sabato 29 settembre 2012

Gary Cooper, l'eroe laconico

di Guillermo Cabrera Infante

Guillermo Cabrera Infante

L’articolo è stato scritto nel mese di marzo del 2001, quando Gary Cooper - se non fosse morto - avrebbe compiuto 100 anni.

Gary Cooper, il cowboy di Iowa che conquistò Hollywood, avrebbe compiuto lunedì prossimo cent’anni, se il cancro non se lo fosse portato via da quarant’anni. Nella finzione è stato un uomo laconico e fedele ai suoi principi, pioniere di una stirpe di attori importanti come James Stewart, Henry Fonda e Clint Eastwood. Idealizzato come attore di western (Il forestiero, Mezzogiorno di fuoco), è stato anche grande interprete di drammi (L’idolo delle folle) e commedie (Colpo di fulmine, Arianna).

Gary, il cui vero nome era Frank, Cooper, è stato il più americano degli attori di Hollywood, figlio di genitori inglesi, ha ricevuto la sua prima educazione in Inghilterra. L’attore che ha fatto del yep la sua maniera di dire yes (nessun altro attore può dirlo senza correre il rischio di imitarlo), l’uomo del West ideale, il cowboy per antonomasia, era una persona elegante, sofisticata, e - sorpresa! - molto cittadina. Fu chiamato Frank in omaggio al più reticente fratello di Jesse James e venne a Hollywood per entrare dalla porta stretta degli stuntmen (controfigure ma anche specialisti) nei panni di uno splendido cavallerizzo. Furono l’eleganza nel montare a cavallo vagamente mascherato da cowboy, la statura (era quasi due metri) e la notevole bellezza che gli permisero di mettersi in luce tra molte controfigure.


Gary Cooper è venuto fuori da questo mondo anonimo per diventare l’interprete di quasi cinquanta pellicole come personaggio fondamentale. La sua prima opera è stata The Winning of Barbara Worth (Fiore del deserto), diretta da uno dei grandi di Hollywood, Henry King, ingiustamente dimenticato dai critici. (Un altro regista che amava molto Cooper, Hanry Hathaway, è stato sistematicamente eliminato dall’elenco dei Grandi).

Il suo agente Nan Collins (che è passato alla storia del cinema solo per essere stato agente di Cooper) gli cambiò il nome in Gary, una sorta di omaggio alla città, allora un paese dell’Indiana, dove nacque l’attore. Dopo numerose volte che, come dice il critico René Jordán, “galoppava verso la macchina da presa, guardava i suoi possibili spettatori per poi cadere da cavallo”, Gary Cooper “mi è entrato nell’occhio”, come disse il produttore Sam Goldwyn, quando decise di affidargli un ruolo importante, dopo essere stato protetto da un’altra donna, la sceneggiatrice Frances Marion (Gary Cooper è sempre stato favorito dalle donne, nella vita reale e in quella sullo schermo).

Il suo vero debutto fu ne L’ultimo fuorilegge, dove divise la scena con la voluttuosa e fatale Thelma Todd e - sorpresa! - con William Powell, che era soltanto un bandito. Da cowboy si trasformò in playboy ne I figli del divorzio, una pellicola lacrimevole come una cipolla, girata in maniera molto rapida, come si doveva fare con i 18 quadri al secondo del cinema muto. Cooper durante il film ebbe una relazione con la compagna di scena, la piccante Clara Bow, mentre il regista Frank Lloyd, meno romantico, dichiarò: “Farò di Cooper una stella anche se dovrò spezzargli la schiena”. Ma fu il regista Joseph von Sternberg (più avanti) a terminare la pellicola, con l’altissimo Cooper atterrito dal piccolo Sternberg. Gary si trovava molto meglio con un’altra piccola star, Clara Bow, con la quale ebbe un’intensa storia d’amore, ai tempi del cinema muto. Fu proprio la Bow a introdurlo nella pellicola successiva, un’opera maestra diretta da William Wellman intitolata Ali. Cooper appariva e scompariva con la stessa velocità, ma il suo rapido passaggio bastava a far intuire doti da attore e faceva capire che avrebbe potuto dimenticarsi dei motivi per cui era venuto a Los Angeles, visto che il suo sogno non era Hollywood ma quello di fare il caricaturista in un giornale nazionale.


Cooper aveva cominciato con il grande Ronald Colman e con le stelle del muto Vilma Bankly, Richard Arlan e Antonio Moreno. Interpretò It insieme a Clara Bow, una donna che si innamorò perdutamente di lui, poi fece Beau Sabreur, emulo di Beau Geste, titolo che fu uno dei suoi grandi successi nella versione parlata del 1939. (In Beau Sabreur, Cooper aveva un nome da vino: Henri de Beaujolais). Subito dopo interpretò The Shopworn Angel. Nella versione parlata del 1938 la star era il suo epigono e amico James Stewart. Parlando di epigoni, senza Gary Cooper non sarebbe esistito James Stewart, ma non ci sarebbero stati neppure Henry Fonda e molti giovani attori laconici fino a Clint Eastwood. L’imitazione del modo di camminare di Gary Cooper è tipica degli attori molto alti, che sono obbligati a muovere le gambe come se avessero difficoltà di movimento, ma al tempo stesso identificano uno stile. Un critico arguto, Juan Cueto, racconta di aver visto diverse volte Mezzogiorno di fuoco solo per veder camminare Cooper!

