lo sviluppo del paese sia il blocco economico degli Stati Uniti, decretato nel 1962. “Sono decisamente contraria all’embargo, ma al tempo stesso sono convinta che il male peggiore del paese sia il blocco mediatico e informativo che ci attanaglia”, risponde la blogger.


Yoani è ottimista per il futuro. “Questo paese è pieno di gente talentuosa, preparata, con tanta voglia di fare. Cuba ha un clima buono, una popolazione naturale, un territorio senza differenze linguistiche, privo di conflitti religiosi, regionali e di razza. Un paese privo di questi problemi, in questo periodo storico, ha una fortuna immensa. Yoani scommette sul potenziale di Cuba, ma crede che il tema della libertà sia un imperativo forte per assicurare lo sviluppo. “Credo che in questo modo avremo una nazione prospera, nella quale i miei nipoti vorranno vivere. Ciò che manca è trovare lo spazio perché questa libertà e creatività si manifestino. Adesso i cubani indossano una camicia di forza economica, politica e ideologica".


Danno antropologico

Il 2011 è stato caratterizzato da grandi movimenti di popolo, convocati tramite reti sociali; tanto nel mondo arabo, che ha visto cadere molti regimi dittatoriali, come in Europa, dove i manifestanti chiedevano vie d’uscita per la crisi economica, per finire con il recente caso cileno, dove gli studenti pretendevano miglioramenti nel settore educativo.
La realtà cubana è diversa. Secondo Yoani Sánchez, sarebbe molto difficile organizzare simili manifestazioni di protesta. “Stiamo vivendo una piccola apertura economica, ma ancora non abbiamo infrastrutture tecnologiche. Per questo è molto difficile unirsi, darsi appuntamento, decidere un’azione corale. Nei paesi arabi, per esempio, nonostante la mancanza di libertà politica, i cittadini avevano acceso a Internet, Twitter, Facebook e Youtube. Tutti meccanismi che sono serviti a convocare il popolo in piazza. A Cuba non è così. Io sono costretta a pubblicare sul mio blog inviando i testi per SMS o per fax ad amici che vivono all’estero. Non ho accesso diretto al mio sito, non posso navigare o inviare e-mail quando credo”.


Un altro fattore che rende difficile la creazione di un’unità nazionale e di una ribellione spontanea è la sfiducia che impera tra i cubani. “Fino a oggi abbiamo cercato di costruire un sistema che avrebbe dovuto essere solidale, ma in realtà abbiamo ottenuto tutto il contrario. Questo Governo, in maniera molto intelligente, ha distrutto la libertà e le strutture civiche. A Cuba nessuno si fida del prossimo. Ognuno pensa che il vicino di casa faccia parte della Sicurezza di Stato o della CIA, ritiene che voglia soltanto fargli del male. La mancanza di fiducia è il danno più grande prodotto dal sistema, un danno antropologico, come suole dire il mio amico Adalberto Valdez, un danno che produce paura, sfiducia e paranoia”, sostiene la blogger.
Secondo l’attivista, milioni di cubani hanno identificato la patria con un uomo, la nazione con un’ideologia e il paese con un partito. “Se perde il partito, perde il paese. Se muore un uomo perdiamo la patria. Se perdiamo l’ideologia crolla la nazione. Si tratta di un danno troppo grande per una nazione così piccola”, conclude.

Carol A. Jardim
Traduzione di Gordiano Lupi

4 commenti:

  1. Hola Gordiano, te lo agradezco mucho por haber traducido el reportaje. Me puse muy contenta cuandó la miré en tu página. Desde Brasil, acompanaré tus textos. Suerte y saludos, Carol Jardim

    RispondiElimina
  2. Entrevista fantastica! Nossa Carol, fui em Cuba e voltei... que lugar diferente, parece mesmo que o mundo parou por la, mas que existem pequenas e fortes cabeças tentando nao se submeter ao sistema! Beijos Mari Vianna

    RispondiElimina
  3. Sì, avevo sentito parlare di lei. Un po'.

    RispondiElimina
  4. Il paragone tra Cuba e Zurigo mi appare improprio,ricordiamocelo sempre che la Svizzera è sempre stata una terra neutrale dei potenti,altro che cioccolata ed orologi a cucù.
    Cuba,appunto come scrive la Sánchez,è anche le contraddizioni dei yakees con il loro testardo embargo dal 1962 che non ha sortito nessuno effetto.
    Per inverso se si guarda ai loro vicini, Haiti
    ed alla Repubblica Dominicana sono eloquenti i risultati delle ingerenze degli USA.
    Per dirla tutta non si capisce bene se è meglio Fidel con i suoi indici di alfabetizzazione e di mortalità infantile oppure ciò che ho raffrontato.

    RispondiElimina