di Yoani Sanchez
da www.lastampa.it/generaciony
Lei porta un nome che ricorda gli accampamenti e io sono appena una Sánchez, mi porto dietro questa desinenza “ez” che un tempo voleva dire “figlio di” qualche Sancho. Sì, di qualcuno come quel ciccione che montava un asino mentre accompagnava e criticava Don Chisciotte, anche se io peso molte libbre di meno e non ho mai cavalcato neanche un pony. Lei è cresciuta in un luogo bello e comodo, mentre io ho passato la fanciullezza in un condominio popolare rumoroso e violento. Lei è sessuologa e psicologa mentre io assaporo i piaceri dell’amore ed evito le difficoltà della vita, anche se non mi sono mai laureata in nessun corso su tali argomenti. Lei è la figlia dell’uomo che ha ereditato per motivi di sangue la presidenza del mio paese, di quello stesso paese in cui mio padre perse anni fa la sua professione di macchinista di treni. Lei fa attenzione a ogni parola che dice mentre io da tempo ho rotto con il carcere delle opinioni e mi sono liberata da sola con le parole.
Lei teme l’abbraccio, una Cuba dove entrambe potremmo camminare liberamente, assistere senza problemi a un concerto o a un dibattito pubblico, uscire ed entrare senza chiedere permesso. Io la comprendo. Porta sulle spalle il peso di un’ascendenza che forse molte volte avrebbe voluto eliminare, negare, cancellare dalla sua vita. Io sono soltanto l’avventuriera, l’intrusa, senza pedigrì, senza un decoroso albero genealogico da esibire. I miei genitori non hanno combattuto sulla Sierra Maestra; le parole d’ordine forgiate in casa sua venivano sistematicamente negate nella mia; i discorsi che pronunciava il suo esaltato zio cadevano sopra gli scettici orecchi della mia parentela. Lei ha diritto ai microfoni, viene intervistata e lodata quando appare alla televisione nazionale, mentre il mio volto si vede solo circondato da aggettivi come “nemica”, “ciber terrorista”, senza concedermi – chiaro – il diritto di replica.
Lei ha potuto fare la sua tournée negli Stati Uniti senza che il notiziario cubano la definisse mercenaria. Ha detto che “voterebbe per Obama” e – sorpresa! – la stampa nazionale non l’ha accusata di essere “filo statunitense”. Lei è una prigioniera del suo lignaggio e io possiedo appena un passato verso cui guardare. In questo momento, mi sveglio pensando soltanto al domani. Io e lei, anche se questo fatto la spaventa e se insiste a negarlo, siamo parte di questo paese… figlie molto diverse di questa terra, frutti voluti e non voluti di questo sviluppo. Lei dovrà riconoscere che esisto, che ci sono, che questa Sánchez reclama il suo diritto a criticare le follie dei suoi mulini a vento.
Traduzione di Gordiano Lupi
There is a statue in a small parkette in La Habana of Cervantes, the father of "Don Quixote", who was so nearsighted that he mistook windmills for monsters.
RispondiEliminaOf course, "Don Quixote", was the book that Fidel Castro made every Cuban read when he completed his coup and took over Cuba.
How appropriate that he would do this, as the Castros have pointed at fake monsters ever since.
Castro himself had never read past the windmill chapter, Brian. One of the following scenes shows how the Don's niece and conservative townspeople burn his LIBRARY...and seal up the space for when he returns home from his first sally. The novel denounces totalitarian thinking.
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