Il suo gran momento giunse con L’uomo della Virginia, basato sul romanzo omonimo di Owen Wister, un classico del western come libro, film e serie televisiva. Cooper gioca a carte contro il bandito Trampas (interpretato da quel grande attore che fu Walter Huston, padre di John e nonno di Anjélica) che compie una cattiva mossa e dice una brutta parola riferita all’avversario. Cooper per tutta risposta pronuncia appena un brusio nella sua prima pellicola (mal) parlata: “Quando vuoi chiamarmi così, sorridi”. La pellicola è piena di mormorii e di musica che Cooper varia e interpreta secondo uno stile che si sta formando. Gary Cooper aveva già depurato la sua tecnica fino a raggiungere uno stile che gli permetteva di recitare per la macchina da presa e di mormorare al microfono. Tutti i suoi primi registi si disperavano perché non solo non vedevano Cooper recitare, ma soprattutto non comprendevano quel che diceva. Se si guardava Cooper dalla sedia del regista sembrava di vedere un attore che non recitava. Era grande la sorpresa quando a fine giornata si analizzava il materiale girato e ci si rendeva conto che Gary Cooper, senza aver mai frequentato una scuola di recitazione e meno che mai il teatro, dava vita a una vera e propria scuola per interpretare eroi laconici. Dopo ci hanno spiegato che il suo stile erano i suoi occhi e il regista Anthony Mann ha elaborato la “teoria degli occhi chiari”, che sembrava una recita in lingua inglese di quei versi che dicono “occhi chiari, sereni” - riferiti ovviamente a uomini, quasi tutti i maschi del cinema e tanti altri epigoni: James Stewart, John Wayne, Burt Lancaster, Henry Fonda, Paul Newman, Charlton Heston e Peter O’ Toole. Dopo, come sempre, Howard Hawks farà sua questa teoria ariana (con un giudeo nel mezzo, Paul Newman) e la limiterà agli occhi azzurri, dimenticando che uno dei suoi attori preferiti fu un uomo dagli occhi scuri come Cary Grant, in origine chiamato Archibald Leach. (lo pseudonimo Cary, badate bene, viene da Gary).


A questo punto arriva Marocco e anche Marlene Dietrich. Nella sua prima pellicola a Hollywood, diretta da Joseph, allora ancora conosciuto come Josef, von Sternberg - originariamente chiamato Joe Stern. In Marocco Marlene Dietrich è una divoratrice di uomini e Gary Cooper è, per la prima volta nella sua carriera, un tombeur de femmes, come è stato nella vita reale. Nel suo cuore ci sono state Clara Bow e subito dopo Lupe Vélez, detta The Mexican Spitfire, appellativo usato per indicare una riserva di caccia inglese negli anni Quaranta. Solo che Lupe era messicana e preparava la guerra da sola. In Marocco, Cooper (un legionario le cui amanti sono una vera e propria legione) fa innamorare Marlene Dietrich che alla fine decide di seguirlo nel deserto, per mettersi comoda si toglie le scarpe e corre scalza sulla calda rena, che a mezzogiorno sarà stata incandescente. Non importa: brucia molto di più la passione.

Marlene Dietrich

City Streets (Le vie della città) fu diretta dal famoso regista armeno Rouben Mamoulian, ma è stata scritta da Dashiell Hammett, l’autore de Il falcone maltese, The Maltese Falcon, girata due volte negli anni Trenta e rifatta nel 1941 da John Huston, con Humphrey Bogart. Ma l’attore ideale per incarnare in “diavolo biondo” che era Sam Spade fu proprio Gary Cooper. Bogart non è mai stato alto e biondo né le donne impazzivano per lui. Gary Cooper, al contrario, ebbe numerosi legami legali e molte donne come amanti, quasi tutte attrici che vanno da Clara Bow a Grace Kelly, quando era già anziano. Quella che King Vidor definì “la sua reticenza naturale” rappresentava un valore aggiunto per la sua elegante bellezza. Per caso in un’altra pellicola diretta da King Vidor, The Fountainhead, ebbe come compagna Patricia Neal, una delle donne più attraenti ma al tempo stesso più elusive di Hollywood. La loro storia d’amore durò il tempo di girare un’opera maestra attaccata dai critici con forza dinamitarda. In realtà la vera dinamite fu Patricia Neal che con la sua presenza fece traballare il matrimonio di Cooper. Gary non divorziò perché la moglie Rocky era cattolica praticante e rifiutò la separazione. Era religiosa ma pure rabbiosa…


