venerdì 22 aprile 2011

La grande casa e il paese

di Yoani Sanchez



Possiede una grande casa di cinque stanze che sta cadendo a pezzi, ottenuta negli anni Sessanta quando la famiglia per cui lavorava come domestica se ne andò in esilio negli Stati Uniti. Al tempo le sembrò di toccare il cielo con un dito per il solo fatto di vivere in una delle zone più eleganti dell’Avana. In un primo periodo perlustrava ogni giorno le stanze e il giardino interno; accarezzava il corrimano in marmo della scala che portava al secondo piano; giocava a riempire le vasche dei tre bagni solo per ricordare a se stessa che adesso quella dimora neoclassica era sua. L’allegria durò fino a quando le prime lampadine si fulminarono, la pittura cominciò a screpolarsi e le erbacce crebbero nel giardino circondato da una superba cancellata. Trovò lavoro come donna di pulizie in una scuola, ma neppure con sei salari come quello che riscuoteva avrebbe potuto conservare lo splendore di una dimora che ogni volta le sembrava più grande e più scomoda.

Migliaia di volte, la protagonista di questa storia pensò di vendere la casa ereditata dai suoi antichi datori di lavoro, ma non voleva fare niente che fosse contro la legge. Per molti anni a Cuba è stato proibito il mercato immobiliare ed era possibile solo scambiare proprietà con un meccanismo popolarmente conosciuto come “permuta”. Per regolare e controllare anche certe attività, vennero emanati diversi decreti, restrizioni e limitazioni che trasformavano in un calvario la decisione di cambiare casa. Un onnipotente Istituto delle Abitazioni controllava che venissero rispettate assurde condizioni, come quella di non poter scambiare case che non fossero proporzionalmente uguali. Il numero di stanze e di metri quadrati doveva essere in relazione, altrimenti i “gendarmi” della burocrazia avrebbero capito che dietro il paravento dello scambio si nascondeva una compravendita. Le condizioni da rispettare erano così tante che le pratiche andavano avanti per più di un anno e quando le famiglie potevano trasferirsi nella nuova abitazione erano stanche di riempire moduli, contrattare avvocati e corrompere ispettori.

Per ogni divieto fu escogitato un modo creativo e clandestino di eluderlo. Molti comprarono la loro casetta, nonostante i tribunali punissero con severità - persino confiscando le abitazioni - chi osasse violare una normativa così rigida. In mezzo all’illegalità proliferarono anche i truffatori di ogni tipo. Agenti immobiliari alternativi che fungevano da intermediari tra due famiglie e riscuotevano somme consistenti per redigere il contratto e che spesso scomparivano nel bel mezzo delle pratiche. Succedeva di tutto, alcuni restauravano superficialmente la loro abitazione per andare a vivere in un’altra e quando i nuovi inquilini arrivavano scoprivano che le travi erano marce e le tubature ossidate. La cosa più triste era che nella maggior parte dei casi non si poteva tornare indietro. Si potrebbero narrare migliaia di storie truci in merito al penoso argomento di acquistare o cambiare un’abitazione a Cuba, ma prima di raccontarle dovremo attendere che ci sembrino risibili e sorpassate. Per il momento sono aneddoti troppo recenti ed è compromettente illustrare tutti i particolari.

È chiaro che quando gli interessati a compiere una permuta volevano agevolare il procedimento, l’atteggiamento più comune era quello di corrompere i funzionari incaricati. Vennero stabilite quote di denaro - non scritte su carta - da consegnare prima di ogni passo e a ogni incaricato. Senza incentivi materiali, le pratiche per scambiare un’abitazione si arenavano fino a quando l’insistenza del proprietario non riusciva a mandarle avanti, oppure quando alcuni pesos convertibili finivano nelle mani del funzionario competente.

Tutti questi limiti immobiliari seguivano l’input governativo di non permettere che venissero alla luce le differenze sociali. In un paese dove fosse stato possibile vendere o comprare una casa, con il solo requisito di averne la proprietà e di possedere il denaro sufficiente per acquistarla, le città si sarebbero ridistribuite rapidamente. Questo è stato il modo scelto per evitare che le persone con maggiore disponibilità economica finissero per vivere nelle migliori abitazioni. La fedeltà ideologica diventò la moneta con la quale si poteva ottenere un’abitazione più dignitosa. Per questo motivo gli alti funzionari di Stato e i militari scesi dalla Sierra Maestra hanno goduto - sino a oggi - di lussuose dimore in quartieri dotati di stupendi giardini. Nelle classi sociali più umili della società, la gente continuava a dividere le stanze e a sopraelevare soppalchi di legno - che qui chiamiamo barbacoas - per fronteggiare la crescita della famiglia. Non è facile sapere con esattezza quanti cubani siano emigrati dal loro paese spinti, soprattutto, dalla carenza di spazio abitativo. Ma di sicuro deve essere molto alto il numero di coloro che sono fuggiti per non continuare a dividere la camera con la nonna, abbandonando la casa - di pochi metri quadrati - dove abitavano tre generazioni.

Per tutti questi motivi, uno dei risultati più attesi del Sesto Congresso del Partito Comunista, era proprio l’eliminazione del divieto di compravendita immobiliare. Quando nel corso della relazione conclusiva si è detto che sarebbe stata permessa la compravendita di case e che restava soltanto da emanare un regolamento normativo, moltissimi cubani hanno tirato un sospiro di sollievo. La signora proprietaria della grande casa si trovava, al momento dell’annuncio, davanti allo schermo del suo televisore, e stava evitando una perdita d’acqua che cadeva dal tetto, proprio nel bel mezzo della sala. Si è messa a osservare le colonne con i capitelli decorati, le grandi porte di mogano danneggiate dall’umidità e la scala di marmo alla quale aveva tolto il corrimano per venderlo. Finalmente avrebbe potuto appendere alla cancellata del giardino un cartello con sopra scritto: “Si vende casa di cinque stanze bisognosa di urgente restauro. Si compra appartamento di una stanza in un quartiere qualunque”.

Traduzione di Gordiano Lupi

2 commenti:

  1. I think that all of the "reforms" are designed to keep the status quo not to allow change. The private jobs are in fact just reductions in payroll; the "new entrepreneurs" will become tax payers. The Castros lie.

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