L’Avana Vecchia è il quartiere più antico, comincia dal porto, prosegue per il centro e termina con la Plaza de Armas. Questa è la città delle colonne di Carpentier, ma anche delle sbarre, dei patios, dei portali, del deterioramento, dell’ombra e del riscatto, ma pure il complesso coloniale più ricco del mondo latinoamericano, che conserva monumenti antichi, fortezze, conventi e chiese. Il Malecón è il centro strategico dell’Avana, fiancheggia il Vedado e il centro fino all’Avana Vecchia per cinque chilometri che vanno dal Castillo de La Punta alla Chorrera. Lo spettacolo più bello che il lungomare mette in scena ogni giorno è quello del tramonto di un sole a picco oltre le scogliere, perso in un oceano di troppe speranze. Il Malecón ci mostra l’ospedale Hermanos Ameijeras, il monumento ad Antonio Maceo, la cascata vicina alla Rampa, il monumento alla memoria delle vittime della esplosione del Maine, l’Hotel Nacional, la statua equestre di Calixto Garcia, gli hotel Cohiba e Riviera. In fondo al paseo troviamo la Chorrera, piccola torre davanti al mare con i giardini che segnano la fine del Malecón. La ceiba di Plaza del Templete resta il simbolo più importante dell’Avana, il più antico emblema di libertà cittadina che serve ancora a sperare in un futuro migliore.
Virgilio Piñera considera L’Avana un sepolcro diviso a sua volta in sepolcri più piccoli, ma non certo per l’architettura cittadina e nemmeno per le dimensioni da metropoli. L’Avana è una città grande ma non è una grande città, nel suo intimo è provinciale, ci sono galli che cantano, giardini popolati da ragazzini che giocano, strade dissestate dove macchine scassate si muovono a fatica. Virgilio Piñera dice che L’Avana sembra un sepolcro perché contiene troppa miseria e ha tutte le stazioni della Via Crucis composte da tombe e luoghi di sofferenza, barrios in rovina, case cadenti, spazi di profonda povertà. Per Piñera la città delle colonne è la città dei sepolcri, un misto di miseria e tristezza da vivere secondo la maledetta circostanza dell’acqua che circonda da ogni parte, come scrive nello stupendo poema L’isla en peso. Traduco la prima strofa di un’opera importante scritta dal grande drammaturgo nel 1941, ma che si adatta ancora bene alla contemporanea decadenza avanera.
La maledetta circostanza dell’acqua che circonda da ogni parte
mi obbliga a sedermi alla tavola del caffè.
Se non pensassi che l’acqua mi corrodesse come un cancro
avrei potuto dormire tranquillamente.
Mentre i ragazzi si spogliavano dei loro vestiti per nuotare
dodici persone morivano in una stanza per compressione.
Quando all’alba la mendicante scivola nell’acqua
nel preciso momento che si lava uno dei suoi capezzoli,
mi abituo al fetore del porto
mi abituo alla stessa donna che invariabilmente masturba,
notte dopo notte, al soldato di guardia in mezzo al sogno dei pesci.
Una tazza di caffè non può allontanare la mia idea fissa,
in un altro tempo ho vissuto adamiticamente.
Chi ha prodotto la trasformazione?
