mercoledì 30 gennaio 2013

A Cuba non c’è droga?


di Yoani Sánchez
da www.lastampa.it/generaciony


Il mio occhio sinistro soffriva una cheratite piuttosto aggressiva. Era il risultato della scarsa igiene dell’ostello dove vivevo e di successive congiuntiviti mal curate. Mi prescrissero un complesso trattamento, ma dopo un mese che somministravo collirio non si notava alcun miglioramento. Mi bruciavano gli occhi quando guardavo le pareti dipinte di bianco e i luoghi dove si rifletteva la luce del sole. Le righe dei taccuini apparivano sfumate e non riuscivo a guardare neppure le mie unghie. Yanet, la ragazza che dormiva nel letto a castello di fronte, mi raccontò cosa accadeva. “Ti rubano l’omatropina per bersela, la usano per sballare, poi ti riempiono il flacone con un’altra sostanza”, mi disse sussurrando davanti alle docce. Cominciai a sorvegliare di notte il mio armadietto e mi resi conto che diceva la verità. La medicina che avrebbe dovuto curarmi veniva consumata da alcune mie colleghe dell’ostello mescolata con un po’ d’acqua… ecco perché la mia cornea non guariva.

Elefanti azzurri, percorsi di plastilina, braccia che si allungavano verso l’orizzonte. Scappare, volare, saltare dalla finestra senza farsi male… verso un abisso, erano le sensazioni che ricercavano quelle adolescenti allontanate dai loro genitori e che vivevano secondo gli scarsi valori etici trasmessi dai professori. Alcune notti, nella zona sportiva, i maschi estraevano un infuso dal fiore conosciuto come “campana”, la cosiddetta droga del povero. Alla fine del mio decimo grado, cominciarono a circolare anche in quel liceo di campagna le polveri da inalare e l’“erba” in piccoli pacchetti. Certi prodotti venivano spacciati soprattutto dagli studenti che vivevano nel poverissimo quartiere de El Romerillo. Dopo averli ingeriti, si udivano risatine nelle aule, guardi smarriti oltrepassavano la lavagna e la libido andava a mille grazie a tutti quegli “incentivi per vivere”. Assumendo dosi regolari non si sente più lo stimolo della fame nello stomaco, confermavano alcune amiche già “adescate”. Per fortuna, non mi sono mai lasciata tentare.

Finito il periodo della scuola in campagna (1), seppi che fuori dalle pareti di quel collegio accadevano cose simili, ma su scala maggiore. Nel mio quartiere di San Leopoldo, imparai a riconoscere le palpebre semichiuse dei “fatti”, la magrezza e la pelle smorta del consumatore incallito e il comportamento aggressivo di alcuni che dopo aver preso “una dose” si credevano padroni del mondo. Quando arrivarono gli anni duemila aumentarono le offerte sul mercato dell’evasione: morfina, marijuana, coca - attualmente costa 50 pesos convertibili al grammo - pasticche di vario tipo; Parkizol rosa e verde, Popper e ogni genere di sostanze psicotrope. I compratori appartengono ai più variegati strati sociali, ma la maggior parte di loro cerca una fuga dalla realtà, un momento piacevole, vuole uscire dalla routine e lasciare alle spalle l’asfissia quotidiana. Inalano, bevono, fumano, e dopo puoi vederli ballare una notte intera in discoteca. Passata l’euforia si addormentano proprio davanti a quella stessa televisione dove Raúl Castro assicura che “a Cuba non c’è droga” (http://mexico.cnn.com/mundo/2013/01/28/raul-castro-pide-combatir-el-narcotrafico-cuando-esta-naciendo).


Traduzione di Gordiano Lupi
www.infol.it/lupi



Nota del traduttore

(1) Quando Yoani parla di ostello, liceo in campagna, collegio, si riferisce all’esperienza della beca, che quasi tutti gli studenti cubani hanno fatto: un periodo di preparazione al lavoro in campagna, lontani dalle famiglie. Era la cosiddetta scuola al campo, prima dell’università, basata sull’idea - di per sé formativa - che lo studio dovesse andare di pari passo con il lavoro. Gli alunni venivano separati dalle famiglie per un certo periodo di tempo e vivevano in ostelli (albergues) di campagna - di solito poco igienici - dove studiavano e lavoravano. La scuola al campo è stata abolita da una recente riforma di Raúl Castro. I cubani non la rimpiangeranno.


Traduzione vignetta di Garrincha (fumettista cubano).

- Cosa ha detto Raul in Cile?

- Che a Cuba non c’è droga.

- Secondo me s’è fumato uno spinello...

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