Il suo amico Ernest Hemingway (si erano conosciuti dopo che Cooper era stato l’eroe hemingwayeano in Addio alle armi, quasi un addio alle anime visti i diversi e controversi finali). Ma Hemingway, nonostante tutto, diceva che era la miglior pellicola mai realizzata da una sua opera. (Si sbagliava EH - la miglior pellicola fu Gli assassini, basata su uno dei suoi racconti più riusciti). Cooper si recò a far visita a Hemingway nella sua fattoria dell’Avana e andarono spesso a caccia insieme a Idaho. Durante la sua ultima visita all’Avana aveva un volto gonfio che sembrava aver perso l’antica bellezza. Non era per colpa dell’età, ma di un’operazione estetica mal riuscita. In ogni caso fece ancora due o tre film perché la sua vita era recitare. Cooper creò un canone che è stato seguito da molte star maschili e con il suo naturale talento cinematografico è stato capace di recitare senza aver fatto teatro né aver studiato in nessuna accademia. Era nato per il cinema: la sua economia di gesti e le sue poche parole erano ideali per il grande schermo. Come le sue molte donne, la macchina da presa lo amava.

Tra le sue pellicole possiamo elencare una grande quantità di opere maestre. Prima tra tutte Mr. Deeds Goes to Town di Frank Capra, pellicola con la quale il piccolo regista e l’altissimo attore hanno creato la commedia sociale. Ne L’ottava moglie di Barbablù (sono moltissimi i suoi titoli che comprendano la parola donna) di Ernst Lubitsch - il genio austriaco della commedia -, recita insieme alla straordinaria attrice Claudette Colbert un soggetto sceneggiato da Billy Wilder (la prima di una lunga serie) e interpreta il ruolo di un Don Giovanni che per lui diventerà consueto. The Westerner (L’uomo del West) diretta da William Wyler (da non confondere con Billy Wilder) è stato uno dei suoi migliori western. Meet John Doe (Arriva John Doe), di nuovo per Capra, è un’altra commedia sociale intrisa di satira politica. Il sergente York, diretta da Howard Hawks, è un’opera rilevante, dove Cooper interpretava in maniera originale la biografia del soldato più decorato della Prima Guerra Mondiale. Sempre per Hawks ha realizzato un’altra commedia eccellente, Colpo di fulmine, dove interpretava un professore innamorato di una Barbara Stanwyck, incarnazione del desiderio, su sceneggiatura di Billy Wilder. Ne L’idolo delle folle interpretava Lou Gehrig, uno dei giocatori di baseball più famosi della storia. Gehrig era mancino, a differenza di Cooper, e per creare l’illusione del giocatore mancino Cooper giocava con la mano destra ma la macchina da presa invertiva i suoi movimenti fino a farlo sembrare mancino. Cooper pronunciava in questo film la commovente frase di addio di Gehrig, che avrebbe fatto sua al momento di dire addio al cinema e che rappresenta un omaggio rivolto ai compagni *. Questa pellicola gli valse una delle sue molte nomination agli Oscar, che vincerà due volte, con Il sergente York e Mezzogiorno di fuoco. In Mezzogiorno di fuoco sembrava invecchiato prima del tempo, ma la sua recitazione era più eroica e meno laconica rispetto ad altri western. La sua tragica determinazione nel voler liberare il paese di cui era stato sceriffo diventava un confronto tra Cooper e la morte imminente per mano di un fuorilegge uscito dal carcere dove lo steso Cooper lo aveva rinchiuso. Di nuovo insieme a Wilder, questa volta come sceneggiatore e regista, in Arianna, interpretava un Humbert Humbert per una Lolita romantica come Audrey Hepburn ed esibiva una collezione di amanti come aveva avuto nella realtà. Un anno prima aveva finito di interpretare La legge del signore per il suo vecchio amico William Wyler. Un pugno di polvere lo vedeva recitare un ruolo quasi romantico e al tempo stesso crudelmente reale, come uomo che ben oltre l’autunno della sua vita incontrava la primavera dell’amore in Suzy Parker, che era stata una delle modelle più belle della moda internazionale. Gary Cooper interpretò altre pellicole interessanti come Dove la terra scotta, L’albero degli impiccati e Cordura, nelle quali personificava il buon senso di fronte alla follia. Le ultime prove sono soltanto mediocri apparizioni, fugaci cammei, partecipazioni rapide e non rappresentative della sua arte. Il 13 marzo del 1961, poco dopo aver compiuto 60 anni, Cooper, che era diventato un uomo religioso (andò a far visita persino al Papa) consegnò la sua anima al Creatore. Gli attori muoiono mille volte nel cinema ma l’uomo muore una volta sola nella vita.


*La frase pronunciata da Lou Gehrig per il suo addio al baseball e fatta propria da Gary Cooper è patetica perché si tratta di una dichiarazione in articulo mortis: “Mi considero oggi l’uomo più felice sulla faccia della terra”.

(da Cine y sardina, testi di cinema, inedito in Italia)



Traduzione di Gordiano Lupi

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