L’Avana è ancora la stessa città abbagliata dal sole e schiaffeggiata dagli acquazzoni, che vive tra fatiscenze e antico splendore, enormi casermoni anni Settanta lasciano il posto a case signorili, strade non asfaltate conducono verso altri casermoni brulicanti gente, case misere e sporche, baracconi. L’Avana è la sua gente in cerca di speranza, popolo in fuga che si adatta e trova la forza per andare avanti, tra fogne intasate che rendono l’aria irrespirabile, immondizia in decomposizione, carcasse di animali divorate da insetti, mosche e zanzare. L’Avana è un popolo che deve inventare un modo per sopravvivere, sono gli intellettuali che non possono parlare e devono fuggire, sono le mancanze del quotidiano sempre più pressanti. Virgilio Piñera non è scrittore amato dal regime, come non lo era Cabrera Infante, pure lui ha vissuto con il mostro e ne conosce le viscere, pensa che assistere a un delitto in silenzio equivale a commetterlo, come scriveva José Martí. Non può restare insensibile di fronte a frasi che fanno tremare e non può accettare che fuori dal solco rivoluzionario non venga ammessa alcuna libertà di espressione. Il compito degli scrittori di regime è quello di dire cose buone a ogni cosa brutta che accade, ma non è il ruolo dell’intellettuale che deve rischiare sulla sua pelle per trasmettere soltanto le cose che pensa. Se si possono capire giornalisti e scrittori che vivono a Cuba perché temono repressioni da parte del regime, non sono comprensibili i fiancheggiatori europei, i conniventi responsabili che aiutano a tenere in vita una dittatura. La futura Seconda Repubblica Cubana dovrà creare una procura generale per processare tutte le pubblicazioni europee che hanno ripetuto le calunnie castriste contro Cuba e le giudichi per complicità e per diffamazione. È una richiesta di Cabrera Infante, ma la trovo ancora di estrema attualità. Non è possibile parlare di libertà in una terra dove gli alunni della scuola elementare imparano a leggere dicendo la f di Fidel. Si comincia così e si prosegue in un crescendo di censura e indottrinamento che non ha eguali. Ho vissuto e visto laggiù tanto dolore non da fare una frase ma da riempire un libro, scrive il grande poeta in esilio Heberto Padilla. Haydée Santamaria muore suicida sparandosi un colpo di pistola il 26 luglio 1980 e la lettera con cui si dissocia dalla rivoluzione non è mai stata resa pubblica. Haydée è una dirigente rivoluzionario disilluso che non se la sente di continuare a vivere in un mondo di menzogna e paura che rende servi persino i letterati. Non tutti sanno che a Cuba il suo suicidio non è mai stato ammesso e che lei ha avuto un funerale in sordina, senza nessun clamore. Adesso possiamo dire che la vera letteratura cubana è in esilio, anche se pure nell’isola restano voci importanti che si ritagliano spazi per pubblicare all’estero, ma i cubani non leggono i loro libri. L’intellettuale in esilio fa proprio il concetto espresso da José Martí nei Versi semplici: Io voglio quando morirò/ senza patria però senza padrone/ avere nella mia tomba un mazzo/ di fiori e una bandiera. Fa sorridere soltanto pensare che Fidel Castro ha eletto il pensiero di José Martí come base di una pseudo rivoluzione socialista. Un esempio evidente di come si possa travisare e adattare un pensiero politico liberale a uso e consumo di un regime dittatoriale. Virgilio Piñera vive sulla spiaggia di Guanabo, è un grande poeta messo da parte per la manifesta omosessualità e per idee troppo liberali, come sarà per Reinaldo Arenas, perseguitato in maniera ancora più spietata. Lezama Lima muore povero e non riconosciuto in tutta la sua grandezza per aver scritto un capolavoro come Paradiso, romanzo boicottato dal regime per l’elogio della omosessualità contenuto nel capitolo ottavo. Il fidelismo è il fascismo del povero. Fidel è uguale a Franco, soltanto è più alto e più giovane, scriveva un po’ di tempo fa il cineasta Néstor Almendros. Adesso Fidel è invecchiato, ma le cose non cambiano.
L’Avana era città di cultura, ricca di riviste e circoli letterari, luogo dove circolavano opinioni diverse e scritture contrapposte, c’erano molti cinema e tutti i film venivano passati in versione originale con i sottotitoli. Adesso è un luogo culturale monocorde dove hanno chiuso ogni voce libera, persino Lunes e le riviste indipendenti. Non è possibile spacciare per cultura le pagine di Juventud Rebelde dove ogni tanto pubblicano qualche poesia retorica dell’Indio Naborí. Proprio no.
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